Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19745 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19745 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10795/2017 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME di Catrano
-ricorrente e controricorrente al ricorso successivocontro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
– ricorrente in via successiva-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della TOSCANA-FIRENZE n. 1890/2016 depositata il 28/10/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In punto di fatto, dalla sentenza epigrafata, si apprende quanto segue:
Con sentenza n. 97/4/2014, depositata il 19/02/2014, la CTP di Lucca accoglieva, parzialmente, il ricorso proposto da COGNOME NOME, avverso l’avviso di accertamento CODICE_FISCALE emesso dall’Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale di Lucca in materia di IRPEF, IRAP ed IVA per il periodo d’imposta 2007.
Motivo del contendere sono i maggiori ricavi recuperati a tassazione dell’A.F. ai sensi dell’art. 32, c. 1, n. 2, DPR 600/73 ed ai sensi dell’art. 51, c. 2, n. 2, DPR 633/72. In particolare, tutti i movimenti sui c/c (sia gli accrediti che gli addebiti) per i quali contribuente non aveva dimostrato analiticamente che non erano riferibili ad operazioni imponibili (c.d. prova contraria) sono stati considerati dall’A.F. ricavi (i versamenti) o corrispettivi versati per l’acquisto di beni e servizi reimpiegati nella produzione (i prelevamenti).
Con la citata sentenza, la CTP, dopo aver sottolineato che “quanto riferito e documentato dalla ricorrente” non costituiva una idonea prova atta a superare l’accertamento dell’Ufficio, ha disposto che il maggior reddito, da recuperare a tassazione, fosse pari ad euro 52.173,00. Tale importo scaturiva dalla differenza tra il totale dei ricavi accertati dall’Ufficio di euro 271.102,38 e quello dichiarato dal contribuente di euro 218.829,00.
Proponevano appello sia l’Ufficio che la contribuente, per le parti di rispettiva soccombenza.
2.1. La CTR della Toscana, con la sentenza epigrafata, previa riunione degli appelli, così, a termini di dispositivo, decideva:
Accoglie il ricorso in appello dell’A.F., limitatamente ai maggiori ricavi accertati ex art. 32, c. 1, n. 2 633/1973 ed ai sensi dell’art. 51, c. 2, n. 2 DPR 633/72. Accoglie il ricorso in appello della contribuente limitatamente alla imputazione del maggior reddito pro -quota anche ai collaboratori familiari (25% COGNOME NOME; 24% COGNOME NOME).
2.2. Essa, in motivazione, rilevava la fondatezza dell’appello agenziale
limitatamente ai maggiori ricavi accertati rispetto al reddito dichiarato. In particolare, come correttamente lamentato dall’AE, l’importo di euro 271.102,38 rappresenta il totale dei maggiori ricavi accertati dall’AF rispetto al reddito dichiarato ed è correlato a tutte le movimentazioni bancarie non giustificate dalla contribuente .
Nessuna (idonea) prova contraria è stata offerta dalla contribuente. Le argomentazioni utilizzate, diversamente da quanto deciso dalla CTP, appaiono a questo Giudice inidonee superare l’onere della prova posta a suo carico. Non è, infatti, sufficiente una prova generica circa ipotetici versamenti rappresentativi di varie operazioni fatte in più giorni o in più settimane, ma è necessario che la contribuente fornisca prova analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili .
Medesimo principio si applica anche per il riconoscimento di eventuali costi deducibili, la cui indicazione è a carico del
contribuente e non possono essere, diversamente da quanto sostenuto dalla contribuente, riconosciuti in via presuntiva a cura dell’Ufficio .
Appare, inoltre, fondato il ricorso in appello proposto dalla contribuente limitatamente alla imputazione del maggior reddito, pro quota, anche ai collaboratori familiari.
Il maggiore reddito accertato all’impresa familiare, a parere di questo Giudice, deve essere ripartito tra i partecipanti laddove l’AF non contesti l’esistenza dell’impresa familiare o l’entità delle percentuali di ripartizione. Ciò in quanto non è possibile effettuare una differenziazione tra imputazione del reddito dichiarato ed imputazione del maggior reddito accertato. La mancata previsione di una disciplina espressa, per il caso dell’accertamento di un maggior reddito nell’impresa familiare, comporta, soltanto, l’applicabilità del principio generale in base al quale i redditi che vengono accertati dall’Ufficio devono essere imputati ai soggetti che li hanno prodotti o che di essi hanno avuto il possesso.
Nel caso che interessa il presente processo, l’AE non ha contestato l’esistenza dell’impresa familiare o l’entità delle quote attestate nella dichiarazione, con conseguente imputazione del maggior reddito accertato (pro quota) ai collaboratori familiari.
Ciò in quanto il reddito (che proviene da una stessa fonte) è una entità unitaria che abbraccia sia la parte dichiarata che la maggior parte accertata, e non può essere imputato una parte in un modo e una parte in un altro .
Propone ricorso per cassazione la contribuente con due motivi. Propone altresì ricorso successivo l’Agenzia delle entrate con due motivi, cui resiste la contribuente con controricorso.
3.1. Sia l’Agenzia delle entrate che la contribuente depositano ampie memorie (rispettivamente in data 24 aprile 2025 e 2 maggio
2025) ad ulteriore sostegno delle rispettive conclusioni ed in chiave di replica alle argomentazioni avversarie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I ricorsi, siccome rivolti avverso la medesima sentenza, devono essere riuniti.
Con il primo motivo del ricorso principale la contribuente denuncia: ‘Violazione dell’art. 360 comma 1 n. 5 cpc per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione agli artt. 132 e 161 stesso codice e artt -36 e 61 D.Lgs. n. 546/1992, 118 disp. att. cpc e 2697 cc’.
2.1. ‘Nel corso del giudizio di merito la ricorrente ha documentalmente dimostrato attraverso l’elenco prodotto che i versamenti in banca ammontavano ad €. 541.361,24 effettuati presso la Cariprato e presso il Monte dei Paschi di Siena meglio specificati per trimestre successivamente. L’importo dei versamenti è comprensivo di €. 299.250,00 relativo ad un mutuo erogato dal Credito Fondiario, di €. 40.000,00 per finanziamento Balanesi, e di €. 200,00 da assegno bancario da prestito per rimborso spese, per un totale di €. 341.250,00 (541.361,24 -341.250,00) = 200.111,24. Il mutuo erogato alla ricorrente, in data 16/5/2007, il successivo giorno 17/5 veniva girato sul conto di COGNOME NOME, marito della COGNOME, per l’importo di € 290.000,00 per investirlo in titoli che al momento sembravano più convenienti. Poco dopo, i titoli sono stati disinvestiti importo è stato riversato, attraverso varie tranches, sul conto della COGNOME tra cui, in data 30/5/2007, € 40.000,00. Si allegano i due estratti conto. Veggasi anche estratto conto del Monte dei Paschi allegato n. 1 all’atto di appello e non esaminato dalla CTR di Firenze. La ricorrente ha dichiarato ricavi pari a €. 218.929,00. Successivamente, in sede di accertamento con adesione, a dire il
vero, l’ufficio avrebbe riconosciuto i versamenti di contante transitati dal conto cassa al conto banca per € 117.265,00 perché rimaneva difficile contestare il fatto che la ricorrente, per l’oggetto della sua attività, riscuoteva molto denaro in contante, nonché l’importo di €. 8.450,00 transitato dal conto di appoggio della banca per il pagamento della rata di mutuo e l’assegno di €. 2.900,00 per rimborso assicurativo di COGNOME NOME, marito della ricorrente (veggasi allegato 1 al ricorso di primo grado). Per quanto riguarda, invece, i prelevamenti, la ricorrente produceva copia degli assegni emessi nei confronti dei fornitori e della dipendente COGNOME NOME . Ebbene, su queste circostanze, rilevanti e decisive, le commissioni tributarie di merito non hanno motivato ‘. Il motivo riporta poi testualmente le motivazioni rispettivamente delle sentenze di primo e secondo grado. Indi riprende: ‘La sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Lucca pur essendo stata ritenuta dalla ricorrente errata, contraddittoria , però ha un senso dal punto di vista fattuale, perché ha riconosciuto, quantomeno in parte, la differenza tra i versamenti effettuati in banca ed i ricavi dichiarati . Al contrario, la sentenza della CTR di Firenze appare certo che ha travisato i fatti ‘.
2.2. Il motivo, non inammissibile, in quanto enuncia precise circostanze di fatto, risultanti da documenti debitamente ‘localizzati’ nei fascicoli di merito, è fondato.
In tema di accertamenti fondati su indagini bancarie o finanziarie, questa S.C. insegna che, ‘in tema di accertamenti bancari, gli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della
riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze’ (cfr., ad es., Cass. n. 13112 del 2020). In ragione di quanto precede, la presunzione ‘consente all’Amministrazione finanziaria di riferire ‘de plano’ ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente’ (Cass. n. 10249 del 2017). Ciò significa che, ‘qualora l’accertamento effettuato dall’Ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova, non generica, ma analitica, per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili’ (in termini, da ultimo, Cass. n. 15857 del 2016). Donde, ‘poiché il contribuente ha l’onere di superare la presunzione posta dagli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, il Giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione’ (Cass. n. 10480 del 2018). Ne consegue che ‘l’utilizzazione dei dati acquisiti presso le aziende di credito quali prove presuntive di maggiori ricavi o operazioni imponibili, ai sensi degli artt. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, non è subordinata alla prova che il contribuente eserciti attività d’impresa
o di lavoro autonomo, atteso che, ove non sia contestata la legittimità dell’acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, i medesimi possono essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta (impresa, arte o professione), sia per quantificare il reddito da essa ricavato, incombendo al contribuente l’onere di provare che i movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni non sono fiscalmente rilevanti’ (così, da ultimo, Cass. n. 25812 del 2021).
La CTR ha fatto malgoverno dei superiori principi.
A fronte dell’analiticità delle giustificazioni offerte dai contribuenti, essa, anziché esaminarle ed eventualmente confutarle altrettanto analiticamente, s’è in sostanza appiattita su una motivazione generica ed onnicomprensiva, compendiata nell’affermazione, del tutto astratta, siccome priva di alcun effettivo radicamento nel quadro documentale acquisito agli atti, secondo cui la società non avrebbe fornito la ‘prova analitica , con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili’.
Con il secondo motivo del ricorso principale la contribuente denuncia: ‘Violazione dell’art. 360 comma 1 n. n. 3 e n. 5 cpc per violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 132 stesso codice e all’art. 8 del DPR n. 917/1986 e alla sentenza della Corte Costituzionale n. 225/2005 e art. 53 Costituzione’.
3.1. ‘Con l’atto di appello la ricorrente aveva dedotto che, in ogni caso, la Commissione Tributaria, a fronte di maggiori ricavi avrebbe dovuto riconoscere, sia pure in via forfettaria, maggiori costi e questo in applicazione della sentenza dell’8 giugno 2005 n. 225 della Corte Costituzionale ‘. La contraria motivazione della
sentenza impugnata è palesemente in contrasto con la sentenza di cui sopra. La ricorrente ha richiesto il riconoscimento dei costi nella ipotesi in cui la CTR non avesse accolto la sua domanda che riteneva e ritiene fondata, come di fatto è avvenuto, pur ritenendo illegittimo l’accertamento per i motivi innanzi esposti. La sentenza anche sotto questo profilo è pienamente censurabile ‘.
3.2. Il motivo è fondato e merita accoglimento.
Si applica il principio per cui, ‘in tema di accertamento dei redditi con il metodo analitico -induttivo, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 10 del 2023, che ha operato un’interpretazione adeguatrice dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. del 1973, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale forfettaria di costi di produzione, che vanno quindi detratti dall’ammontare dei maggiori ricavi presunti’ (Cass. n. 18653 del 2023).
Da quanto precede emerge l’erroneità della sentenza impugnata, per l’effetto da cassarsi, nella parte in cui non riconosce, in mancanza di idonea documentazione, una incidenza percentuale di costi presunti a fronte di maggiori ricavi: costi per la determinazione dei quali ben è possibile che il giudice di merito disponga -se del caso -consulenza tecnica d’ufficio (in tal senso, Cass. n. 5586 del 2023, con riguardo ad analoga fattispecie).
Può ora procedersi alla disamina del ricorso successivo.
Con il primo motivo di esso l’Ufficio denuncia: ‘Nullità della sentenza per violazione dell’articolo 57 del D.Lgs. n. 546/1992 e dell’articolo 112 cod. proc. civ., in relazione all’articolo 360, n. 4), cod. proc. civ.’.
5.1. ‘a pronuncia di appello ha accolto il gravame della controparte contribuente, sulla base di un motivo di appello ‘nuovo”‘(la necessità che il maggior reddito dell’impresa della Sig.ra COGNOME dovesse essere imputato ‘pro quota’ anche ai collaboratori familiari della stessa) che non era stato sollevato in primo grado con specifico motivo di ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Lucca. Come infatti anticipato, l’interezza del ricorso di primo grado della Sig.ra COGNOME era incentrata su una contestazione di ‘merito’ dell’avviso di accertamento ad ella rivolto (cfr. pagg. dalla seconda alla settima del ricorso): , mentre l’anzidetta questione della ‘concorrenza’ dei collaboratori familiari nell’imputazione del maggior reddito è inammissibilmente comparsa solo ‘in cauda’ dell’atto di appello (cfr. pag. 5 del relativo atto, ove si legge che ‘il maggior reddito doveva essere ripartito tra i collaboratori familiari COGNOME NOME per il 25% e COGNOME NOME per il 24%’). Risultando dunque acclarato che tale questione non è stata giammai proposta in primo grado dalla difesa della Sig.ra COGNOME la Commissione Tributaria Regionale l’ha pertanto indebitamente accolta ‘.
5.2. Il motivo è fondato e merita accoglimento.
La questione dell’imputabilità ‘pro quota’ del reddito accertato in ragione dell’impresa familiare cui la contribuente partecipava con altri soggetti non consta sollevata con il ricorso introduttivo del giudizio (giusta fotoriproduzione di questo nel motivo a fini di autosufficienza), ragion per cui costituiva un ‘novum’ non consentito in appello.
Donde la CTR non avrebbe potuto delibarla, né, ‘a fortiori’, accoglierla. Invero, per costante giurisprudenza, ‘nel processo tributario d’appello, la nuova difesa del contribuente, ove non sia riconducibile all’originaria ‘causa petendi’ e si fondi su fatti diversi
da quelli dedotti in primo grado, che ampliano l’indagine giudiziaria ed allargano la materia del contendere, non integra un’eccezione, ma si traduce in un motivo aggiunto e, dunque, in una nuova domanda, vietata ai sensi degli artt. 24 e 57 del d.lgs. n. 546 del 1992′ (così, da ult., Cass. n. 32390 del 2022). Ancora, ‘nel processo tributario, caratterizzato dall’introduzione della domanda nella forma della impugnazione dell’atto tributario per vizi formali o sostanziali, l’indagine sul rapporto sostanziale non può che essere limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’Amministrazione che il contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado, con la conseguenza che, ove il contribuente deduca specifici vizi di invalidità dell’atto impugnato, il giudice deve attenersi all’esame di essi e non può, ‘ex officio’, annullare I provvedimento impositivo per vizi diversi da quelli dedotti, anche se risultanti dagli stessi elementi acquisiti al giudizio, in quanto tali ulteriori profili di illegittimità debbono ritenersi estranei al ‘thema controversum’, come definito dalle scelte del ricorrente. L’oggetto del giudizio, come circoscritto dai motivi di ricorso, può essere modificato solo nei limiti consentiti dalla disciplina processuale e, cioè, con la presentazione di motivi aggiunti, consentita però, ex art. 24 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nel solo caso di ‘deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione” (Cass. n. 19337 del 2011).
6. Il motivo in disamina deve essere accolto, con relativo effetto cassatorio della sentenza impugnata, restando assorbito il secondo motivo del ricorso agenziale, volto a denunciare ‘violazione e falsa applicazione dell’articolo 5 del T.U.I.R. n. 917/1986 e dell’articolo 230 -bis cod. civ., in relazione all’articolo 360. n. 3), cod. proc. civ.’, sul rilievo che la ‘decisione’ della CTR è ‘anche erronea in punto di diritto sostanziale’.
In definitiva: il ricorso principale della contribuente va integralmente accolto; il ricorso incidentale dell’Agenzia va accolto nel primo motivo, assorbito il secondo.
Ne consegue l’annullamento in relazione della sentenza impugnata, con rinvio alla CGT -2 della Toscana, per nuovo esame e, all’esito, altresì per la definitiva regolazione tra le parti delle spese, comprese quelle del presente giudizio.
P.Q.M.
Dà atto della riunione dei ricorsi principale della contribuente e successivo dell’Agenzia delle entrate.
Accoglie integralmente il ricorso principale.
Accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo.
Cassa in relazione ai motivi accolti la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, per nuovo esame e per le spese, comprese quelle del presente giudizio.
Così deciso a Roma, lì 16 maggio 2025.