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Accertamento bancario: onere della prova del Fisco

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20854/2024, ha stabilito che in caso di accertamento bancario, spetta all’Agenzia delle Entrate l’onere di provare la specifica natura del reddito contestato. La sola iscrizione a un albo professionale non è sufficiente per qualificare i versamenti ingiustificati come reddito da lavoro autonomo. La Corte ha quindi confermato la classificazione dei proventi come ‘redditi diversi’, rigettando il ricorso del Fisco.

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Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento Bancario: Quando il Fisco Deve Provare la Fonte del Reddito

L’accertamento bancario rappresenta uno degli strumenti più efficaci a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per contrastare l’evasione fiscale. Tuttavia, quali sono i limiti del suo utilizzo e, soprattutto, su chi grava l’onere di qualificare la natura dei redditi emersi? Con la recente ordinanza n. 20854 del 25 luglio 2024, la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali, ribadendo un principio fondamentale a tutela del contribuente: l’onere della prova sulla specifica fonte del reddito spetta al Fisco.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un’attività di verifica della Guardia di Finanza nei confronti di un professionista, architetto e amministratore di una società edile. A seguito di indagini sui conti correnti personali e della moglie, emergevano numerosi versamenti ingiustificati per un importo complessivo di circa 79.000 euro nell’anno 2008.

Sulla base di questi elementi, l’Agenzia delle Entrate emetteva un avviso di accertamento, qualificando tali somme come redditi derivanti da lavoro autonomo e, di conseguenza, assoggettandole non solo a IRPEF, ma anche a IVA e IRAP. La tesi del Fisco si fondava sul fatto che il contribuente, pur avendo temporaneamente sospeso la partita IVA, era rimasto iscritto al proprio albo professionale.

Il contribuente impugnava l’atto, sostenendo che, in assenza di prove concrete, tali somme avrebbero dovuto essere classificate, al più, nella categoria residuale dei “redditi diversi”, come peraltro ipotizzato inizialmente dagli stessi verbalizzanti della Guardia di Finanza.

L’Onere della Prova nell’Accertamento Bancario

Il cuore della controversia giuridica si è concentrato sulla corretta qualificazione del reddito e sul relativo onere probatorio. Se da un lato è pacifico che i versamenti bancari non giustificati costituiscano una presunzione di maggior reddito, dall’altro è emerso il problema di stabilire a chi spetti provare la loro esatta natura.

La Commissione Tributaria Regionale, riformando la decisione di primo grado, aveva accolto le ragioni del contribuente. I giudici di secondo grado avevano ritenuto che l’Agenzia delle Entrate non avesse fornito alcuna prova concreta che collegasse i versamenti all’attività professionale di architetto. L’iscrizione all’albo, da sola, non poteva essere considerata un elemento sufficiente a sostenere l’accusa.

L’Amministrazione Finanziaria, non soddisfatta, ha proposto ricorso in Cassazione, insistendo sul fatto che spettasse al contribuente dimostrare che i redditi percepiti non derivassero dall’attività libero professionale.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando in toto la decisione dei giudici d’appello. Gli Ermellini hanno chiarito un punto fondamentale: la presunzione legale relativa ai versamenti bancari non si estende fino a qualificarne automaticamente la natura.

Secondo la Corte, l’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di fornire elementi probatori, anche presuntivi, che siano però gravi, precisi e concordanti, per dimostrare che il reddito accertato derivi da una specifica fonte, come quella del lavoro autonomo. Nel caso di specie, il Fisco si era limitato a fondare la propria pretesa su semplici congetture e sospetti, come la mancata cancellazione dall’albo degli architetti. Questo elemento è stato giudicato “troppo isolato e labile” per assurgere al rango di indizio e, quindi, per sostenere la qualificazione del reddito come professionale.

In assenza di tale prova, la Corte ha ritenuto corretta la decisione della CTR di classificare le somme nella categoria dei “redditi diversi”, connessi alla posizione del contribuente quale amministratore della società edile, come desumibile dal complesso delle attività di verifica.

Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un importante principio di garanzia per il contribuente. Sebbene i versamenti ingiustificati sui conti correnti possano legittimamente far scattare un accertamento, non è sufficiente per il Fisco contestare un maggior reddito in modo generico. L’Agenzia delle Entrate deve provare, con elementi concreti, la specifica categoria reddituale a cui tali somme appartengono, soprattutto quando da tale qualificazione derivano obblighi ulteriori come il versamento di IVA e IRAP. Per i professionisti e gli amministratori di società, ciò significa che la sola iscrizione a un albo o il rivestire una carica non possono, da soli, trasformare ogni entrata non giustificata in reddito professionale, ponendo un freno a presunzioni fiscali prive di un solido fondamento probatorio.

I versamenti non giustificati sul conto corrente sono sempre considerati reddito tassabile?
Sì, la sentenza conferma che i versamenti bancari per i quali il contribuente non è in grado di fornire una giustificazione sono legittimamente presunti come reddito imponibile.

A chi spetta dimostrare la specifica natura di un reddito emerso da un accertamento bancario?
Spetta all’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare la specifica fonte del reddito (es. lavoro autonomo, d’impresa, ecc.). Il Fisco non può basarsi su semplici sospetti o congetture, ma deve fornire prove, anche presuntive, purché gravi, precise e concordanti.

L’iscrizione a un albo professionale è una prova sufficiente per qualificare un reddito come professionale?
No, secondo la Corte di Cassazione, la sola iscrizione a un albo professionale è un elemento di sospetto troppo debole e isolato per poter, da solo, qualificare un reddito come derivante da attività di lavoro autonomo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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