Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12721 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 12721 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5196/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro-tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresent ata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al ricorso,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 7045/31/2016, depositata il 18 luglio 2016;
AVVISO ACCERTAMENTO IRES -IVA-IRAP 2010.
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4 marzo 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME viste le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del quinto motivo di ricorso, per la declaratoria di inammissibilità del secondo, quarto e sesto motivo e per il rigetto dei restanti motivi;
FATTI DI CAUSA
A seguito di processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza di Ottaviano, l’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale II di Napoli notificava, in data 25 febbraio 2013, nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE, con il quale accertava, per l’anno d’ imposta 2010, un ammontare di componenti postivi di reddito pari a € 1.265.584,00 , e componenti negativi per € 11.163,00 (mancato riconoscimento di costi), con conseguente determinazione di un maggiore reddito di impresa per complessivi € 531.649,00 (di cui € 279.462,00 a titolo di IRES, € 203.213,00 a titolo di IVA ed € 48.974,00 a titolo di IRAP), oltre ad € 58.903,00 a titolo di sanzione per omessa autofatturazione, ed oltre interessi ed accessori come per legge.
Avverso tale avviso di accertamento, la società proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, la quale, con sentenza n. 6353/30/2015, depositata il 16 marzo 2015, accoglieva parzialmente il ricorso.
In particolare, il giudice di primo grado riteneva giustificate alcune movimentazioni bancarie (in particolare, i bonifici eseguiti in favore di destinatari specificamente indicati), i cui importi venivano quindi scomputati dalle risultanze dell’accertamento e, limitatamente alla questione delle sanzioni, riteneva che esse andassero rideterminate in relazione al minor reddito accertato, e quindi in relazione ai prelevamenti che non potevano essere considerati come costi produttivi di ricavi.
Interposto gravame dalla società, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 7045/31/2016, pronunciata l’11 luglio 2016 e depositata in segreteria il 18 luglio 2016, rigettava l’appello, con condanna della parte appellante al pagamento delle spese di giudizio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, sulla base di nove motivi (ricorso notificato il 16 febbraio 2017).
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso .
Con decreto dell’11 dicembre 2024 è stata fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per la pubblica udienza del 4 marzo 2025.
La ricorrente ha depositato memoria.
All’udienza suddetta sono comparsi i procuratori delle parti, che hanno concluso come da verbale in atti.
Il Pubblico Ministero ha concluso per l’accoglimento del quinto motivo di ricorso, per la declaratoria di inammissibilità del secondo, quarto e sesto motivo e per il rigetto dei restanti motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso in esame è affidato, come si è detto, a nove motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione eccepisce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. , in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Nello specifico, la società contribuente rileva che avrebbe valenza di giudicato esterno, vincolante nel presente giudizio al n. in accertamento sul fine di evitare contrasto tra giudicati, la decisione 4231/48/2016 della C.T.R. della Campania, passata giudicato, afferente al diverso avviso di riguardante l’anno di imposta 2011, fondato tuttavia medesimo p.v.c. e contenente le medesime contestazioni.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione Europea, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Con tale motivo viene lamentata l’illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto non sarebbe stato instaurato preventivamente il contraddittorio obbligatorio, quantomeno rispetto all’IVA, previsto dalla normativa europea e, segnatamente dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, la società contribuente eccepisce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32, comma 1, num. 7), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in combinato disposto con l’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
In particolare, rileva la ricorrente che le indagini bancarie effettuate sui conti correnti della società e dei soci sarebbero state eseguite in modo irrituale, non essendo stata esibita e/o allegata, sia all’atto di accesso, che in sede di notifica del p .v.c.
e dell’avviso di accertamento, l’autorizzazione a d effettuare siffatte indagini.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600/1973 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3) e num. 4), dello stesso codice.
Secondo la società ricorrente la C.T.R. avrebbe erroneamente ritenuto non giustificate le operazioni di conto corrente, senza valutare la documentazione prodotta già alla G.d.F. e allegata dalla contribuente, idonea a giustificare tali operazioni, ed essendosi la corte regionale limitata ad allinearsi in modo acritico alla decisione di primo grado, senza fornire alcuna ulteriore spiegazione in relazione al materiale probatorio fornito al fine di assolvere all’onere probatorio gravante sulla contribuente.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso, parte ricorrente eccepisce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 32, 39, comma 2, e 40, comma 1, del d.P.R. n. 600/1973 per mancato riconoscimento dei costi occulti della produzione, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), dello stesso codice.
Ritiene, nello specifico, che l’avviso di accertamento sarebbe illegittimo nella parte in cui riterrebbe indeducibili i costi occulti sostenuti per la produzione dei ricavi accertati, ciò sul presupposto che, in sede di accertamento induttivo, spetterebbe alla contribuente la prova sui predetti costi.
1.6. Con il sesto motivo di ricorso, la società contribuente deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600/1973, degli artt. 24 e 111 Cost ., dell’art. 6 della CEDU per duplicazione del metodo accertativo e cumulo dei risultati,
in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3) e num. 4), dello stesso codice.
In particolare, secondo la ricorrente, l’accertamento compiuto dall’Ufficio sarebbe illegittimo in quanto avrebbe fatto malgoverno dell’accertamento di tipo analitico -induttivo, limitandosi a conteggiare un determinato numero di fatture per poi, unitamente ai prelevamenti e agli addebiti in conto corrente, determinare un importo qualificato come ricavi, così compiendo una sommatoria acritica tra i risultati dell’accertamento induttivo con quelli derivanti dall’accertamento analitico .
1.7. Con il settimo motivo di ricorso, la società ricorrente eccepisce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6, comma 8, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, degli artt. 3, 7, 12 e 17 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, per inapplicabilità della sanzione per omessa autofatturazione, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3) e num. 4), dello stesso codice.
Nello specifico, evidenzia, in primo luogo, l’inopponibilità dell’obbligo di auto -fatturazione per le operazioni rilevate induttivamente, attesa la mancata individuazione del soggetto nei confronti del quale non sarebbe stata emessa la fattura e, in secondo luogo, l’incompatibilità di detta sanzione sia con quelle applicate in tema di IVA, sia con la determinazione sugli stessi ricavi di una debenza a titolo di imposta.
1.8. Con l’ottavo motivo di ricorso, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 15 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per difetto di motivazione in ordine alla condanna alla refusione delle spese di giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice.
Con tale motivo viene censurata la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice avrebbe erroneamente applicato il novellato art. 15 del d.lgs. n. 546/1992, liquidando le spese del giudizio in favore dell’Ufficio nonostante la maggior parte dell’attiv ità processuale, di primo e di secondo grado, si fosse compiuta sotto la vigenza della vecchia disciplina del citato art. 15 (ante 1° gennaio 2016), che non avrebbe previsto la possibilità di liquidare le spese dell’Amministrazione finanziaria costituitasi in giudizio con propri funzionari sulla base della tariffa professionale forense.
1.9. Con il nono motivo di ricorso, la società contribuente eccepisce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, comma 3, e 25, comma 2 , del d.lgs. n. 472/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3) e num. 4), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, che, in sede di eventuale decisione nel merito, rispetto alla determinazione delle sanzioni, bisognerebbe tener conto della disciplina sanzionatoria in funzione della recente riforma del sistema, più vantaggiosa per il contribuente e che troverebbe, quindi, applicazione in ragione del principio della retroattività della sanzione più favorevole.
2 . Procedendo quindi all’esame de i motivi di ricorso, osserva la Corte quanto segue.
2.1. Il primo motivo è infondato.
Secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, la sentenza del giudice tributario che definitivamente accerti il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato periodo d’imposta fa stato, quanto ai tributi dello stesso tipo da questi dovuti per gli anni successivi, solo per gli elementi che abbiano un valore “condizionante” inderogabile
rispetto alla disciplina della fattispecie esaminata, sicché, laddove risolva una situazione fattuale riferita ad uno specifico periodo d’imposta, essa non può estendere i suoi effetti automaticamente ad un’altra annualità, ancorché siano coinvolti tratti storici comuni (cfr., ex plurimis , Cass. 2 dicembre 2021, n. 37936; Cass. 31 luglio 2019, n. 20586; Cass. 6 marzo 2018, n. 5210).
Nel caso in esame, il giudicato ha riguardato le operazioni di addebito per estinzione di fatture ed i costi sostenuti nel 2011, nonché la determinazione delle sanzioni conseguenti, poste contabili che riguardano la specifica annualità del 2011, e quindi si tratta di fatti inerenti ad un determinato periodo di imposta, privi del carattere della immutabilità nel tempo e quindi il relativo accertamento giudiziale non è estensibile ad una diversa annualità.
2.2. Il secondo motivo è inammissibile.
La questione riguardante la mancata attivazione del contraddittorio preventivo non risulta affrontata nella sentenza impugnata, e la ricorrente non ha dedotto in quale atto delle fasi di merito avrebbe sollevato detta questione.
2.3. Il terzo motivo è infondato.
Ed invero, «in tema di indagini bancarie, l’autorizzazione ex art. 51, comma 2, n. 7), d.P.R. n. 633 del 1972, esplica una funzione organizzativa, incidente nei rapporti tra uffici; pertanto, dalla sua mancata allegazione ed esibizione non discende l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite, poiché l’illegittimità dell’atto può derivare solo dalla sua materiale assenza e sempre che ne sia derivato un concreto pregiudizio
per il contribuente» (Cass. 23 febbraio 2024, n. 4853; Cass. 28 maggio 2018, n. 13353), pregiudizio non allegato nel caso in esame.
2.4. Il quarto motivo è invece fondato.
E’ stato in proposito chiarito che la presunzione ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 consente all’Ufficio di riferire de plano ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente, cui è fatta salva la prova contraria (Cass. 15 maggio 2013, n. 11624; Cass. 27 febbraio 2019, n. 5777). Peraltro, quanto al concreto atteggiarsi dell’onere probatorio, quello dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 cit., attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili (Cass. 27 giugno 2011, n. 14041; Cass. 26 aprile 2017, n. 10249; Cass. 29 luglio 2016, n. 15857; Cass. 20 marzo 2019, n. 7758).
Non è dunque sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sui conti correnti, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale (Cass. 18 settembre 2013, n. 21303; Cass. 11 marzo 2015, n. 4829).
Quello che viene richiesto al contribuente, a fronte delle risultanze bancarie addotte dalla Amministrazione, è la
analiticità della prova allegata. La sua specificità ed analiticità consente infatti di superare la presunzione di attribuzione dei versamenti e dei prelevamenti emergenti dal conto corrente dell’imprenditore, perché alla specificità della prova contraria deve far seguito una valutazione del giudice altrettanto analitica di quanto dedotto e documentato dal contribuente ( ex multis , Cass., 28 novembre 2018, n. 30786; 5 maggio 2021, n. 11696; 18 novembre 2021, n. 35258; cfr. anche 8 ottobre 2020, n. 21700). Pertanto, dalla stessa lettura delle norme, secondo la consolidata interpretazione resa dalla giurisprudenza di legittimità sull’art. 32 cit., così come sull’art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, i dati emergenti dall’esame delle movimentazioni bancarie sui conti correnti, a cui l’Amministrazione finanziaria abbia avuto accesso, sono presuntivamente riconducibili ad operazioni economiche del contribuente, e come tali confluiscono direttamente nel suo imponibile. Si tratta tuttavia di presunzione legale relativa, che può essere contrastata dalla prova contraria allegata dal contribuente. E sotto tale ultimo profilo si è affermato che «al fine del più ampio rispetto del principio costituzionale di capacità contributiva, nel processo, che sia instaurato a seguito di accertamenti sintetici e induttivi per la determinazione dell’obbligazione fiscale del soggetto giuridico d’imposta, costituisce principio a tutela della parità delle parti quello secondo cui all’inversione dell’onere della prova, che impone al contribuente l’allegazione di prove contrarie a dimostrazione della inesistenza del maggior reddito attribuito dall’Ufficio, deve seguire, ove a quell’onere di allegazione il contribuente abbia provveduto, un esame analitico da parte dell’organo giudicante,
che non può pertanto limitarsi a giudizi sommari, privi di ogni riferimento alla massa documentale entrata nel processo. Il principio, a garanzia della parità e del regolare contraddittorio processuale per la corretta definizione del rapporto giuridico d’imposta, è tanto più pervasivo quanto più si rifletta sulla limitazione di accesso nel settore tributario ai mezzi di prova, in parte inibiti dall’art. 7, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992» (Cass., 21700/2020 cit.).
Trattasi di un principio che trova applicazione anche in tema di indagini bancarie e della previsione di una presunzione legale relativa in merito alla riconducibilità a reddito delle movimentazioni bancarie rilevate dagli organi accertatori; così come, più in generale, si tratta di un principio che afferisce agli accertamenti induttivi cd. puri, nei quali al potere accertativo esplicato dall’Amministrazione finanziaria anche mediante il solo ricorso a presunzioni pur prive di gravità, precisione e concordanza, così come impone l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, qualora a tale onere questi abbia adempiuto, obbliga l’organo giudicante ad un vaglio altrettanto analitico delle prove presuntive e delle controprove allegate (Cass. 13 ottobre 2022, n. 30001; v. anche Cass. 28 novembre 2018, n. 30786).
Ebbene, nel caso di specie la difesa della società aveva rappresentato, sia in primo grado che in appello, le ragioni a giustificazione delle operazioni bancarie riscontrate in sede di verifica ovvero della loro non imponibilità, come si desume dagli stralci degli atti riprodotti nel ricorso ai fini dell’autosufficienza Occorreva pertanto una analitica valutazione delle controprove allegate dalla ricorrente, che invece la corte regionale ha del
tutto omesso, pronunciando una sintetica statuizione, secondo cui la parte non avrebbe fornito la prova su di lei pur incombente in ragione dell’assenza di dichiarazione e riproduzione nelle scritture contabili della documentazione fiscale reperita presso la società e presso le banche. Ciò, quanto meno, evidenzia un giudizio illogico ed apparente, che conseguentemente si riflette sul governo dei principi enunciati in ordine alle prove presuntive supersemplici e all’onere probatorio del contribuente, quando a questo risulta avervi provveduto.
In altri termini sarebbe stato necessario che il giudice regionale, a fronte degli elementi addotti dal contribuente a confutazione delle prove legali acquisite nell’accertamento, avesse analizzato la prova contraria, mentre di ciò non vi è traccia nella sentenza.
2.5. Anche il quinto motivo è fondato.
E’ stato di recente affermato che «In tema di accertamento dei redditi con il metodo induttivo ‘puro’ ed anche analitico -induttivo, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 10 del 2023, che ha operato un’interpretazione adeguatrice dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. del 1973, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale forfettaria di costi di produzione, che vanno quindi detratti dall’ammontare dei maggiori ricavi presunti» (Cass. 3 luglio 2023, n. 18653; Cass. 28 novembre 2022, n. 34996).
2.6. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile.
Le censure sollevate dal ricorrente si appuntano non già sulla sentenza impugnata , ma sull’avviso di accertamento , ed attengono a questioni di fatto, insindacabili in questa sede.
2.7. Il settimo motivo è fondato.
Invero, stante l’accoglimento del quarto motivo, dovendo il giudice di merito rivedere le giustificazioni addotte dalla contribuente in relazione alle movimentazioni bancarie oggetto di verifica, ciò determina anche la necessità di rivedere l’ammontare del le operazioni di acquisto per le quali sarebbe stata omessa la fatturazione.
2.8. L’ottavo motivo sul regolamento delle spese ed il nono motivo sul favor rei in relazione al trattamento sanzionatorio restano assorbiti , tenuto conto dell’accoglimento dei motivi precedenti.
La sentenza impugnata deve quindi essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto, quinto e settimo motivo di ricorso; rigetta il primo e terzo motivo, e dichiara inammissibili il secondo e sesto ; dichiara assorbiti l’ottavo e nono mot ivo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 4 marzo 2025.