Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4835 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5   Num. 4835  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9376/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMAINDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente- nonché
NOME,  domiciliato  ex  lege  in  ROMA,  INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
nonché
NOME, domiciliata  ex  lege  in  ROMA,  INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro
tempre, domiciliata ex lege in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA RAGIONE_SOCIALE STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA SICILIA – SEZ.DIST. CATANIA n. 8680/2021 depositata il 04/10/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
All’esito di indagini bancarie, per l’anno di imposta 2009, l’Ufficio recuperava a tassazione il maggior reddito accertato nei confronti dello RAGIONE_SOCIALE. Nello specifico, le indagini si incentravano sui movimenti nei conti correnti intestati allo studio, dove confluivano i flussi finanziari dell’attività professionale ed anche i relativi compensi. Il confronto endoprocedimentale rendeva chiarezza di alcune riprese che erano annullate, rimodulando al ribasso la pretesa impositiva. Senonché le posizioni rimanevano distanti, donde erano emessi gli atti impositivi nei confronti dello RAGIONE_SOCIALE e, per l’effetto, anche dei soci in proporzione alla percentuale di partecipazione. La parte privata adiva il giudice di prossimità, trovando pieno accoglimento delle proprie ragioni, donde interponeva appello la parte pubblica.
Il  secondo  grado  vedeva  il  parziale  accoglimento  delle  ragioni erariali, con rimodulazione dell’originaria ripresa a tassazione.
Ricorre la parte contribuente svolgendo tre motivi di censura, cui replica il patrono erariale con tempestivo controricorso.
In prossimità dell’adunanza, la parte contribuente ha depositato memoria ad illustrazione delle proprie ragioni.
CONSIDERATO
In via preliminare di rito, occorre rilevare che nell’intestazione dell’atto non risulta ricorrere anche in proprio il socio COGNOME NOME, non di meno, egli risulta aver conferito procura alle liti anche in tale
veste,  donde  l’omissione  può  essere  ritenuta lapsus  calami ed  il ricorso può essere scrutinato.
Vengono proposti tre strumenti di ricorso.
Con il primo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 4 del codice di procedura civile per violazione e  falsa  applicazione  dell’articolo  112  e  342  del  medesimo  codice ovvero  omessa  pronuncia  in  ordine  alla  doglianza  sull’illegittimità dell’accertamento ‘per masse’, cioè la procedura adottata dall’Uffi cio che,  in  luogo  di  accertare  puntualmente,  posta  per  posta,  le movimentazioni bancarie, le ha accorpate per profili omogenei.
Con il secondo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360,  primo  comma,  numero  3  del  codice  di  procedura  civile  per violazione  e  falsa  applicazione  degli  articoli  32,  38  e  39  del  DPR numero 600 del 1973 e dell’articolo 54 del DPR numero 633 del 1972 ovvero  ricostruzione  della  capacità  contributiva  attraverso  una contestazione ‘per massa’.
Con il terzo motivo ed ultimo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 del codice civile,  dell’articolo  54,  secondo  comma,  del  DPR  numero  633  del 1972,  e  dell’articolo  39  del  DPR  numero  600  del  1973  per  non corretta applicazione del canone di riparto dell’onere della prova.
Il primo motivo non può essere accolto. Come meglio si dirà trattando del motivo che segue, preme comunque fin da subito precisare che in tema di indagini bancarie ai sensi dell’articolo 32 del DPR numero 600 del 1973, l’onere della prova a carico dell’Uff icio è assolto con i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, senza quindi particolare onere di motivazione dell’atto impositivo che ne scaturisce, né vi è necessità di contestazione analitica, essendo sufficienti le risultanze dei conti correnti, aggregate o meno, per far scattare l’inversione dell’onere della prova.
4.1. Né può parlarsi di omissione di pronuncia. Occorre infatti richiamare il principio generale per cui non è omissione di pronuncia la statuizione incompatibile con le richieste di parte.
4.2. Nel dettaglio, è stato affermato che non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n.2355). Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n. 1537). Secondo risalente insegnamento di questa Corte, al giudice di merito non può invero imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. V, n. 5583/2011).
Il primo motivo non può dunque essere accolto.
Il secondo  ed  il terzo motivo  possono  essere  trattati congiuntamente per evidenti elementi di connessione che li legano, attenendo alle modalità di indagine ed all’onere della prova. Con il secondo  motivo,  infatti,  si  critica  la  ricostruzione  della  capacità
contributiva ‘per masse’, cioè per aggregazioni di movimentazioni bancarie, mentre con il terzo motivo si critica il riparto dell’onere della prova.
Occorre premettere che da tempo è consolidato l’orientamento per cui le movimentazioni bancarie si presumono  operazioni connesse alla produzione di reddito, di talché l’Ufficio non è tenuto a dimostrare  altro,  mentre  spetta  al  contribuente  fornire  la  prova analitica  per  singola  posta  del  suo  carattere  non  imponibile  o  già computato.
In  particolare,  occorre  richiamare  quanto  già  statuito  in  più occasioni  e  qui  di  seguito  nuovamente  esposto,  anche  alla  luce dell’intervento del Giudice delle leggi.
Infatti, in tema d’imposte dirette, la presunzione legale (relativa) di disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari ex art. 32, comma 1, nn. 2 e 7, d.P.R. n. 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari di redditi d’impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, indipendentemente dalla categoria reddituale a cui siano riferibili i proventi accertati, fermo restando che, in considerazione della sentenza della Corte cost. n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo esclusivamente nei confronti dei titolari di redditi d’impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti (così Cass. T., n. 35618/2023), pertanto, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti (cfr. Cass. V, n. 29572/2018). Peraltro, trattandosi qui dell’anno di imposta 2009, giova precisare che in tema di prelevamenti e versamenti sui conti correnti bancari, gli effetti della dichiarazione di
incostituzionalità dell’art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973 ad opera della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014 – che ha ritenuto irragionevole e contraria al principio di capacità contributiva la presunzione che i prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo sia a sua volta produttivo di reddito – retroagiscono e si applicano anche ai rapporti giuridici non consolidati e non coperti da decisioni passate in giudicato (cfr. Cass. V, n. 2250/2021).
5.1.  Nel  caso  concreto,  trattandosi  di  studio  professionale, restano rilevanti i versamenti, nei termini di cui sopra. Peraltro, lo stesso Ufficio ha rimodulato i versamenti tenendo conto di quanto ricevuto quale provvista per assolvere gli oneri tributari nei confronti dei clienti.
Tuttavia, attesa la già richiamata generalità di rilevanza delle indagini bancarie, occorre ricordare che già da tempo è stato affermato come l’utilizzazione dei dati acquisiti presso le aziende di credito quali prove presuntive di maggiori ricavi o operazioni imponibili, ai sensi degli artt. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, non è subordinata alla prova che il contribuente eserciti attività d’impresa o di lavoro autonomo, atteso che, ove non sia contestata la legittimità dell’acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, i medesimi possono essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta (impresa, arte o professione), sia per quantificare il reddito da essa ricavato, incombendo al contribuente l’onere di provare che i movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni non sono fiscalmente rilevanti (cfr. Cass. V, n. 5135/2017), precisandosi anche di recente che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento
effettuato dall’Ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (così Cass. T., n. 2928/2024).
5.2.  In  definitiva,  nel  caso  in  esame,  le  risultanze  dei  conti correnti costituiscono motivazione dell’atto impositivo e spettava alla parte contribuente superare la presunzione legale (semplice) per cui ogni movimento bancario è indice di attività imponibile. La diffusa motivazione della sentenza in scrutinio esamina e bilancia il diverso apporto probatorio, giungendo  ad  un  risultato che esula dal perimetro di cognizione di questa Suprema Corte di legittimità.
I motivi secondo e terzo non possono quindi essere accolti.
In conclusione , il ricorso è infondato e dev’essere rigettato, le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La  Corte  rigetta  il  ricorso.  Condanna  la  parte  ricorrente  al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €. cinquemila/00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16/01/2025.