Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21374 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21374 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 30/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6550/2016 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. dell’EMILIA ROMAGNA -BOLOGNA n. 1690/2015 depositata il 05/08/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
NOME , esercente dal 1995 attività di ‘intermediario nel commercio di mobili, articoli per la casa e ferramenta’, era attinto da due questionari nn. Q00391/2011 e NUMERO_DOCUMENTO, recanti invito a fornire giustificazioni in ordine alla propria posizione reddituale per le annualità 2007 e 2008.
Dopo verifiche in contraddittorio, ritenuti inattendibili i redditi dichiarati dal contribuente, ed esperite indagini finanziarie sui conti correnti al medesimo riferibili, l’Ufficio, reputate insufficienti le giustificazioni addotte in relazione a molteplici operazioni di prelevamento e versamento, ai sensi degli artt. 32 nn. 2 e 7 dpr 600/73 e 51 dpr 633/1972, emetteva gli avvisi di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO/NUMERO_DOCUMENTO per il 2007, recuperando maggiori Irpef per euro 19.609,00, Irap per euro 2.130,00 ed Iva per euro 2.380,00, e n. NUMERO_DOCUMENTO per il 2008, recuperando maggiori Irpef per euro 18.696,00, Irap per euro 1.975,00 ed Iva per euro 3.380,00.
Il contribuente proponeva ricorso cumulativo avanti la CTP di Rimini. In particolare (cfr. pp. 2 e 3 ric.):
preliminarmente, si rilevava la differenza, sul piano probatorio, tra giustificazione dei versamenti e dei prelevamenti bancari, espressamente prevista dall’art. 32 commi 1 e 2 del DPR 600173 chiarita da Corte Cost. Sent. 8 giugno 2005 n. 225 che, ulteriormente, sanciva il principio per il quale gli uffici fiscali, a fronte di maggiori ricavi, devono altresì riconoscere proporzionali costi presuntivi (cfr. motivo A ricorso);
sempre in via preliminare, si rilevava la illegittimità dell’accertamento siccome non preceduto da PVC, in
violazione dell’art. 24 Legge n. 4/1929 (cfr. motivo B ricorso);
-nel merito, si dava analitica giustificazione dei movimenti bancari 2007 (cfr. motivo C ricorso) e di quelli relativi al 2008 (cfr. motivo D ricorso);
si evidenziava in ricorso (cfr. motivo E) la necessità di riconoscere maggiori costi presuntivi in proporzione ai maggiori ricavi;
si eccepiva la indeterminatezza della sanzione Iva, non avendo l’Ufficio specificato la fattispecie di riferimento (cfr. motivo F ricorso).
Indi (p. 5 ric.):
Nel corso del giudizio di primo grado, la difesa senza accennare di averla ottenuta. Dunque, con la detta memoria la eccepiva la mancanza agli atti della detta autorizzazione all’indagine finanziaria, richiesta ex lege a pena di illegittimità dell’intero procedimento di accertamento .
Con sentenza 21/01/14, la CTP accoglieva parzialmente il ricorso, riducendo i maggiori ricavi e rideterminando la pretesa fiscale nella misura di cui alla proposta di conciliazione avanzata dall’Ufficio in corso di giudizio.
Proponeva appello il contribuente, nella resistenza dell’Ufficio.
La CTR dell’Emilia Romagna, con la sentenza in epigrafe, rigettava il ricorso, così motivando:
In via preliminare deve essere respinta l’eccezione riguardante la mancata esibizione dell’autorizzazione alle indagini bancarie. Al riguardo deve considerarsi che il processo tributario è caratterizzato dall’introduzione della domanda nella forma dell’impugnazione dell’atto fiscale e dunque l’indagine sul rapporto sostanziale è limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’Amministrazione che il contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado. “Ne consegue che il giudice deve attenersi all’esame dei vizi di invalidità dedotti in ricorso “.
Sempre in via preliminare deve essere affrontata la questione relativa al “peso probatorio” da ascrivere alla indicazione del beneficiario del prelevamenti bancari effettuati dal contribuente.
Può dirsi oramai un approdo consolidato in giurisprudenza il principio che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’Ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente.
Quest’ultimo dunque deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili .
La semplice indicazione del beneficiario di un prelevamento di denaro, in mancanza di ulteriori elementi confermativi dell’operazione dichiarata dalla parte, non assume di per sé un valore dimostrativo idoneo a superare la presunzione legale stabilita dal citato art. 32.
Neppure deve ritenersi pertinente il richiamo alla sentenza n. 228 emessa in data 24.09.2014 dalla Corte Costituzionale, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, numero 2, secondo periodo del d.P.R. n. 600/73, in quanto la presunzione lvi stabilità “è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”.
Infatti la Corte ha puntualizzato che, sebbene imprenditore e lavoratore autonomo siano figure affini, esse si connotano per precise specificità che ne escludono l’assimilazione anche con riguardo alla disciplina prevista dalla disposizione censurata, caratterizzandosi la prima per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio rispetto all’apparato organizzativo che peculiarizza la seconda.
Orbene, dal 1995 il sig. COGNOME svolge attività di impresa quale l’intermediazione nel commercio di mobili, articoli per la casa e ferramenta e quindi la norma in oggetto trova piena applicazione.
Anche l’ulteriore eccezione preliminare riguardante l’omessa preventiva notifica del PVC, in violazione dell’art. 12 dello Statuto del Contribuente è infondata.
Nel caso di specie non ricorrono i presupposti fattuali della norma invocata.
Infatti tale fattispecie ricorre allorché la verifica venga svolta mediante accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali del contribuente, e non si estende all’ipotesi in cui la pretesa impositiva sia scaturita dall’esame di atti sottoposti all’Amministrazione finanziaria dallo stesso contribuente e da essa esaminati in ufficio.
Ineccepibile risulta altresì la sentenza della Commissione Provinciale impugnata in merito al rigetto della richiesta di riconoscimento del maggiori costi in relazione agli accertati maggiori ricavi non essendo stata fornita sul punto idonea dimostrazione.
Propone ricorso per cassazione il contribuente con quattro motivi; resiste l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo si denuncia: ‘Sulla assenza dell’autorizzazione alla verifica bancaria: confessione da parte dell’RAGIONE_SOCIALE entrate nel corso del giudizio di merito. Illegittimità della sentenza gravata per violazione degli artt. 2730 c.c. e 228 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p. c.’. ‘Gli avvisi di accertamento originariamente impugnati danno atto unicamente della circostanza che l’RAGIONE_SOCIALE entrate ha richiesto l’autorizzazione alle indagini finanziarie, ma in nessun punto evidenziano di averla ottenuta’. ‘Della circostanza dava atto nella memoria depositata nel primo grado di giudizio il 22.11.2013, allo spirare del termine di venti giorni prima della trattazione, fissato per le produzioni documentali nel rito tributario. La seconda memoria dell’Ufficio prodotta in primo grado, in data 04.12.2013, nulla osservava riguardo alla eccepita mancanza di autorizzazione, né (seppur tardivamente) la allegava. Con l’atto di appello, difensore ribadiva la assenza dell’autorizzazione alle
indagini finanziarie, che l’Ufficio aveva affermato di avere unicamente richiesto e sottolineava come l’Ufficio, nel primo grado di giudizio, mai l’aveva prodotta, né ne aveva ribadito l’esistenza e neppure ne aveva indicato gli estremi. Ciò realizzava una confessione da parte dell’RAGIONE_SOCIALE della inesistenza di tale autorizzazione’. ‘I giudici del gravame non hanno considerato il fatto che difensore, nell’eccepire la mancanza agli atti dell’autorizzazione alle indagini finanziarie, non ha scelto la via processuale dei “motivi aggiunti” -che non sarebbero effettivamente stati ammissibili – bensì della memoria illustrativa, proprio al fine di provocare la confessione dell’RAGIONE_SOCIALE entrate circa la mancanza dell’autorizzazione stessa’.
Il motivo è infondato.
È pacifico -per emergere dalla stessa narrativa del ricorso per cassazione, dianzi alla lettera riprodotto, che il contribuente, nel ricorso di primo grado, nulla ha dedotto in punto di inesistenza o mancata documentazione dell’autorizzazione allo svolgimento di indagini bancarie e finanziarie. Conseguentemente, descrivendo il ricorso di primo grado il perimetro delle questioni vertite, in ragione della natura impugnatoria del giudizio tributario, la denuncia dell’inesistenza dell’autorizzazione, proposta dal contribuente solo in appello sul rilievo della mancata produzione in giudizio da parte dell’RAGIONE_SOCIALE nonostante la menzione del suo ottenimento in avviso, costituiva, come correttamente rilevato dalla CTR, un ‘novum’ inammissibile.
Con il secondo motivo si denuncia: ‘Sulla rilevata illegittimità dell’accertamento per omessa previa notifica di processo verbale di constatazione: illegittimità della sentenza gravata in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia sulla portata dell’art. 24 legge n. 4/1929, in violazione dell’art. 112 c.p.c.’.
‘La sentenza impugnata ragiona unicamente in materia di Statuto del Contribuente (che parimenti si assumeva violato)
omettendo qualsivoglia pronuncia sulla portata dell’art. 24, Legge n. 4/1929 che, al contrario, prevede un generalizzato obbligo di emissione del PVC senza differenziare per tipologia di verifica fiscale’. Donde la violazione denunciata.
Il motivo è manifestamente infondato.
A venire in linea di conto è la ‘quaestio’ in sé della denunciata omissione di previa notifica del PVC, a prescindere dalle argomentazioni giuridiche ad essa sottese, e su tale ‘quaestio’ la CTR ha espressamente risposto, richiamando pertinente giurisprudenza di legittimità.
Né, pur a prescindere da ciò, la denuncia di omessa di siffatta omissione coglie nel segno. Viene in linea di conto finanche l’autorevole insegnamento del Massimo Consesso. Invero, Sez. U, n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637604 -01 – cui si deve il principio di diritto a termini del quale, ‘in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi ‘armonizzati’, mentre, per quelli ‘non armonizzati’, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito’ – osserva (in motivazione, par. IV.1, pp. 20 ss.) che le garanzie fissate nell’art. 12, comma 7, l. 212/2000 trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente; ciò, peraltro, indipendentemente dal fatto che l’operazione abbia o non
comportato constatazione di violazioni fiscali (cfr.: Cass. 15010/14, 9424/14, 5374/14, 2593/14, 20770/13, 10381/11). Nel senso indicato militano univocamente il dato testuale della rubrica (“Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”) e, soprattutto, quello del primo comma dell’art. 12 l. 212/2000 (coniugato con la circostanza che l’intera disciplina contenuta nella disposizione risulta palesemente calibrata sulle esigenze di tutela del contribuente in relazione alle visite ispettive subite ‘in loco’), che, esplicitamente, si riferisce agli “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”; ad operazioni, cioè, che costituiscono categorie d’intervento accertativo dell’Amministrazione tipizzate ed inequivocabilmente identificabili, in base alle indicazioni di cui all’art. 52, comma 1, d.p.r. 633/1972, richiamato, in tema di imposte dirette dall’art. 32, comma 1, d.p.r. 600/1973 e, in materia di imposta di registro, dall’art. 53 -bis d.p.r. 131/1986 .
Si è, dunque, in presenza di una situazione, in cui il ravvisare nella disposizione in rassegna la fonte di un generalizzato diritto del contribuente al contraddittorio fin dalla fase di formazione della pretesa fiscale comporterebbe un’inammissibile interpretazione ‘abrogans’ di parte qualificante del dato normativo. Ciò tanto più in considerazione del fatto che non irragionevole proiezione teleologica del riportato dato testuale -univocamente tendente alla limitazione della garanzia del contraddittorio procedimentale di cui all’art. 12, comma 7, l. 212/00 alle sole verifiche ‘in loco’ -è riscontrabile nella peculiarità stessa di tali verifiche, in quanto caratterizzate dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza
del contribuente alla diretta ricerca, quivi, in quanto intromissione pertinenza del di elementi peculiarità stessa di tali verifiche, valutativi a lui sfavorevoli: peculiarità, che specificamente giustifica, quale controbilanciamento, il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali.
Al riguardo, non può, d’altro canto, trascurarsi di riflettere, ulteriormente, sul fatto che Cass., ss.uu., 18184/13 -nel definire il principio di diritto affermato (in merito alla nullità, pur non espressamente comminata dell’atto impositivo emanato senza il rispetto del termine dilatorio di cui all’articolo 12, comma 7, l. 212/2000) -ha, non a caso, espressamente correlato la decorrenza del termine dilatorio, destinato all’espletamento del contraddittorio, al momento del rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni “al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività”.
Con il terzo motivo si denuncia: ‘Sulla non contestazione da parte dell’Ufficio rispetto alle giustificazioni dei movimenti bancari fornite dal ricorrente: illegittimità della sentenza gravata in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. per violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c.’. Il ricorrente giustificava analiticamente in ricorso e in appello sia i versamenti che i prelevamenti bancari contestati negli avvisi di accertamento e l’RAGIONE_SOCIALE, come precisato in premessa, non controdeduceva su tali giustificazioni, limitandosi a riprodurre la tabella dei movimenti bancari già indicata negli accertamenti 2007 e 2008. Della omessa contestazione si dava atto in appello. Invero, le controdeduzioni dell’Ufficio in primo grado riportano in tabella:
alle pagine 10 e 11 i versamenti 2007 ritenuti non giustificati;
alle pagine 12, 13 e 14 i prelevamenti 2007 ritenuti non giustificati;
alle pagine 15, 16 e 17 i versamenti 2008 ritenuti non giustificati;
e alle pagine 18, 19 e 20 i prelevamenti 2007 ritenuti non giustificati.
Tuttavia, l’ultima colonna a destra della tabella, intitolata ‘giustificazioni’ riproduce testualmente:
-quanto al 2007, le ‘giustificazioni’ già indicate nell’accertamento doc. l dal fascicolo del ricorrente alle pagine 4 e 5;
-quanto al 2008, le ‘giustificazioni’ già indicate nell’accertamento doc. 2 dal fascicolo del ricorrente sempre alle pagine 4 e 5 .
Sul punto la CTR Bologna: da un lato ha errato ‘in procedendo’ non considerando che tutte le giustificazioni ai movimenti bancari fornite dal ricorrente avrebbero dovuto essere considerate come fatti provati ex art. 115 c.p.c. e, dall’altro lato, ha completamente omesso di pronunciarsi violando contestualmente l’art. 112 c.p.c.’.
Il motivo, per come formulato, è inammissibile e, comunque, infondato.
Esso è inammissibile a misura che,
– da un lato, in violazione del principio di autosufficienza, non riproduce testualmente gli atti agenziali nei gradi di merito, ed in particolare nel primo, da cui risulterebbe specificamente ed immediatamente, e non deduttivamente od argomentativamente, la non contestazione, né altresì, a fronte del totale silenzio della sentenza impugnata, l’atto d’appello, da cui risulterebbe ‘funditus’ la devoluzione alla CTR di detta non contestazione, con chiara ed espressa richiesta di pronunciare sulla stessa [all’uopo è infatti insufficiente l’affermazione (cfr. p. 12 ric.) secondo cui ‘della
omessa contestazione si dava atto in appello’, assistita dal richiamo (nella nt. 23, ivi) di un circoscritto passaggio meramente argomentativo, e non propriamente devolutivo, dell’atto d’appello];
-dall’altro lato, in violazione del principio di precisione, omette di tenere conto della già operata riduzione di imponibili ed imposte effettuata, senza impugnazione da parte dell’Ufficio, dalla CTP, limitandosi a dedurre un’integrale coincidenza dell’elenco delle operazioni giustificate fornito in primo grado, su cui si sarebbe formata la non contestazione dell’Ufficio, con quello nuovamente fornito in secondo grado, nonostante, giust’appunto, la pronuncia parzialmente favorevole di primo grado (cfr. nt. 22 a p. 10: ‘Per comodità del giudicante, ritenuto che il raffronto tra le giustificazioni fomite dal ricorrente e la apodittica ripetizione dei rilievi di cui agli accertamenti sia determinante per la trattazione del motivo di impugnazione, si trascrivono le giustificazioni di cui al ricorso originario, fascicolo del ricorrente nel primo grado di giudizio, motivi C. e D., pagine da 8 a 15 prima riga, atteso che l’appello le riproduce in maniera identica’).
Esso -che, valga sottolineare, non denuncia alcun ‘error in iudicando’ della CTR in riferimento alla violazione dell’art. 32 DPR n. 600 del 1973 sotto il profilo delle modalità di confutazione del meccanismo presuntivo a favore dell’Amministrazione e dei corrispondenti oneri di verifica e motivazione incombenti sul giudice di merito -è altresì infondato sotto due concorrenti profili:
per un verso, dalla sua stessa formulazione si evince avere l’Ufficio, in primo grado, effettivamente ed integralmente disconosciuto le giustificazioni del contribuente, confermando, alla stregua di una non riprodotta tabella, quelle sole già ritenute in sede procedimentale e riversate finanche negli avvisi;
per altro verso, pretermette avere la CTR effettivamente valutato le giustificazioni del contribuente, con conseguente esclusione di alcuna omessa pronuncia, ritenendole, non solo
ancora controverse, ma altresì non idoneamente analitiche da superare la presunzione legale, in quanto non corroborate dall’evidenza di riconciliazioni con le poste dichiarate, sia perché, giusta richiamata giurisprudenza di legittimità, ‘non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente’ e sia perché ‘la semplice indicazione del beneficiario di un prelevamento di denaro, in mancanza di ulteriori elementi confermativi dell’operazione dichiarata dalla parte, non assume di per sé un valore dimostrativo idoneo a superare la presunzione legale stabilita dal citato art. 32’.
Con il quarto motivo si denuncia: ‘Sul diverso onere probatorio a carico del contribuente per la giustificazione dei versamenti e dei prelevamenti: illegittimità della sentenza gravata in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32, dpr 600/1973’. ‘Il ricorrente evidenziava sia in ricorso che in appello la differenza, in termini di prova contraria a carico del contribuente, prevista dall’art. 32 DPR 600/73 per i versamenti e per i prelevamenti’. ‘La CTR Bologna dapprima afferma (pagina 5 secondo capoverso) che ‘deve essere affrontata la questione relativa al «peso probatorio» da ascrivere alla indicazione del beneficiario dei prelevamenti bancari effettuati dal contribuente’, ma poi si esprime esclusivamente riguardo ai versamenti (pagina 5 quarto capoverso) affermando che il contribuente deve fornire ‘… una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili’, con ciò violando proprio il differente regime probatorio tra prelevamenti e versamenti di cui all’art. 32 DPR 600/73.
Il motivo è inammissibile.
Esso non si confronta con l’effettiva ‘ratio decidendi’ esibita dalla sentenza impugnata.
Invero, a differenza di quanto sostenuto nel motivo, la CTR, esclusa nella specie la rilevanza di Corte cost. n. 228 del 2014 per la natura imprenditoriale dell’attività esercitata dal contribuente, espressamente considera anche i prelevamenti, ritenendo, del tutto correttamente, rispetto a questi ultimi, che la semplice indicazione del beneficiario, in difetto di ulteriori elementi circostanziali idonei a suffragare per ciascuno la riconciliabilità, in punto di quantità e periodo, delle singole poste con la documentazione dei singoli esborsi, non basti a vincere la presunzione legale: ciò conformemente alla giurisprudenza di legittimità, del pari correttamente citata dalla CTR, a tenore della quale unico, analitico e dettagliato è l’onere della prova contraria volta alla giustificazione così dei versamenti come dei prelevamenti, riguardando entrambi l’estraneità delle movimentazioni, in quanto tali, dalla sfera degli imponibili.
In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’RAGIONE_SOCIALE le spese di lite, liquidate in euro 4.500, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 27 marzo 2024.