LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Accertamento bancario: onere della prova del contribuente

Un contribuente ha impugnato un avviso di accertamento fondato su versamenti bancari non giustificati e presunti redditi da investimenti esteri. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che in caso di accertamento bancario spetta al contribuente fornire una prova analitica e specifica della provenienza non imponibile di ogni singola movimentazione. Giustificazioni generiche, come il collegamento a proventi di società di persone, sono state ritenute insufficienti. La Corte ha inoltre ribadito la presunzione legale di redditività per gli investimenti esteri non dichiarati.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento Bancario: La Cassazione sul Rigoroso Onere della Prova del Contribuente

L’accertamento bancario rappresenta uno degli strumenti più efficaci a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per contrastare l’evasione fiscale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 18504 del 2024, ha ribadito con fermezza i principi che regolano l’onere della prova a carico del contribuente in questo specifico contesto, fornendo chiarimenti cruciali sulle giustificazioni ammissibili.

I Fatti di Causa: Versamenti Ingiustificati e Investimenti Esteri

Il caso ha origine da due avvisi di accertamento notificati a un imprenditore per gli anni d’imposta 2007 e 2008. L’Agenzia delle Entrate contestava due principali elementi:
1. Cospicui versamenti sui conti correnti personali del contribuente, per oltre 250.000 euro annui, ritenuti non giustificati e, pertanto, assimilati a reddito imponibile.
2. Redditi di capitale derivanti da finanziamenti erogati a una società con sede in Romania, di cui lo stesso contribuente era socio unico. Tali finanziamenti, non essendo stati dichiarati nel quadro RW della dichiarazione dei redditi, venivano presunti come fruttiferi.

La Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione all’Ufficio, confermando la legittimità degli accertamenti. L’imprenditore ha quindi proposto ricorso per Cassazione.

L’Accertamento Bancario e la Prova Contraria: I Motivi del Ricorso

Il contribuente ha basato la sua difesa su due argomentazioni principali.

In primo luogo, ha sostenuto che l’accertamento bancario dovrebbe essere utilizzato come extrema ratio e che, nel suo caso, le somme versate derivavano dai proventi di due società di persone di cui era socio. Poiché tali società operavano in regime di contabilità semplificata, gli incassi venivano gestiti direttamente dai soci.

In secondo luogo, ha contestato la presunzione di fruttuosità dei finanziamenti esteri, affermando che, trattandosi di una società di cui era socio unico, tali somme non potevano essere considerate produttive di reddito di capitale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto integralmente le tesi del ricorrente, offrendo motivazioni dettagliate su entrambi i punti.

L’Onere della Prova nell’Accertamento Bancario

Sul primo motivo, i giudici hanno riaffermato un principio consolidato: l’articolo 32 del d.P.R. n. 600/1973 introduce una presunzione legale (relativa, cioè superabile con prova contraria) secondo cui i versamenti su conti correnti bancari, se non giustificati, costituiscono reddito. Di conseguenza, si verifica un’inversione dell’onere della prova: non è l’Ufficio a dover dimostrare l’origine illecita delle somme, ma il contribuente a dover provare la loro natura non imponibile.
La Corte ha specificato che tale prova non può essere generica, ma deve essere analitica e rigorosa. Il contribuente deve dimostrare, per ogni singolo versamento contestato, la sua esatta provenienza e la sua estraneità a fatti imponibili. L’affermazione secondo cui i fondi provenivano dalle società di persone è stata giudicata “assolutamente generica ed indimostrata”, in quanto non era stato fornito alcun elemento concreto che collegasse i singoli versamenti ai proventi societari. Allo stesso modo, è stata ritenuta irrilevante la presunta congruità del reddito dichiarato rispetto al “redditometro”, poiché l’accertamento in questione era di tipo analitico-bancario e non sintetico.

La Presunzione di Redditività degli Investimenti Esteri

Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La normativa di riferimento (art. 6 del d.l. n. 167/1990) stabilisce che gli investimenti e le attività finanziarie detenute all’estero da soggetti residenti in Italia, se non dichiarati, si presumono produttivi di reddito. Questa presunzione può essere vinta solo se il contribuente dimostra, ad esempio compilando correttamente il quadro RW, che tali attività sono infruttifere.
Nel caso di specie, era pacifico che il contribuente non avesse compilato il quadro RW per i consistenti finanziamenti operati verso la società rumena (oltre 1.4 milioni di euro nel 2007 e 1.8 milioni nel 2008). In assenza di tale adempimento e di qualsiasi altra prova documentale, la presunzione legale di redditività opera pienamente. Pertanto, la Corte ha ritenuto corretto considerare le somme accertate come redditi di capitale prodotti all’estero.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Contribuenti

L’ordinanza in esame consolida l’orientamento rigoroso della giurisprudenza in materia di accertamento bancario. La decisione sottolinea che, di fronte a movimentazioni bancarie non giustificate, il contribuente non può limitarsi a fornire spiegazioni vaghe o generali. È indispensabile produrre documentazione specifica e puntuale, in grado di tracciare in modo inequivocabile l’origine non tassabile di ogni singola operazione. Per gli imprenditori e i soci di società di persone, ciò significa mantenere una contabilità chiara e separata tra il patrimonio personale e quello aziendale, documentando ogni flusso finanziario. La sentenza serve anche da monito sui rischi connessi alla mancata dichiarazione di attività finanziarie detenute all’estero, le quali, per legge, si presumono produttive di reddito fino a prova contraria.

In caso di accertamento bancario, chi deve provare l’origine dei versamenti sul conto corrente?
L’onere della prova grava sul contribuente. Si verifica un’inversione dell’onere probatorio, per cui è il contribuente a dover dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili.

È sufficiente una giustificazione generica per superare la presunzione che i versamenti non dichiarati siano reddito?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la prova fornita dal contribuente non deve essere generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario. Affermazioni generiche, come quella che i fondi provenissero da società di persone collegate, sono state ritenute insufficienti.

Gli investimenti finanziari all’estero non dichiarati si considerano produttivi di reddito?
Sì. La legge presume, salvo prova contraria, che le attività estere di natura finanziaria non dichiarate siano fruttifere in misura pari al tasso ufficiale di riferimento. Il contribuente può superare tale presunzione fornendo la prova delle condizioni contrarie, ad esempio compilando correttamente il quadro RW della dichiarazione dei redditi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati