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Accertamento bancario: onere della prova del contribuente

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15044/2024, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, annullando con rinvio la decisione di merito che aveva ridotto un accertamento bancario basandosi sulle conclusioni di una CTU. La Corte ha ribadito che spetta al contribuente fornire una prova analitica e rigorosa per ogni singola movimentazione bancaria in entrata, al fine di superare la presunzione legale di maggior reddito. Sono stati invece respinti i motivi del contribuente relativi a presunti vizi procedurali, come la mancata instaurazione del contraddittorio preventivo.

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Pubblicato il 20 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento bancario e onere della prova: la Cassazione fa il punto

L’accertamento bancario rappresenta uno degli strumenti più efficaci a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per contrastare l’evasione fiscale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 15044 del 29 maggio 2024, offre importanti chiarimenti sui principi che regolano questa materia, con particolare riferimento all’onere della prova che grava sul contribuente. La sentenza sottolinea la necessità di una difesa analitica e rigorosa per superare la presunzione legale secondo cui i versamenti su conti correnti costituiscono reddito imponibile.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a un contribuente, con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione, ai fini IRPEF, un maggior reddito di quasi due milioni di euro per l’anno d’imposta 2007. La pretesa fiscale si basava interamente sulle risultanze delle indagini sui conti correnti bancari e postali intestati al contribuente.
Dopo un primo giudizio sfavorevole, la Commissione Tributaria Regionale accoglieva parzialmente l’appello del contribuente, rideterminando il maggior reddito imponibile a circa 436.000 euro, aderendo alle conclusioni di una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU). La CTR respingeva, inoltre, le eccezioni procedurali del contribuente relative alla mancata instaurazione del contraddittorio preventivo e alla validità della sottoscrizione dell’atto. Contro questa decisione, sia il contribuente che l’Agenzia delle Entrate proponevano ricorso in Cassazione.

Le obiezioni sull’accertamento bancario e la decisione della Corte

Il contribuente lamentava vizi procedurali, tra cui la presunta nullità dell’atto per difetto di sottoscrizione da parte di un dirigente e la violazione del diritto al contraddittorio preventivo, garantito dallo Statuto del Contribuente. L’Agenzia delle Entrate, con ricorso incidentale, contestava invece la decisione della CTR per aver ridotto l’imponibile senza una rigorosa valutazione delle prove, limitandosi a recepire acriticamente le conclusioni della CTU.

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente il ricorso del contribuente. Sul punto del contraddittorio, ha ribadito il suo consolidato orientamento: per i tributi “non armonizzati” come l’IRPEF, l’obbligo del contraddittorio preventivo non sussiste in caso di accertamenti “a tavolino”, ovvero basati su dati e documenti acquisiti presso gli uffici dell’Agenzia, senza accessi diretti presso il contribuente.

Di contro, la Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ritenendo fondata la censura mossa alla sentenza regionale. La decisione della Cassazione si è concentrata sul principio cardine che regola l’accertamento bancario: la presunzione legale di cui all’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973.

Le motivazioni della Sentenza

La motivazione della Suprema Corte è chiara e rigorosa. L’articolo 32 del D.P.R. 600/1973 stabilisce una presunzione legale relativa secondo cui i versamenti effettuati su un conto corrente si considerano ricavi o redditi, se il contribuente non dimostra il contrario. Per superare tale presunzione, non è sufficiente una giustificazione generica, ma è necessario fornire una prova analitica e puntuale per ogni singola operazione contestata.

Nel caso di specie, il contribuente aveva sostenuto che le somme accreditate fossero restituzioni di prestiti infruttiferi concessi a società da lui amministrate. Tuttavia, la Corte ha specificato che il giudice di merito non può limitarsi a prendere atto di tale affermazione o delle conclusioni riassuntive di un CTU. Il suo compito è verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte. Questo significa che il contribuente deve dimostrare, per ciascun versamento, che le somme:

1. Sono già state incluse nel reddito dichiarato; oppure
2. Sono fiscalmente irrilevanti (es. proventi esenti, restituzioni di finanziamenti, ecc.).

La Corte ha censurato la sentenza della CTR proprio perché si era limitata ad aderire “sic et simpliciter” alle risultanze della CTU, senza condurre questa puntuale e analitica verifica. Il giudice di merito avrebbe dovuto esaminare se il contribuente avesse fornito una giustificazione specifica per ciascuna delle movimentazioni ritenute “documentate” dall’ausiliario, dimostrandone la provenienza e la causale.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in commento ribadisce un principio fondamentale per chiunque si trovi ad affrontare un accertamento bancario: la difesa deve essere meticolosa, documentata e analitica. Non basta presentare una tesi difensiva generale; è indispensabile “smontare” la presunzione legale operazione per operazione. Il contribuente ha l’onere di fornire prove certe e convincenti che giustifichino la natura non reddituale di ogni singolo accredito bancario contestato dal Fisco.
La decisione della Corte di Cassazione ha quindi annullato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per un nuovo esame che dovrà attenersi scrupolosamente a questi principi, procedendo a una verifica rigorosa delle prove fornite dal contribuente.

Quando un accertamento fiscale si basa sui movimenti del conto corrente, chi deve provare la natura delle somme versate?
Spetta al contribuente l’onere della prova. Egli deve dimostrare analiticamente che ogni singolo versamento contestato non costituisce reddito imponibile, ma deriva da somme già tassate o fiscalmente irrilevanti.

È sempre obbligatorio per l’Agenzia delle Entrate avviare un contraddittorio con il contribuente prima di emettere un avviso di accertamento basato su indagini bancarie?
No. Secondo la giurisprudenza consolidata, per i tributi non armonizzati come l’IRPEF, l’obbligo del contraddittorio preventivo non si applica agli accertamenti cosiddetti “a tavolino”, ovvero quelli condotti sulla base di documenti e dati analizzati presso gli uffici dell’Amministrazione Finanziaria, senza accessi, ispezioni o verifiche presso la sede del contribuente.

È sufficiente fornire una giustificazione generica per tutti i versamenti contestati, come la restituzione di prestiti?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha chiarito che il contribuente deve fornire una giustificazione analitica e una prova rigorosa per ciascuna singola movimentazione. Una difesa generica, non supportata da prove specifiche per ogni operazione, non è idonea a superare la presunzione legale di maggior reddito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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