Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5231 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5231 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 36557/2019 R.G. proposto da: NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ROMA n. 5297/2018 depositata il 27/07/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/01/2024 dal Co: COGNOME NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
L’avvocato NOME COGNOME era attinto da avviso di accertamento sull’anno d’imposta 2010 in relazione alla sua attività libero professionale. L’atto impositivo scaturiva da indagini della Guardia di Finanza sui suoi conti correnti bancari individuando l’esistenza di compensi non dichiarati rilevanti ai fini Irpef, per i quali l’avvocato NOME COGNOME non avrebbe fornito adeguata giustificazione. Ne seguiva la ripresa a fini Irpef, Iva addizionali e con l’irrogazione di sanzioni.
Insorgeva il contribuente avanti il giudice di prossimità sollevando profili procedimentali e sostanziali. Per quanto qui maggiormente interessa il prosieguo del giudizio, da un lato si contestava la validità della firma apposta sull’atto impositivo, non riferibile a dipendente afferente alla carriera direttiva e non fornito di adeguata delega.
Sotto altro profilo, rilevava non essersi dato adeguato peso alle dimostrazioni documentali del contribuente, per cui parte delle somme presenti sul suo conto corrente costituivano la provvista per l’esecuzione di un mandato senza rappresentanza ad acquistare e trasferire quote di una società immobiliare e, per altro verso, riferibili ad un premio assicurativo consistente in ristoro di un danno e quindi non attività imponibile.
I gradi di merito erano sfavorevoli alla parte contribuente che ricorre per cassazione affidandosi a due strumenti, qui replica il patrono erariale con tempestivo controricorso.
CONSIDERATO
Vengono proposti due strumenti di ricorso.
Con il primo motivo si propone censura ai sensi dell’articolo 360 numero 4 o in subordine numero 5 del codice di procedura civile per omessa pronuncia o in subordine omessa motivazione circa un fatto
contro
verso e decisivo per il giudizio cioè sulla sottoscrizione dell’avviso di accertamento da parte di un soggetto diverso da quello a ciò preposto per legge.
Il motivo assolve l’onere dell’esaustività, riportando i passi degli atti dei gradi di merito ove la censura era stata posta. A fronte di un tanto, la sentenza in scrutinio non contiene alcuna proposizione sull’argomento, donde il motivo è fondato, ma non comporta cassazione della sentenza, bensì correzione della motivazione ai sensi dell’articolo 384 cpc, poiché è orientamento costante di questa Corte che la mancata sottoscrizione da parte di funzionario appartenente alla carriera direttiva non comporti vizio irreversibile dell’atto.
Ed infatti, con sentenze n. 22800/2015, n. 22803/2015 e n. 22810/2015, rese all’indomani della pronuncia della Consulta in materia (cfr. Corte cost. n. 37/2015), questa Corte ha precisato che ai fini della validità degli atti di imposizione tributaria non occorre che i funzionari, delegati o deleganti, possiedono la qualifica dirigenziale, purché appartengano alla carriera direttiva, intendendo in tal senso i funzionari della Terza Area. Più precisamente, la nullità di un atto tributario va circoscritta alle ipotesi tassative previste dalla legge cioè dell’articolo 42 del DPR numero 600 del 1973.
Donde il primo motivo non può essere accolto.
Con il secondo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 5 per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ovvero erronea e falsa applicazione dell’articolo 32, primo comma, numero 2, del dpr 600 del 1973 e 51, secondo comma, numero 2, del DPR 633 del 1972. In buona sostanza, il contribuente lamenta di aver dimostrato e giustificato la presenza delle somme nel proprio conto corrente, non riconducibili ha compensi sottratti al fisco bensì riferibili a provvista per l’espletamento di mandato senza rappresentanza nonché a premio assicurativo. A fronte di tutto ciò,
riproduce documentazione, anche notarile, attestante l’espletamento del prefato mandato per l’acquisizione di una quota di partecipazione nella società responsabilità limitata ‘RAGIONE_SOCIALE‘.
Il motivo è inammissibile, poiché sotto la veste dell’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ovvero erronea e falsa applicazione di norma, mira ad una richiesta di rivalutazione del merito, segnatamente dell’apporto probatorio, per giungere ad una conclusione diversa da quella a cui sono pervenuti i giudici di secondo grado.
Ed infatti, è appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610).
Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass.
6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357).
Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez.Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
Il ricorso è dunque infondato e dev’essere rigettato, le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € .cinquemilaseicento/00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di co ntributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 25/01/2024.