Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24812 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24812 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 08/09/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 2210-2016, proposto da:
OTTICA COGNOME RAGIONE_SOCIALE c.f. 01005640584 (già RAGIONE_SOCIALE), RAGIONE_SOCIALE c.f. CODICE_FISCALE, PERUGIA Umberto , c.f. CODICE_FISCALE, quest’ultimo anche nella qualità di ex socio della RAGIONE_SOCIALE , già cancellata dal registro delle imprese, tutti elettivamente domiciliati in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
Ricorrenti
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 3310/09/2015 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 10.06.2015;
Accertamento
–
Indagini
bancarie – Prova
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11 .04.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L ‘Agenzia delle entrate notificò alle due società ed ai loro soci altrettanti avvisi d’accertamento , con i quali furono contestati maggiori imponibili ai fini Irpef, Iva, Irap e addizionali relativamente all’anno d’imposta 2006. Oggetto degli atti impositivi relativi alla RAGIONE_SOCIALE era la maggiore materia imponibile quanto alla società e i conseguenti maggiori redditi di partecipazione per i soci, accertati mediante indagini bancarie sui conti correnti; oggetto degli atti impositivi nei confronti de ll’RAGIONE_SOCIALE , che con l’altra società aveva in comune il socio Perugia, erano invece i maggiori ricavi e i costi non riconosciuti, rideterminati per totale inattendibilità della documentazione contabile, con applicazione di una percentuale di ricarico mutuata dagli studi di settore.
La Commissione tributaria provinciale di Roma, adita da ciascuno dei contribuenti, previa riunione dei ricorsi annullò gli atti impositivi con sentenza n. 3936/13/2014.
L’Agenzia delle entrate propose appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, che ha accolto in parte le ragioni erariali con sentenza n. 3310/09/2015, ora al vaglio di questa Corte.
Il giudice d’appello ha preliminarmente preso atto della cancellazione dell ‘RAGIONE_SOCIALE dal registro delle imprese e della prosecuzione del giudizio nei confronti del Perugia e del socio NOME COGNOME a sua volta deceduto ed i cui figli, suoi eredi, avevano rinunciato all’eredità .
Quindi, premettendo che nei confronti della RAGIONE_SOCIALE l’accertamento , fondato su verifiche bancarie ritualmente autorizzate, era stato oggetto delle critiche della società e dei due soci, sostanzialmente indirizzate a contestare la mancata valorizzazione delle giustificazioni delle rimesse e dei prelevamenti allegate a prova contraria, ha analizzato l’appello erariale anche alla luce delle singole spiegazioni rese da società e soci, accogliendo parzialmente l’impugnazione dell’ Agenzia delle entrate.
Quanto agli avvisi d’accertamento nei confronti dell’Istituto Ottico Romano, ha vagliato le rispettive difese e, dopo aver rilevato l’inammissibilità dell’appello nei confronti dei figli dello COGNOME, per difetto di legittimazione passiva, ha accolto integralmente le ragioni erariali,
RGN 2210/2016
confermando le pretese nei confronti del Perugia e di NOME COGNOME altra erede dello COGNOME, non costituitasi nel giudizio d’appello.
I ricorrenti hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a vari motivi, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Nell’adunanza camerale dell’11 aprile 2025 la causa è stata trattata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente questo collegio intende procedere alla separazione dei giudizi, ossia quello tra l’ E rario e l’ RAGIONE_SOCIALE Centocelle ed i suoi soci NOME Sarah e Perugia Umberto e quello riguardante il medesimo Perugia Umberto nonché l’ RAGIONE_SOCIALE, società già cancellata dal registro delle imprese.
A parte che, come già avvertito, le controversie relative alle due società non avevano nulla in comune, se non la sola partecipazione del socio Perugia ad entrambe, restando invece diversi gli atti impositivi a loro afferenti e diverse le ragioni delle contestazioni elevate nei rispettivi confronti, quanto alla seconda (RAGIONE_SOCIALE) dalla sentenza e dagli atti difensivi emerge che alla cancellazione della società la causa era proseguita nei riguardi del Perugia, e dell’altro socio NOME COGNOME . Al decesso di quest’ultimo , i di lui figli (NOME e NOME), formalmente subentrati nel giudizio e dunque parti della controversia in sede d’appello , hanno eccepito il loro difetto di legittimazione passiva per rinuncia all’eredità. I l giudice d’appello ha accolto l’eccezione , escludendoli dalla controversia e da ogni addebito. Sennonché, nella medesima intestazione della sentenza risulta una terza erede dello COGNOME, NOME, evidentemente coniuge dello COGNOME e soggetto soccombente nel giudizio celebratosi dinanzi alla Commissione regionale (con sua condanna, unitamente al Perugia, per gli utili occulti distribuiti ai soci dell’estinto Istituto Ottico Romano ).
Ebbene, nonostante la Dominici fosse parte (rimasta contumace) nel processo d’appello , non risulta che essa, pur litisconsorte necessaria processuale, sia stata chiamata in giudizio. Per conseguenza, relativamente alla controversia tra l’erario ed i soci (o i di loro successori) dell’RAGIONE_SOCIALE non risulta perfezionatosi il litisconsorzio necessario, tanto più che la causa verte sui maggiori utili sociali occultati e altrettanto occultamente
distribuiti ai soci . E’ per questo che la erede (COGNOME) del socio COGNOME è subentrata in una posizione dipendente dall’esito del processo relativo alla società oramai estinta e risulta soccombente nella sentenza d’appello .
Ne consegue che, quanto alla controversia relativa ai soci (o comunque eredi dei soci) del cessato RAGIONE_SOCIALE, essa difetta del rispetto del contraddittorio, che va dunque integrato con la chiamata in giudizio della Dominici.
La necessità di integrare il contraddittorio di tale ultima compagine soggettiva processuale, facente idealmente capo al cancellato RAGIONE_SOCIALE, la cui controversia, come già avvertito, sul piano giuridico e soggettivo non ha alcun elemento in comune con la controversia afferente la RAGIONE_SOCIALE Centocelle, e la circostanza che, mentre la controversia relativa a quest’ultima risulta correttamente incardinata dinanzi al giudice di legittimità e pronta per la decisione, laddove per i successori della società cancellata si impone un rinvio a nuovo ruolo al fine della integrazione del contraddittorio, rende ragionevole, nell’osservanza dei principi del giusto processo, separare i due giudizi, già riuniti in primo grado, per consentire la definizione di quello relativo alla RAGIONE_SOCIALE ed ai suoi soci (COGNOME Sarah e Perugia Umberto), e rinviare a nuovo ruolo quello relativo ai successori del cancellato RAGIONE_SOCIALE (Perugia Umberto e COGNOME), al fine di disporre l’integrazione del contradd ittorio.
Deve pertanto disporsi la separazione dal presente fascicolo degli atti relativi al giudizio relativo alla controversia tra l’Agenzia delle entrate e i successori dell’Istituto RAGIONE_SOCIALE. A tal fine alla Cancelleria è demandata la formazione di separato fascicolo, che prenderà autonomo numero di ruolo generale e che sarà formato con copia di tutti gli atti del presente, oltre che della presente ordinanza, con la quale, limitatamente alla controversia separanda, va disposto il rinvio a nuovo ruolo, con ordine all’unico ricorrente già costituito -Perugia Umberto- di notificazione del ricorso e del presente provvedimento a NOME COGNOME nei cui confronti va integrato il contraddittorio, a tal fine assegnando giorni novanta dalla comunicazione della suestesa ordinanza.
Trattando dunque del merito relativo alla causa riferita alla RAGIONE_SOCIALE, i ricorrenti hanno proposto ricorso dolendosi:
con il primo motivo della «violazione dell’art. 32 del DPR 600/73, dell’art. 7 D.Lgs 546 del 1992 e dell’art. 115 c.p.c. in relazione dell’art. 360 nn. 3 e 4, c.p.c.».
L a sentenza d’appello sarebbe errata laddove non ha riconosciuto che era onere dell’Amministrazione allegare prove per contestare il contenuto delle dichiarazioni di terzi; ciò in merito alla differenza tra il fatturato dichiarato ed i versamenti accertati sui conti correnti bancari, ammontante a circa 200.000,00 €, dichiarazioni rilasciate -sotto responsabilità delle conseguenze penali per l’ipotesi di falsità – in ordine alla natura privata e non commerciale delle ragioni di versamento di denaro da parte dei medesimi terzi in favore dei soci; così non sarebbe stata riconosciuta la valenza probatoria delle attestazioni con cui parte contribuente aveva dato prova di aver ricevuto un prestito di € 161.000,00 (nello specifico il Perugia);
con il secondo motivo della « violazione dell’art. 32 del DPR 600/73, dell’art. 7 D.Lgs 546 del 1992 e dell’art. 115 c.p.c. in relazione dell’art. 360 nn. 3 e 4, c.p.c.». La sentenza avrebbe ignorato che era onere dell’Amministrazione finanziaria contestare i fatti incompatibili con il contenuto delle dichiarazioni rilasciate dai terzi, a riscontro della estraneità all’attività commerciale di vari prelevamenti per complessivi € 20.385,00, derivanti solo da operazioni di cambio di assegni.
Con il terzo motivo della «violazione degli art. 7 e 36 D.Lgs 546 del 1992, dell’art. 32 del DPR 600/73, dell’art. 24 DPR 633/72 e dell’art. 115 c.p.c., in relazione dell’art. 360 nn. 3 e 4, c.p.c.» . La sentenza sarebbe erronea laddove ha ritenuto non adeguatamente provata la provenienza dei corrispettivi di € 18.332,00, versati in banca solo qualche giorno dopo la ricezione, in considerazione dei giorni di chiusura degli sportelli bancari nel periodo natalizio, o di € 19.100,00, relativi a prelevamenti in contanti sui c/c della società, derivanti da anticipazione di spese sopportate direttamente dai soci, e dunque da essi ripresi in restituzione.
Con il quarto motivo della «violazione degli artt. 7 e 36 del D.Lgs 546 del 1992, in relazione dell’art. 360 nn. 3 e 4, c.p.c.» . La motivazione sarebbe errata laddove non avrebbe valorizzato le prove a dimostrazione che i versamenti per oltre € 100.000,00 sui c/c del Perugia e della Kichelmacher erano dovuti a pagamenti di fatture cui avevano provveduto direttamente i
soci con denaro proprio, e che dunque si erano limitati a riprendere quanto da loro anticipato.
I motivi, da esaminare congiuntamente perché tra loro connessi, sono infondati, quando non inammissibili, impingendo peraltro nel merito delle valutazioni operate dalla CTR, logicamente e giuridicamente corrette.
Va intanto ribadito che , con riferimento all’accertamento nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, oggetto della controversia è un accertamento condotto dall’Amministrazione finanziaria sulla base dell a verifica dei conti correnti intestati alla società ed ai suoi due soci.
I ricorrenti in concreto reputano errata la mera operazione di riconduzione a ricavi sociali delle emergenze bancarie, acquisite e trasfuse nell’atto di accertamento . Nello sviluppo argomentativo si adoperano per valorizzare le spiegazioni che erano state rese all’ufficio a giustificazione di un complessivo movimento di denaro, tra prelievi e versamenti bancari, ben superiore ai ricavi dichiarati dalla società nel 2006. Riportano al riguardo una serie di ragioni, e numerose dichiarazioni scritte rilasciate da terzi, che comproverebbero l’estraneità di molte di quelle operazioni bancarie all’attività economica della società, giustificate invece solo da interessi e rapporti privati.
Ebbene, in tema di accertamento dei redditi a mezzo di accesso ai conti correnti del contribuente, questa Corte ha affermato che la presunzione ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 consente all’ Ufficio di riferire de plano ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente, cui è fatta salva la prova contraria; la legittimità della utilizzazione degli elementi risultanti dalle movimentazioni bancarie non è neppure condizionata alla previa instaurazione del contraddittorio preventivo (Cass., 15 maggio 2013, n. 11624; 27 febbraio 2019, n. 5777).
Peraltro, quanto al concreto atteggiarsi dell’onere probatorio, quello dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 cit., attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili (Cass., 27 giugno 2011, n. 14041; 26 aprile 2017, n. 10249; 29 luglio 2016, n. 15857; 20 marzo 2019, n. 7758). Non è dunque
sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sui conti correnti, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale (Cass., 18 settembre 2013, n. 21303; 11 marzo 2015, n. 4829; 31 gennaio 2024, n. 2928).
Quello che viene richiesto al contribuente, a fronte delle risultanze bancarie addotte dalla Amministrazione, è la analiticità della prova allegata. La sua specificità ed analiticità consente infatti di superare la presunzione di attribuzione dei versamenti e dei prelevamenti emergenti dal conto corrente dell’imprenditore , perché alla specificità della prova contraria deve far seguito una valutazione del giudice altrettanto analitica di quanto dedotto e documentato dal contribuente ( ex multis , Cass., 28 novembre 2018, n. 30786; 5 maggio 2021, n. 11696; 18 novembre 2021, n. 35258; cfr. anche 8 ottobre 2020, n. 21700; 13 agosto 2024, n. 22788).
Pertanto, dalla stessa lettura delle norme, secondo la consolidata interpretazione che la giurisprudenza di legittimità ha reso dell ‘art. 32 cit., così come de ll’art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, è pur vero che i dati emergenti dall’esame delle movimentazioni bancarie sui conti correnti , a cui l’Amministrazione finanziaria abbia avuto accesso, sono presuntivamente riconducibili ad operazioni economiche del contribuente, e come tali confluiscono direttamente nel suo imponibile. Tuttavia, si tratta di presunzione legale relativa, che può essere contrastata dalla prova contraria allegata dal contribuente.
Perimetrati gli effetti della disciplina su ll’acquisizione dei dati bancari e dell’alveo in cui essa opera ai fini dell’accertamento del reddito, nel caso concreto la difesa dei contribuenti ha allegato una serie di ragioni per una diversa ricostruzione e per una diversa natura dell’origine di quei prelevamenti e versamenti, ma dalla lettura della pronuncia ora al vaglio della Corte risulta con altrettanta evidenza che il giudice d’appello ha esaminato partitamente, e nel complesso, gli elementi allegati, giungendo a conclusioni in parte sfavorevoli ai contribuenti.
RGN 2210/2016 Consigliere rel. NOME Dalle ragioni poste a sostegno della decisione si evince in particolare che, con riguardo alla Ottica Centocelle, dopo una corretta premessa sui
principi che sorreggono gli accertamenti mediante verifica dei conti bancari, il giudice d’appello ha considerato tanto i versamenti per € 161.000,00 -derivanti, nella prospettazione difensiva, da prestiti di terzi-, quanto le altre operazioni di minor importo (€ 20.385,00 , 18.332,00 e 19.100,00). Ha spiegato perché si sia indotto a disattendere il contenuto delle dichiarazioni dei terzi, apparendo inverosimile l ‘ assenza di corrispondenza tra il conferimento di prestiti (tutti in contante per importi di 10. 000/12.000 €) dai terzi e le modalità e tempi di versamento delle stesse somme sui conti bancari.
Si tratta di un accertamento in fatto, cui la difesa dei contribuenti non può neppure opporre una supposta forza probante delle pur numerose dichiarazioni dei terzi, se non nel contesto della loro valenza indiziaria.
D’altronde, quanto alle critiche indirizzate in ricorso alla presunta non adeguata valorizzazione delle dichiarazioni rilasciate dai terzi, è pur vero che, come già chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, nel processo tributario trovano ingresso le dichiarazioni extraprocessuali di terzi, -nel rispetto dell’art. 6 CEDU e del principio di parità delle armi di cui all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea-. Esse hanno tuttavia valore di elementi indiziari, utilizzabili sia dall’Amministrazione, sia dal contribuente (Cass., 22 marzo 2023, n. 8221).
Già la Corte costituzionale, che pur aveva più volte rigettato la questione di legittimità costituzionale del divieto di assunzione di prova testimoniale nel processo tributario (nella vigenza del vecchio assetto processuale, prima delle modifiche apportate all’art. 7 del d.lgs. 546 del 1992 dalla l. 31 agosto 2022, n. 130), aveva comunque affermato che tale divieto non impedisce in sede contenziosa di valorizzare le dichiarazioni rilasciate da terzi, considerandole però alla stregua di semplici indizi (C. Cost. n. 18 del 2000).
Dunque, anche al contribuente, oltre che all’Amministrazione finanziaria, è riconosciuta, in attuazione dei principi del giusto processo e della parità delle parti ex art. 111 Cost., la possibilità di introdurre nel giudizio dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, le quali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, il che, allora, non fa venir meno il potere-dovere del giudice tributario di valutare l’attendibilità del contenuto delle dichiarazioni, secondo il principio della libera valutazione delle prove, confrontando le notizie raccolte e valutando l ‘ attendibilità dei dichiaranti in
base ad elementi soggettivi e oggettivi, così come l’intrinseca congruenza di dette dichiarazioni con ulteriori altri elementi acquisiti. Resta infatti condiviso l’orientamento secondo il quale l e presunzioni legali in favore dell’erario derivanti dagli accertamenti bancari determinano in capo al contribuente un preciso ed analitico onere della prova contraria che non può essere assolto solo attraverso il ricorso a dichiarazioni di terzi, non potendo queste ultime assurgere né a rango di prove esclusive della provenienza del reddito accertato, né essere idonee, di per sé, a fondare il convincimento del giudice (cfr. Cass., 9 marzo 2021, n. 6405; 15 luglio 2022, n. 22302; 30 ottobre 2024, n. 28022).
Ebbene, l’attività valutativa esercitata dalla commissione regionale in merito agli elementi probatori allegati dalle parti in questa controversia si è mossa nell’alveo dei principi di diritto appena enunciati, e le conclusioni cui quel giudice è pervenuto, esenti da illogicità argomentative, superficiale ponderazione delle prove, o errori materiali o percettivi, rappresentano l’esito di un accertamento in fatto, non criticabile in sede di legittimità.
Né può chiedersi a questa Corte una rivalutazione degli indizi prodotti dai contribuenti, così sollecitando un nuovo accertamento in fatto.
I motivi, in definitiva, vanno tutti respinti.
Il ricorso, relativo alla posizione processuale dell’RAGIONE_SOCIALE e dei suoi soci, deve essere in conclusione rigettato. Le spese processuali seguono la soccombenza e vanno liquidate nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dispone la separazione delle cause, come specificato in parte motiva, demandando alla cancelleria quanto di sua incombenza. Dispone il rinvio a nuovo ruolo della causa separata, al fine della integrazione del contraddittorio nei confronti di NOMECOGNOME assegnando alla parte ricorrente il termine di giorni novanta dalla notificazione della suestesa ordinanza per provvedervi.
Rigetta il ricorso relativo alla controversia afferente l’RAGIONE_SOCIALE e i suoi soci. Condanna i ricorrenti soccombenti alla rifusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura di € 5.900,00 per competenze, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 11 aprile 2025