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Accertamento bancario: no al contraddittorio preventivo

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un contribuente contro un avviso di accertamento basato su indagini finanziarie. La Corte ha stabilito che nel caso di un accertamento bancario, l’amministrazione non è obbligata a instaurare un contraddittorio preventivo con il contribuente prima di emettere l’atto, in quanto tale diritto può essere esercitato in una fase successiva. Inoltre, non si applica il termine dilatorio di 60 giorni se l’accertamento deriva da un’analisi documentale e non da un accesso fisico presso la sede del contribuente.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento bancario: il contraddittorio preventivo non è sempre un obbligo

Un recente provvedimento della Corte di Cassazione interviene su una questione cruciale in materia di accertamento bancario: il diritto del contribuente al contraddittorio preventivo. L’ordinanza chiarisce i confini di tale garanzia, specificando che non costituisce un obbligo per l’Amministrazione finanziaria quando l’accertamento si basa esclusivamente sull’analisi dei dati dei conti correnti, senza accessi o ispezioni dirette. Approfondiamo la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Una contribuente impugnava un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava maggiori redditi, ricostruiti sulla base di versamenti e prelevamenti bancari non giustificati. La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) accoglieva parzialmente il ricorso, ma la contribuente, ritenendosi ancora lesa, proponeva appello. Anche l’Agenzia presentava un appello incidentale. La Commissione Tributaria Regionale (CTR) rigettava entrambi i gravami, confermando la decisione di primo grado.

La vicenda approdava così dinanzi alla Corte di Cassazione, con la contribuente che affidava il proprio ricorso a cinque distinti motivi, lamentando principalmente la violazione delle garanzie procedurali.

L’analisi dei motivi di ricorso nell’accertamento bancario

I punti sollevati dalla ricorrente vertevano su aspetti fondamentali del procedimento tributario:
1. Violazione del contraddittorio preventivo: Si sosteneva l’illegittimità dell’atto impositivo perché emesso senza aver prima sentito la contribuente, in violazione degli artt. 32, 38 e 39 del d.p.r. 600/73. La CTR aveva respinto questa doglianza, osservando che l’accertamento non derivava da un processo verbale di constatazione, ma da una rettifica basata su dati bancari.
2. Violazione del termine dilatorio di 60 giorni: La ricorrente lamentava la mancata applicazione del termine previsto dall’art. 12, comma 7, dello Statuto del Contribuente, che impone all’ufficio di attendere 60 giorni dal rilascio del verbale di chiusura delle operazioni prima di emettere l’avviso di accertamento.
3. Inversione dell’onere della prova: Si contestava la decisione dei giudici di merito di porre a carico della contribuente la prova della non rilevanza reddituale dei movimenti bancari.
4. Vizio di motivazione: La sentenza d’appello veniva criticata per avere una motivazione meramente apparente.
5. Omesso esame di un fatto decisivo: Si denunciava la mancata valutazione della ricostruzione complessiva dei movimenti finanziari.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato e rigettato tutti i motivi di ricorso, fornendo importanti chiarimenti sul procedimento di accertamento bancario.

Sul contraddittorio preventivo

Il primo motivo è stato dichiarato infondato. La Corte ha ribadito un principio consolidato: la presunzione legale di maggior reddito derivante dalle movimentazioni bancarie (art. 32 d.P.R. 600/73) non è subordinata alla preventiva instaurazione del contraddittorio. Tale fase è considerata una facoltà per l’amministrazione, non un obbligo. Il contribuente ha comunque la piena possibilità di difendersi e fornire giustificazioni nella fase successiva all’emissione dell’atto. Questo approccio non viola neppure i principi del diritto dell’Unione Europea, che ammettono restrizioni al diritto di difesa per perseguire obiettivi di interesse generale, come il recupero tempestivo delle entrate fiscali.

Sul termine dilatorio

Anche il secondo motivo è stato respinto. I giudici hanno specificato che il termine dilatorio di 60 giorni si applica solo in conseguenza di un accesso, ispezione o verifica effettuata nei locali del contribuente. Nel caso di specie, l’accertamento era puramente “a tavolino”, basato sull’analisi documentale dei conti correnti, senza alcuna attività ispettiva fisica. Mancando il presupposto (l’accesso), la norma non poteva trovare applicazione.

Sull’onere della prova e la motivazione

La Corte ha ritenuto infondati anche i motivi relativi all’onere della prova e alla motivazione. È stato confermato che, a fronte dei dati bancari presentati dall’Agenzia, spetta al contribuente dimostrare che le somme non costituiscono reddito imponibile. I giudici di merito avevano correttamente valutato le giustificazioni fornite (es. operazioni neutre, prelievi in contanti per aprire un conto cointestato), ritenendole, con una valutazione di fatto non sindacabile in Cassazione, insufficienti e non supportate da adeguate prove. La motivazione della sentenza d’appello è stata considerata sufficiente e non meramente apparente, in quanto spiegava chiaramente le ragioni del mancato accoglimento delle tesi della contribuente.

Conclusioni

La decisione della Cassazione consolida l’orientamento secondo cui le garanzie procedurali a tutela del contribuente, come il contraddittorio preventivo e il termine dilatorio, devono essere interpretate alla luce del contesto specifico dell’attività di accertamento. In un accertamento bancario basato su indagini documentali, il diritto di difesa è pienamente garantito anche se esercitato dopo la notifica dell’atto impositivo. Resta fermo l’onere, gravoso ma imprescindibile, per il contribuente di fornire prove concrete e puntuali per superare la presunzione legale legata ai versamenti e ai prelevamenti bancari.

È sempre obbligatorio per l’Agenzia delle Entrate avviare un contraddittorio prima di emettere un avviso di accertamento basato su indagini bancarie?
No. Secondo la sentenza, nel caso di un accertamento fondato sull’analisi dei conti correnti ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600/1973, l’instaurazione di un contraddittorio preventivo è una facoltà e non un obbligo per l’amministrazione finanziaria. Il contribuente può esercitare il proprio diritto di difesa dopo aver ricevuto l’atto.

Il termine dilatorio di 60 giorni, previsto dallo Statuto del Contribuente, si applica agli accertamenti “a tavolino”?
No. La Corte ha chiarito che il termine dilatorio di 60 giorni, che deve intercorrere tra la fine della verifica e l’emissione dell’atto, si applica solo quando vi sia stato un accesso, un’ispezione o una verifica fisica presso i locali del contribuente. Non si applica, quindi, a un accertamento puramente documentale basato su dati bancari.

In un accertamento bancario, chi deve provare la natura dei versamenti e dei prelevamenti non giustificati?
L’onere della prova grava sul contribuente. Una volta che l’amministrazione finanziaria ha prodotto i dati relativi ai movimenti bancari, spetta al contribuente dimostrare che tali somme non costituiscono reddito imponibile, ad esempio perché si tratta di redditi esenti, già tassati alla fonte, o per altre ragioni valide e documentate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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