Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34367 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34367 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22634/2017 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in Roma INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 1886/2017 depositata il 01/03/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME impugnava l’avviso di accertamento nr. TF501AI04328 per l’anno di imposta 2009, notificatogli il 20 ottobre 2014 con il quale, sulla base di un processo verbale di constatazione redatto dai funzionari dell’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale II di Napoli, in data 28 dicembre 2012, l’Ufficio accertava, in capo al contribuente, esercente attività
ausiliarie dell’intermediazione finanziaria, un maggior reddito di impresa pari ad euro 171.718,00.
L’Agenzia in particolare: 1) disconosceva l’inerenza di costi pari ad euro 4.552,00 sul presupposto che il contribuente non avesse offerto documentazione giustificativa; 2) negava la deducibilità di costi di rappresentanza asseritamente esorbitanti il limite percentuale di cui all’art. 108 Tuir e al D.M. 19 novembre 2008, nella misura di euro 6.340,00; 3) negava la deducibilità di costi, pari ad euro 102.956,00, relativi a: quote di ammortamento per l’acquisto di un immobile avvenuto in data 22 maggio 2009, sull’assunto che esso fosse ad uso promiscuo; quote di ammortamento per l’acquisto di un lastrico solare ritenuto bene non inerente; costi per l’acquisto di una autovettura, contabilizzati in maniera scorretta e dedotti sia integralmente che nella quota di ammortamento; 4) rilevava maggiori ritenute dichiarate rispetto a quelle subite, recuperando costi non deducibili per euro 5.183,50: 5) rilevava versamenti in contanti sul conto corrente del contribuente non giustificati per euro 45.100,00; 6) negava la deducibilità di costi non documentati relativi a ritenute operate e non versate ai propri collaboratori per euro 7.619,00.
Per l’effetto, l’Agenzia recuperava maggiore Irpef per euro 119.000,00, maggiore addizionale regionale per euro 2.404,00, maggiore Irap per euro 8.735,00 e maggiore addizionale comunale per euro 1.202,00, ed irrogava sanzioni per euro 131.352,00.
Successivamente, rilevando che nella determinazione della imposta asseritamente dovuta non aveva considerato in alcun modo le ritenute d’acconto subite e dichiarate, per euro 45.077,00, l’Agenzia delle entrate, con provvedimento in autotutela dell’8 gennaio 2015, rideterminava la maggiore Irpef dovuta in euro 73.934,00 e le sanzioni in euro 82.275,00.
La CTP di Napoli dichiarava l’inammissibilità del ricorso.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Campania, in riforma della pronuncia di primo grado, ritenuta l’ammissibilità del ricorso, accoglieva parzialmente i motivi di appello e in particolare: i) riconosceva costi documentati € 2.681,00 , riducendo il recupero di cui al primo rilievo dell’avviso di accertamento ad euro 1.841,00; ii) annullava il secondo rilievo, riqualificando le spese di rappresentanza come spese di pubblicità e propaganda; iii) annullava i rilievi sub nn. 4 e 6, relativi alle ritenute; iv) quanto, infine, al quinto rilievo, relativo a ll’ accertamento di maggiori ricavi per euro 45.100,00 relativi a versamenti in contanti su conto corrente bancario intestato al contribuente, rigettava la contestazione relativa al difetto di autorizzazione alle indagini bancarie, ma riteneva giustificati alcuni movimenti, riducendo l’importo accertato ad euro 35.350,00.
Di conseguenza, la CTR rideterminava il reddito d’impresa per l’anno 2009 in euro 237.300,61, in luogo degli euro 268.945,00 accertati, compensando le spese di giudizio.
Avverso la predetta sentenza ricorre il contribuente con quattro motivi, illustrati da deposito di memoria difensiva ex art. 380.1bis c.p.c.
Resiste l’Amministrazione con controricorso.
In data 15/11/2024 il ricorrente ha depositato memoria difensiva ex art. 380.1 bis c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., dell’art. 36, comma 2, D.Lgs. 546/1992 e dell’art. 111, comma 6, Cost. Nullità della sentenza per assoluta mancanza o mera apparenza della motivazione».
1.1. Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata, nella parte in cui rigetta il motivo relativo alla deducibilità dei costi di cui al rilievo n. 3, relativo al disconoscimento dei costi afferenti all’acquisto di un
immobile e di una autovettura, offrirebbe una motivazione del tutto apparente ed apodittica, per nulla misurata sulle censure formulate.
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la «Omessa pronuncia. Violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione al criterio di determinazione della quota di ammortamento deducibile del costo di acquisto dell’immobile». Lamenta il ricorrente che la CTR non si sia pronunciata sul motivo di appello con cui si contestavano le modalità temporali di computo della quota di ammortamento relativa all’immobile sito in Vico Equense.
Il primo e secondo motivo di ricorso devono essere esaminati congiuntamente perché strettamente connessi, in quanto con entrambi, pur non evocandosi nella rubrica del primo strumento di impugnazione la violazione dell’art. 112 c.p.c., il contribuente, in concreto, si duole dell’omessa pronuncia della CTR su gli specifici motivi di appello proposti in relazione al rilievo attinente agli ammortamenti.
3.1. Sul punto, va opportunamente rilevato che questa Corte può riqualificare il motivo di impugnazione quando, dal corpus motivazionale dello stesso, si evince chiaramente quale sia il vizio lamentato, in applicazione del principio di diritto ai sensi del quale «l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., né determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato» (Cass. 20 febbraio 2014, n. 4036; Cass. 10 settembre 2020, n. 18770).
3.2. Va inoltre ricordato che l’omessa pronuncia su una eccezione ritualmente introdotta in giudizio -risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato -integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, ovverosia la
violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità (in tal caso giudice anche del fatto processuale) di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello.
3.3. Infine, sempre in via preliminare rispetto all’esame del merito dei motivi, si rileva che il ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza, non solo ha allegato l’avvenuta deduzione di tali censure dinanzi al giudice di merito ma, ha anche indicato in quale specifici atti del giudizio precedente ciò sia avvenuto, trascrivendone i passaggi di interesse.
Tanto premesso, i motivi sono fondati, nei termini che seguono.
4.1. Il ricorrente, con censure spese sin dall’introduzione del giudizio in primo grado e ribadite nei motivi di appello, ha svolto ampia ed analitica contestazione della ripresa avente ad oggetto la deducibilità dei costi da ammortamento dell’immobile sito in Vico Equense, questionandone, anche mediante le produzioni documentali richiamate, sia il profilo della riconducibilità dell’immobile ad uso promiscuo, sia quello del corretto computo del primo anno di ammortamento, calcolato dall’Ufficio in proporzione ai giorni di possesso e non per la quota intera (v. ricorso, pp. 10, 11 e 13).
4.2. A fronte di tali specifiche doglianze, la CTR si è limitata (v. sentenza, pp. 8 e 9) ad affermare, apoditticamente, che «il recu pero a tassazione dell’importo di € 102.956,00 è legittimo (quote di ammortamento relative all’acquisto di un immobile e di un’autovettura) in quanto trattasi di beni destinati ad uso promiscuo».
Con il terzo motivo di ricorso il contribuente, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., denuncia la «Violazione o falsa applicazione dell’art. c.c. e degli artt. 2727, 2728, 2729 c.c. in relazione all’art. 32 d.P.R. 600/1973, nonché dell’art. 115 c.p.c.»,
censurando, per motivazione apparente, il capo della sentenza impugnata relativo al riconoscimento di maggiori ricavi risultanti dai versamenti eseguiti sul conto corrente del contribuente e dallo stesso non adeguatamente giustificati.
Con autonoma censura il contribuente lamenta, inoltre, che la CTR abbia ritenuto di poter decidere dei maggiori ricavi presunti ai sensi dell’art. 32 d.P.R. 600/1973, nonostante i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari non siano stati esposti nell’avviso di accertamento e il PVC non fosse stato acquisito agli atti del processo.
5.1. Il motivo è parzialmente fondato, nei termini che seguono.
5.2. Va premesso che in tema di accertamenti bancari, gli artt. 32 del DPR n. 600 del 1973 e 51 del DPR n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13112 del 30/06/2020).
5.3. Nella specie la CTR, al riguardo, ha offerto una risposta priva di quel riscontro analitico ed argomentato necessario secondo la citata giurisprudenza, limitandosi ad affermare che «Nella fattispecie in esame il contribuente ha fornito la suindicata prova soltanto per l’importo di 2.750,00. Inoltre, dall’estratto conto non risulta un versamento di € 4.500,00 e l’importo di € 2.500,00 relativo a un prelevamento erroneamente risulta essere stato
considerato come versamento. Pertanto, l’importo da recuperare a tassazione non è quello di € 45.100,00 accertato dall’Ufficio ma quello di € 35.350,00. Già riconosciuto anche dall’Agenzia nel corso dell’accertamento con adesione».
5.4. Infondata è, al contrario, la specifica censura con cui il ricorrente si duole della mancata produzione, da parte dell’Agenzia, del PVC su cui si fonda l’avviso di accertamento impugnato .
Si osserva che, una volta che l’Agenzia delle entrate, nell’avviso di accertamento -la cui motivazione è stata integralmente trascritta a p. 17 del ricorso – ha riportato il contenuto sostanziale del processo verbale di constatazione, posto a fondamento delle riprese fiscali, adempiendo così al suo dovere di allegazione dei fatti (nel caso di specie il richiamo all’importo ed al conto corrente relativo ai movimenti bancari non giustificati), il contribuente, ove avesse voluto disconoscerne l’esistenza, avrebbe dovuto farne oggetto di specifica contestazione, e nel caso di specie, adempiere all’onere della prova contraria come prevista dagli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, escludendosi così la necessità che l’Agenzia delle entrate dovesse depositare in giudizio il processo verbale di constatazione, già perfettamente conosciuto dalla società contribuente, e richiamato nei suoi tratti essenziali, all’interno dell’avviso di accertamento (Cass., sez. 5, 18 gennaio 2022, n. 1495; Cass. sez. 5, 15 marzo 2022, n. 8482).
Con il quarto motivo di ricorso si denunciano la «Violazione o falsa applicazione dell’art. 32, comma 1 nn. 1 e 7, 38 e 70 d.P.R. 600/1973, nonché dell’art. 191 c.p.p. (in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.)» e la «Violazione dell’art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c.)».
Lamenta il ricorrente che la CTR abbia rigettato il motivo di ricorso con cui si contestava la mancata produzione della autorizzazione alle indagini bancarie affermando che «contrariamente a quanto
dedotto dal contribuente, per la legittimità delle stesse è sufficiente l’esistenza dell’autorizzazione da parte della competente autorità amministrativa regionale e non è richiesta anche la l’esibizione della stessa al soggetto interessato. Ciò a prescindere dal rilievo che l’eventuale illegittimità del procedimento amministrativo di accertamento tributario sono censurabili davanti al giudice solo quando, traducendosi in un concreto pregiudizio per il contribuente, inficiano il risultato finale del procedimento ossia l’accertamento tributario».
6.1. Il motivo è inammissibile perché formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e 4 c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione.
6.2. Il motivo è comunque infondato, essendosi la CTR conformata al costante orientamento di questa Corte (v. da ultimo, Cass. n. 4853 del 23/02/2024).
6.3. A tale riguardo, si evidenzia che, per consolidato orientamento di legittimità, in materia di indagini bancarie, la mancanza di autorizzazione, prevista dal d.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, primo comma, n. 7), per l’accertamento delle imposte dirette, quanto, con riferimento all’IVA, dal d.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 7), ai fini della richiesta di acquisizione, dagli istituti di credito, di copia delle movimentazioni dei conti bancari, non implica, in assenza di previsioni specifiche, l’inutilizzabilità dei dati acquisiti, salvo che ne sia derivato un concreto pregiudizio al contribuente, ovvero venga in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale dello stesso, come
l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio, in quanto detta autorizzazione attiene solo ai rapporti interni ed in materia tributaria non vige il principio, invece sancito dal cod. proc. pen., dell’inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita (Cass. 4/05/2023, n. 11642; Cass. 27/01/2023, n. 2643; Cass. 26/01/2023, n. 2398; Cass. n. 1306 del 17/01/2023; Cass. 5/12/2022, n. 35725; Cass. 21/06/2022, n. 19957; Cass. 10/02/2021, n. 3242; n. 22754 del 20/10/2020; Cass. 28/05/2018, n. 13353, in materia di imposte dirette; Cass. 1/04/2003, n. 4987, in materia di IVA; sulla necessità che l’omissione dell’autorizzazione debba essersi tradotta in un concreto pregiudizio per il contribuente cfr. Cass. 14/04/2018, n. 9480).
Nel caso di specie il ricorrente non ha dedotto alcuno specifico e concreto pregiudizio né la lesione di diritti di diritti fondamentali costituzionalmente garantiti.
6.4. La giurisprudenza di legittimità ha anche chiarito che non vi è neppure obbligo di allegazione dell ‘ autorizzazione. Si è infatti affermato che l’autorizzazione prescritta dall’art. 51, comma 2, n. 7) cit., ai fini dell’espletamento delle indagini bancarie, esplica una funzione organizzativa, incidente nei rapporti tra uffici, e non richiede alcuna motivazione, sicché la sua mancata allegazione ed esibizione all’interessato non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite, che può derivare solo dalla sua materiale assenza e sempre che ne sia derivato un concreto pregiudizio per il contribuente (Cass. 10/02/2017, n. 3628; Cass. 21/07/2009, n. 16874; Cass. 26/09/2014, n. 20420).
6.5. In particolare, si è avvertito come «…l’esibizione tempestiva di tale autorizzazione non è indispensabile neppure ai fini del controllo della motivazione della stessa, considerato che, in tema di accertamento delle imposte sia dirette che indirette,
l’autorizzazione necessaria agli Uffici per l’espletamento di indagini bancarie non deve essere corredata dall’indicazione dei motivi che ne hanno giustificato il rilascio. E ciò per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, perché in relazione a detta autorizzazione la legge non dispone alcun obbligo di motivazione, a differenza di quanto stabilito, invece, per gli accessi e le perquisizioni domiciliari, dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52. Ma poi, anche perché la medesima autorizzazione, ad onta del nomen iuris adottato, esplicando una funzione organizzativa, incidente esclusivamente nei rapporti tra uffici, e avendo natura di atto meramente preparatorio, inserito nella fase di iniziativa del procedimento amministrativo di accertamento, non è nemmeno qualificabile come provvedimento o atto impositivo, tipologie di atti per le quali, rispettivamente, la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 1, e la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, prevedono l’obbligo di motivazione (cfr. Cass. 14026/2012; n. 5849/2012)».
In conclusione, accolti il primo e secondo motivo di ricorso, nonché il terzo nei termini di cui in motivazione, e rigettato il quarto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, nonché il terzo per quanto di ragione, rigettato il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 28/11/2024.