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Accertamento bancario: l’onere della prova del ricorso

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di una società e dei suoi soci avverso un accertamento bancario. L’Agenzia delle Entrate aveva contestato maggiori redditi basandosi su movimenti non giustificati sui conti correnti. I contribuenti non sono riusciti a superare la presunzione legale, sostenendo che le somme derivassero da vincite al gioco. La Corte ha ribadito che, in sede di legittimità, non è possibile richiedere una nuova valutazione delle prove, ma solo denunciare l’omesso esame di un fatto storico decisivo, cosa non avvenuta nel caso di specie.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento bancario: la prova contraria spetta sempre al contribuente

L’accertamento bancario è uno degli strumenti più efficaci a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per contrastare l’evasione fiscale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito alcuni principi fondamentali in materia, chiarendo i limiti del ricorso in sede di legittimità e l’onere della prova che grava sul contribuente. L’analisi del caso offre spunti cruciali per comprendere come difendersi correttamente da un avviso di accertamento basato su indagini finanziarie.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un’attività di verifica della Guardia di Finanza nei confronti di una società in accomandita semplice e dei suoi due soci, noti artisti nel settore musicale. L’oggetto sociale dichiarato era quello di “altre attività professionali n.c.a.”. A seguito di indagini finanziarie, che avevano interessato anche i conti correnti personali dei soci e di un loro familiare, l’Agenzia delle Entrate emetteva un avviso di accertamento per l’anno di imposta 2011.

L’Ufficio contestava un maggior reddito imponibile, derivante dalla somma di prelevamenti e versamenti non giustificati rinvenuti sui conti, per un importo superiore a 500.000 euro. Tale maggior reddito veniva imputato alla società ai fini IRAP e IVA, e pro quota ai soci ai fini IRPEF.

Le difese dei contribuenti e l’iter giudiziario

I contribuenti impugnavano gli atti impositivi, sostenendo principalmente due tesi:
1. Natura professionale dell’attività: La società, basata sull’apporto personale dei due soci cantanti, svolgeva un’attività professionale e non imprenditoriale. Di conseguenza, i prelevamenti non potevano essere considerati ricavi, in base a una nota sentenza della Corte Costituzionale.
2. Origine extra-reddituale delle somme: Gran parte dei versamenti derivava da vincite al gioco, documentate da ricevute prodotte in giudizio.

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva parzialmente le ragioni dei contribuenti, escludendo gli importi riconducibili ai conti del familiare e quelli ritenuti provenienti da vincite di gioco.

Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale, in appello, riformava la decisione di primo grado. Rigettava l’appello dei contribuenti e accoglieva parzialmente quello dell’Ufficio, ritenendo non giustificati i redditi attribuiti alle presunte vincite al gioco e confermando la natura imprenditoriale dell’attività svolta dalla società.

L’accertamento bancario davanti alla Cassazione

I contribuenti proponevano ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali. Con il primo, denunciavano la violazione dell’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973, sostenendo che la CTR avesse erroneamente qualificato l’attività come imprenditoriale anziché professionale. Con il secondo motivo, lamentavano che la sentenza non avesse considerato le prove fornite (ricostruzione dei fatti e documentazione) che dimostravano come i movimenti bancari fossero riconducibili a vincite al gioco.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i motivi di ricorso inammissibili. I giudici hanno chiarito che il ricorso per cassazione, dopo la riforma del 2012, non consente di criticare la sufficienza della motivazione del giudice di merito o di richiedere un diverso apprezzamento delle prove. È possibile denunciare solo l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, che sia stato oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo.

Nel caso specifico, la Corte ha osservato che:
1. La valutazione sulla natura imprenditoriale o professionale dell’attività è una questione di merito, basata sull’apprezzamento dei fatti da parte del giudice. Non costituisce un ‘fatto storico’ il cui esame sia stato omesso, ma una qualificazione giuridica risultante da un’analisi già compiuta dalla CTR.
2. Anche il secondo motivo non censurava un omesso esame di un fatto decisivo, ma mirava a ottenere una rivalutazione del ragionamento e delle prove già esaminate dalla CTR. I ricorrenti, in sostanza, chiedevano alla Cassazione di riconsiderare i documenti e le argomentazioni per giungere a una conclusione diversa da quella del giudice d’appello, un’operazione non consentita in sede di legittimità.

La Corte ha ribadito che le argomentazioni difensive o le singole questioni decise dal giudice di merito non costituiscono ‘fatti’ suscettibili di fondare un vizio per omesso esame.

Conclusioni

L’ordinanza conferma un principio consolidato nel contenzioso tributario relativo all’accertamento bancario: la presunzione legale di cui all’art. 32 del D.P.R. 600/73 pone a carico del contribuente un onere probatorio rigoroso. Non è sufficiente fornire una spiegazione generica o una documentazione parziale; è necessario fornire una prova analitica e puntuale che ogni singolo movimento contestato sia estraneo alla produzione di reddito imponibile. Inoltre, la decisione sottolinea i limiti invalicabili del giudizio di cassazione: non è una terza istanza di merito dove si possono ridiscutere i fatti, ma un giudizio sulla corretta applicazione delle norme di diritto e sul rispetto delle regole processuali.

In un accertamento bancario, chi ha l’onere di provare l’origine dei movimenti sul conto corrente?
L’onere della prova grava interamente sul contribuente. L’Amministrazione Finanziaria beneficia di una presunzione legale secondo cui i versamenti non giustificati costituiscono ricavi e i prelevamenti non giustificati costituiscono costi non deducibili (se l’attività è d’impresa). Spetta al contribuente dimostrare in modo specifico che tali movimenti non hanno rilevanza reddituale.

Le vincite al gioco possono essere usate per giustificare i versamenti bancari contestati dal Fisco?
Sì, in linea di principio le vincite al gioco possono giustificare i versamenti, ma il contribuente deve fornire una prova rigorosa e convincente del collegamento tra le vincite e i specifici versamenti contestati. Nel caso esaminato, la Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto non giustificati i redditi attribuiti a presunte vincite, e la Cassazione non ha potuto riesaminare tale valutazione di merito.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove fatta dal giudice di secondo grado?
No, non è possibile chiedere alla Corte di Cassazione una nuova e diversa valutazione delle prove o criticare la sufficienza della motivazione. Il ricorso è ammesso solo per specifici vizi di legge, tra cui l’omesso esame di un ‘fatto storico’ decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non per contestare l’interpretazione dei fatti data dal giudice di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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