Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16806 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16806 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
Oggetto:
accertamento
–
indagini
finanziarie
–
trattenimento documenti
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14632/2022 R.G. proposto da NOME COGNOME rappresentata e difesa in forza di procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOMEcon indirizzo PEC: EMAIL
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa come per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato (con indirizzo PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
-resistente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 5889/16/21 depositata in data 22/12/2021, non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME all’adunanza camerale dell’11/04/2025;
Rilevato che:
–NOME COGNOME titolare di clinica veterinaria, impugnava l’avviso di accertamento notificatole con il quale l’Ufficio rettificava il reddito dichiarato per il periodo di imposta 2012 sulla base di un processo di constatazione redatto dalla Guardia di finanza riportante anche le risultanze delle indagini finanziarie svolte;
-il giudice di primo grado rigettava il ricorso;
-appellava la contribuente;
-con la sentenza impugnata la CTR ha confermato la statuizione di primo grado ritenendo in primo luogo correttamente notificato e privo da vizi l’atto impugnato; la stessa ha poi ritenuto altrettanto correttamente svoltasi tutta l’attività di verifica e controllo sia con riferimento ai termini sia con riferimento alla prova dei maggiori redditi ottenuta per mezzo delle risultanze delle indagini finanziarie riguardanti i versamenti sul conto corrente operati dalla contribuente;
-ricorre a questa Corte COGNOME NOME con atto affidato a quattro motivi di doglianza illustrato da memoria;
-l’Agenzia delle Entrate ha unicamente depositato atto in vista della pubblica udienza.
Considerato che:
-il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 29 del d. L. n. 78 del 2010 come convertito in L. n. 122 del 2010 e dell’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione all’art. 360 c.1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR erroneamente ritenuto sanato il vizio di notifica dell’avviso di accertamento ‘impoesattivo’, vizio consistente nell’esser stato lo stesso notificato direttamente dall’Agenzia delle Entrate che lo emise e non per mezzo di un soggetto agente della notificazione;
Cons. Est. NOME COGNOME
-il motivo è infondato;
-questa Corte ha già avuto modo di chiarire (vedi, da ultimo, Cass., Sez. Trib., Sentenza n. 21936 del 02/08/2024) che l’art. 29, comma 1, lett. a), del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 122 del 2010 e succ. modific., nulla ha innovato riguardo alla notifica dell’atto impositivo, limitandosi a prevedere, in considerazione della necessità di operare la “concentrazione della riscossione nell’accertamento”, come espressamente recita la rubrica della disposizione in esame, che l’avviso di accertamento rechi anche l’intimazione ad adempiere agli obblighi di pagamento contenuti nell’atto c.d. impoesattivo;
-nessuna modifica è stata apportata alla L. n. 890 del 1982, art. 14, che continua a prevedere “la notificazione degli avvisi (…) che per legge devono essere notificati al contribuente”, “a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari”, senza alcuna distinzione tra i vari tipi di atti, impositivi o impoesattivi;
-in mancanza di espressa modifica legislativa e di ragioni sistematiche che giustifichino una diversa interpretazione, ed anche alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 175 del 2018 e n. 104 del 2019 (rispettivamente in materia di notifica diretta della cartella di pagamento e dell’avviso di accertamento), secondo cui, “nella fattispecie della notificazione ‘diretta’, vi è un sufficiente livello di conoscibilità’ – ossia di possibilità che si raggiunga, per il notificatario, l’effettiva conoscenza dell’atto – “stante l’avvenuta consegna del plico (oltre che allo stesso destinatario, anche alternativamente) a chi sia legittimato a riceverlo’, sicché il “limite inderogabile” della discrezionalità del legislatore non è superato e non è compromesso il diritto di difesa del destinatario della notifica, deve ritenersi
Cons. Est. NOME COGNOME
possibile e legittima la notifica diretta a mezzo posta degli avvisi di accertamento impoesattivi, previsti dal citato art. 29 del d.L. n. 78 del 2010, come convertito;
-né a diversa conclusione può pervenirsi desumendo , dalla precisazione contenuta nell’art. 29 citato circa la facoltà di notificare “mediante raccomandata con avviso di ricevimento” gli atti “successivi” all’avviso di accertamento in tutti i casi in cui siano rideterminati gli importi dovuti in base a questi ultimi, una implicita abrogazione della facoltà riconosciuta all’amministrazione finanziaria di procedere alla notifica diretta a mezzo posta degli avvisi di accertamento, prevista dall’art. 14 della l. n. 890 del 1982. Invero, il citato art. 29, comma 1, lett. a), non si pone affatto su un piano di incompatibilità logica o di implicita contraddizione con la più generale previsione di cui al citato art. 14 (riferito agli “avvisi” e agli “altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente”) e nemmeno prevede che la notificazione a mezzo posta è consentita “solo” per gli atti successivi all’avviso di accertamento , ma, al contrario, disponendo che la notificazione di tali atti può essere effettuata “anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento”, rende evidente l’intento del Legislatore di specificare che anche per queste nuove tipologie di atti, ovvero i c.d. “atti successivi” (non è più prevista infatti l’emissione della cartella di pagamento la cui modalità di notifica è prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26), è attribuita all’amministrazione fiscale la facoltà di procedere alla loro notificazione mediante l’utilizzo della più snella modalità costituita dall’invio diretto a mezzo raccomandata postale con avviso di ricevimento (Cass. sez. 5 n. 10109 del 2023);
-nella specie, la CTR si è attenuta ai suddetti principi nel ritenere rituale la notifica dell’avviso di accertamento
Cons. Est. NOME COGNOME
impoesattivoprevisto dall’art. 29 del d. l. n. 78 del 2010, come convertitoeffettuata direttamente dall’Ufficio finanziario ex art. 14 della legge n. 890/1982, a mezzo servizio postale ordinario, senza necessità di redazione di alcuna relata di notifica (sul punto vedi, da ultimo, Cass. n. 6702 del 13/3/2025);
-il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 c. 1 del d.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti consistente nell’inizio delle operazioni di verifiche fiscali in data 17 febbraio 2016 e non in data 19 settembre 2016 come rilevata dalla sentenza impugnata;
-con riguardo alla violazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, il motivo è infondato;
-la disposizione invocata prevede che l’Ufficio possa ‘invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti, compresi i documenti di cui al successivo art. 34. Ai soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili secondo le disposizioni del titolo III può essere richiesta anche l’esibizione dei bilanci o rendiconti e dei libri o registri previsti dalle disposizioni tributarie. L’ufficio può estrarne copia ovvero trattenerli, rilasciandone ricevuta, per un periodo non superiore a sessanta giorni dalla ricezione’;
-nella presente fattispecie, a fronte dell’accertamento di fatto operato dalla CTR secondo la quale in primo luogo ‘… la verifica fiscale, come emerge dalla documentazione in atti non è iniziata 17/2/16, posto che, in quella data aveva inizio solo un controllo relativo ad una molteplicità di anni di imposta, come emerge dal processo verbale delle operazioni compiute, distinto dal successivo processo verbale della
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verifica del 19 settembre 2016, di cui un esemplare veniva consegnato alla contribuente’ e in secondo luogo ‘la verifica fiscale vera e propria aveva inizio presso gli Uffici della Guardia di Finanza, Compagnia di Ladispoli, solo il 19/6/16 che si concludeva in pari data. Precedentemente l’attività ispettiva si era caratterizzata per una serie di contraddittori con la contribuente rivolti alla consegna ed esibizione della documentazione contabile richiesta, dalla cui valutazione complessiva emergeva appunto la necessità di una verifica fiscale, effettuata nella data sopra indicata, che confluiva nel predetto processo verbale’, non si evince, come dovrebbe secondo la prospettazione di parte ricorrente, la sussistenza -dal trattenimento della documentazione contestato nel motivo -di un concreto pregiudizio alla contribuente;
-per valutare la sussistenza o meno della violazione dedotta è infatti necessario (e dall’accertamento sopra riportato ciò non emerge) sia riscontrato non solo il mero venir meno degli operanti all’obbligo di restituzione della documentazione nei termini, ma anche la sussistenza di una ingiusta compressione del diritto di difesa, causalmente collegato con il lamentato ingiusto spossessamento dei documenti;
-inoltre, i termini impiegati infatti dalla sentenza impugnata per descrivere le operazioni svoltisi precedentemente la data del 19 settembre 2016 (‘consegna ed esibizione’) non consentono infatti ex se , in questa sede, di ritenere provato che in tale occasione gli operanti abbiano, come si adombra in ricorso, non solo richiesto e visionato (ottenendone dalla contribuente la ‘consegna’ e l”esibizione’, che sotto questo profilo sono termini non omogenei e in concreto risultano equivoci) ma anche trattenuto la documentazione de qua ;
-il profilo assume rilevanza dirimente, poiché presupposto logico e giuridico della censura proposta è che la
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documentazione contabile sia stata trattenuta dagli operanti, dal momento che solo l’effettivo spossessamento di essa in danno del contribuente – unitamente alla prova di aver subito una concreta lesione del proprio diritto alla difesa -costituisce elemento essenziale della doglianza;
-invero, la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali, come di quelle procedimentali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria o amministrativa, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione. Con la conseguenza che risulta inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo -così enunciandosi un principio applicabile anche al procedimento, fase che logicamente e cronologicamente precede il processo – senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale o procedimentale abbia comportato, per la parte, una effettiva e concreta lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (Cfr. quanto al processo, Cass. Civ. Sez. 1, nn. 27394 2638/2016; Cass. Civ. Sez. Trib. n. 26831/2014);
-in massima sintesi, non si evince qui dalla sentenza di merito che il trattenimento della documentazione abbia, ad esempio, impedito alla contribuente la sua utilizzazione in giudizio, il che avrebbe reso certo più ardua la sua difesa;
-si è già osservato, d’altronde, sia pure con riguardo al ca so contiguo della durata eccessiva delle operazioni di verifica (Cass., Sez. V, Ordinanza n. 695 del 12.01.2022), che il contribuente può rivolgersi al Garante, il quale, in seguito alla segnalazione esercita i poteri istruttori richiesti dal caso (art. 13, comma 6), richiamando “gli uffici al rispetto di quanto previsto dagli articoli 5 e 12 della presente legge” (art. 13
comma 9), e, ove rilevi comportamenti che “determinano un pregiudizio per i contribuenti o conseguenza negative nei loro rapporti con l’amministrazione”, trasmette le relative segnalazioni ai titolari degli organi dirigenziali “al fine di un eventuale avvio del procedimento disciplinare” (art. 13, comma 11);
-con riguardo poi al profilo che denuncia l’omesso esame, il motivo è parimenti infondato;
-dalla sopra riportata porzione della pronuncia impugnata è evidente come la questione relativa all’inizio della verifica e alle operazioni durante essa compiute siano state -correttamente o meno -nel concreto debitamente prese in esame dalla sentenza di appello, che si è quindi espressa sul punto;
-il terzo motivo si incentra sulla violazione o falsa applicazione degli artt. 57 e 58 del d. Lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la pronuncia impugnata ritenute erroneamente questioni nuove quelle sollevate dall’appellante e per non aver tenuto conto della riconciliazione analitica svolta in tal sede dalla contribuente nonché dalla documentazione prodotta;
-il motivo è inammissibile, oltre che infondato;
-dalla lettura della sentenza impugnata si evince come effettivamente in primo grado la contribuente non abbia contestato l’atto impositivo dando prova -procedendo alla riconciliazione dei movimenti bancari con le risultanze delle scritture contabili e della ulteriore documentazione extracontabiledi aver tenuto conto nella propria dichiarazione dei movimenti oggetto di rilievo o in alternativa, della loro irrilevanza e fini reddituali (in particolare si veda a pag. 1 della sentenza impugnata);
-sempre la sentenza gravata fa riferimento, nelle indicazioni delle censure proposte di fronte a sé alla contestazione relativa alla ‘…insussistenza di presunzioni legali in ordine alla accertamenti bancari riguardanti i versamenti sul conto corrente operati dalla contribuente’, che è profilo puramente di diritto, del tutto diverso e disomogeneo rispetto alla contestazione della prova presuntiva fornita dall’Ufficio basandosi sulle risultanze delle indagini finanziarie;
-il secondo aspetto infatti riguarda meramente il fatto, non il diritto, poiché consiste nel replicare da parte del contribuente alla presunzione di natura reddituale delle singole operazioni bancarie con argomenti di fatto, consistenti nel collegare a ciascuna di tale operazioni una spiegazione documentale sostenuta dalle scritture contabili (es.: producendo le fatture emesse e ricevute, di importo corrispondente all’incasso risultante dall’estratto conto bancario) o da documentazione extracontabile (es.: la produzione di una quietanza per un pagamento operato in contanti);
-a fronte di tali risultanze, parte ricorrente non produce né allega alcun atto del processo di merito dal quale risulta che la questione sia stata posta in tali esatti termini; conseguentemente, avendo rilevato come tale aspetto fosse stato introdotto solo di fronte a sé, correttamente la CTR ha ritenuto inammissibile la questione;
-il motivo risulta poi anche carente d’interesse , posto che il giudice d’appello ha affrontato anche il merito : al riguardo, ha escluso che ‘la presunzione di redditività delle movimentazioni dei conti correnti’ sia stata superata dalla contribuente , la quale, ha ritenuto, non ha fornito ‘alcuna concreta prova al riguardo’ ;
-il quarto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione all’art. 360
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1 n. 3 c.p.c. per avere la sentenza di merito ritenuto che la natura di presunzione legale relativa prevista dalla disposizione in oggetto concernente la disponibilità di maggior reddito desumibile dalle risultanze dei conti bancari si estenda al contribuente che opera in regime di contabilità semplificata in assenza di una norma che imponga la riconciliazione analitica di tutti i versamenti;
-il motivo è infondato;
-ritiene il Collegio debba sul punto darsi continuità all’orientamento già espresso da questa Corte secondo il quale (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 40221 del 15/12/2021) in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il dato normativo non opera distinzione alcuna tra contribuenti in regime di contabilità ordinaria e contribuenti in regime di contabilità semplificata;
-d’altronde, anche con la sentenza n. 228 del 2014 la Corte costituzionale ha valorizzato il sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria dei lavoratori autonomi, da cui deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali, con riguardo alla sola presunzione in base alla quale il prelevamento dal conto bancario corrisponderebbe ad un costo a sua volta produttivo di un ricavo;
-sul punto, si è da tempo chiarito che, in tema d’imposte sui redditi, all’esito della sentenza della Corte cost. n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti (tra le più recenti, Cass. n. 9403 dell’8/3/20 24);
-anche da ultimo, la Corte costituzionale ha escluso la rilevanza dirimente del regime di contabilità semplificata: v. Corte cost. n. 10/23 secondo la quale ‘non è possibile, in ragione del solo regime di contabilità in concreto adottato dal contribuente, assumere un’equiparazione tra la situazione dei lavoratori autonomi e professionisti e quello degli imprenditori commerciali ‘;
-nulla per le spese, in mancanza di attività difensiva;
p.q.m.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei contribuenti ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 11 aprile 2025.