Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24281 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24281 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 28093/2016 R.G.) proposto da:
n. 28093/2016 R.G.
COGNOME
Rep.
A.C. 12 giugno 2025
COGNOME NOME COGNOME nato a Ripatransone (AP) il 12 novembre 1954 (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ avv. NOME COGNOME unitamente all ‘ avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità (indirizzo p.e.c. del difensore: ‘ EMAILordineavvocatianconaEMAIL ‘ ; indirizzo p.e.c. del domiciliatario:
‘ COGNOMEEMAIL );
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall ‘ Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata ‘ ope legis ‘ presso gli uffici di quest’ ultima, siti in Roma, alla INDIRIZZO (indirizzo p.e.c.: EMAIL);
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche (Ancona) n. 349/3/2015, pubblicata il 3 novembre 2015;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 12 giugno 2025, dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
letta la memoria illustrativa depositata nell ‘ interesse del ricorrente, ai sensi dell ‘ art. 380bis .1. c.p.c.;
FATTI DI CAUSA
1.- In punto di fatto e limitando l ‘ esposizione alle sole circostanze rilevanti in questa sede, si osserva che, con sentenza n. 150/06/2009 pubblicata il 19 ottobre 2009, la Commissione Tributaria Provinciale di Ascoli Piceno, riuniti i ricorsi presentati da NOME NOME avverso quindici avvisi di accertamento emessi dall ‘ Agenzia delle Entrate – Ufficio di San Benedetto del Tronto (AP) – accoglieva il solo ricorso avverso l ‘ avviso di accertamento relativo all ‘ anno d ‘ imposta 2002 e rigettava i restanti.
Nella parte motiva della predetta sentenza di primo grado, si legge che: – COGNOME NOME, esercente l ‘ attività di libero professionista, in relazione agli anni d ‘ imposta 1999, 2000, 2001, 2002, 2003 e 2004 non aveva presentato alcuna dichiarazione dei redditi; – la Guardia di Finanza, anche previa acquisizione di documentazione bancaria e dopo avere eseguito una perquisizione domiciliare all ‘ uopo autorizzata dal Procuratore della Repubblica di Ascoli Piceno, aveva proceduto a ricostruire il reddito del contribuente; – la natura di evasione totale e l ‘ assenza di qualsivoglia documentazione affidabile impedivano di potere aderire ad alcuna delle prospettazioni difensive (quale quella di riconoscimento di una maggiore percentuale di abbattimento del reddito); -i questionari inviati ai committenti privati, i cui nominativi erano stati reperiti nella documentazione acquisita dalla Guardia di Finanza, avevano fornito elementi di valutazione che non potevano essere neutralizzati dalle produzioni documentali del contribuente, mentre potevano essere presi in considerazione solo i versamenti eseguiti personalmente da quest ‘ ultimo; – solo in relazione all ‘ anno d ‘ imposta 2002 doveva ritenersi provato che il contribuente non avesse percepito compensi, con la conseguenza che solo il ricorso avverso l ‘ avviso di accertamento relativo all ‘ anno d ‘ imposta 2002 doveva essere annullato.
2.- Avverso la suddetta sentenza di primo grado, il contribuente COGNOME Francesco proponeva appello. L ‘ Agenzia delle Entrate, oltre a resistere a tale impugnazione proponeva, a sua volta, appello incidentale. In
pendenza del giudizio d ‘ appello, il contribuente definiva la lite in relazione a quattordici dei quindici ricorsi, usufruendo della speciale causa di condono di cui all ‘ art. 39, comma 12, d.l. n. 98 del 2011.
Dichiarata cessata la materia del contendere in parte qua , veniva, da ultimo, fissata udienza di discussione sull ‘ appello limitatamente alla decisione concernente l ‘ avviso di accertamento R9011200385/2007 relativo all ‘ anno d ‘ imposta 1999 con il quale era stata determinata una maggiore imposta, a titolo di IRPEF ed IVA.
Con la sentenza oggetto dell ‘ odierna impugnazione, la CTR delle Marche (Ancona), rigettava l ‘ appello, affermando: « Al fine di definire il devolutum del presente processo si impone di rivisitare l ‘ intera vicenda. Con l ‘ avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE/2007 l ‘ Agenzia delle Entrate determinava ai sensi dell ‘ art. 41 bis D.P.R. n. 600/73 un maggiore reddito pari a L. 93.886.842 ed irrogava sanzioni pari ad €. 28.060,65 ponendo a fondamento della pretesa i seguenti motivi: 1. nei confronti del contribuente la Guardia di Finanza di San Benedetto aveva svolto una verifica fiscale a carattere generale ed una a carattere parziale predisponendo in esito i relativi p.v.c. (rispettivamente in data 22/1/2007 ed in data 11/10/2007 a disposizione del contribuente al quale peraltro erano stati notificati); 2. ì Militari della Guardia di Finanza avevano. accertato che il contribuente era titolare di tre conti correnti (c/c n. 467 acceso sulla filiale di Grottammare della Cassa di Risparmi di Fermo, c/c n. 3074 acceso presso la filiale di Grottammare della Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno e c/c n. 963 acceso presso la filiale di Cupramarittima della Cassa di Risparmio di Fermo) sui quali erano Stati effettuati versamenti per complessi €. 28.385,95 e prelievi per complessivi €. 24.833,95; 3. il contribuente era stato invitato a fornire documentazione giustificativa ma non aveva offerto elementi validi (ad esempio non erano stati indicati i beneficiari dei prelievi) di guisa che veniva presunto, in applicazione della circolare n. 32/E/2006, che si trattava di compensi non dichiarati. Ciò posto, va preliminarmente preso atto che la Corte Costituzionale con la citata sentenza del 24/9/2014 n. 228, ritenendo illegittima la previsione di cui all ‘ art. 32 -comma 2^ n. -D.P.R. n. 600/73 nella parte come modificata con l ‘ art. 1 l. 30/12/2004 n. 311, ha ritenuto che non possa presumersi tout court che costituiscano un “compenso” per un lavoratore
autonomo, specie se dedito alle c.d. professioni liberali, i prelevamenti o gli importi riscossi se il contribuente non sia in grado di indicare il beneficiario e se non vi sia giustificazione in contabilità di tali movimenti. Prendendo le mosse da tale pronuncia, occorre, nel caso di specie, verificare se sussistano altri elementi che possano permettere di riscontrare l ‘ assunto dell ‘ Amministrazione Finanziaria. Ritiene questa Commissione che vadano all ‘ uopo valorizzate due prove acquisite e non contestate nel corso del processo. Innanzitutto, il fatto che il contribuente (anche) in relazione all ‘ anno d ‘ imposta in contestazione (1999) non abbia presentato la dichiarazione dei redditi pur avendo avuto la disponibilità di somme di danaro assai significative (quelle, appunto, sopra indicate). Inoltre, Si deve valorizzare la circostanza che i prelievi ed i versamenti di cui sopra non trovano giustificazione in alcun documento non solo contabile, ma anche di altro tipo. A quanto sopra si deve poi aggiungere il fatto che, ancorché sia esatta e fondata la contestazione in forza della quale il conto corrente n. 963 acceso presso la Carifermo di Cupramarittima non sia intestato al contribuente, ma al di lui padre, tuttavia tale precisazione non assume un rilievo dirimente, dal momento che è lo stesso contribuente a rappresentare nei suoi scritti difensivi -come si è sopra riportato -il padre gli ha ‘elargito’ somme provenienti da tale conto che, a dire dell ‘ appellante, era alimentato solo da redditi da pensione e da un reddito locativo (in realtà, come lo stesso appellante evidenzia nell ‘ atto di impugnazione originario avverso l ‘ avviso di accertamento ora in esame, su tale conto sono state versate e sono state prelevate somme ben superiori a quelle transitate nei due conti correnti intestati al contribuente). In conclusione, gli elementi sopra illustrati posseggono nel loro insieme una valenza probatoria sufficiente e non adeguatamente contestata circa la riconducibilità in capo al contribuente di reddito non dichiarati. Il motivo sub 4) come sopra illustrato è poi infondato. invero è ormai pacificamente ammesso che l ‘ utilizzazione dello strumento dell ‘ accertamento parziale, ai sensi dell ‘ art. 41 bis D.P.R. 29/9/19.73 n. 600 è nella disciplina degli uffici quando ad essi pervenga una segnalazione della Guardia di Finanza che fornisca elementi per ritenere la sussistenza di un reddito non dichiarato senza che tale strumento debba essere subordinato ad una particolare semplicità della
segnalazione pervenuta” (Cass. sez. V 12/5/2006 n. 11057 cfr. anche Cass. sez. V 16/2/2010 n. 3573). Orbene nel caso di specie l ‘ accertamento parziale impugnato deriva e si fonda su due verifiche (una parziale ed una generale) poste in essere dalla Guardia di Finanza e citate, come sopra evidenziato, nel corpo stesso dell ‘ avviso di accertamento impugnato: di tutto ciò vi è contezza nella sentenza impugnata nella quale si dà atto che l ‘ attività della Guardia di Finanza è consistita nell ‘ acquisizione di un enorme mole di materiale e nella successiva elaborazione poi recepita dall ‘ Amministrazione Finanziaria. In conclusione, Si deve ritenere corretto il ricorso all ‘ istituto dell ‘ accertamento parziale. Va infine respinta anche la censura relativa alla pretesa dell ‘ IRAP atteso che, come ha rilevato) l ‘ Amministrazione Finanziaria e non ha contestato il contribuente, costui ha affermato di avere sostenuto spese rilevanti per il suoi collaboratori, così lasciando intendere di avere svolto la sua attività libero -professionale in modo “organizzato”. La necessità di “rafforzare” le motivazioni della sentenza impugnata giustifica la decisione di compensare le spese. »
3.- Avverso la menzionata sentenza d ‘ appello, il contribuente COGNOME Francesco ha proposto ricorso per cassazione, affidato a dieci motivi.
4.- L ‘ Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
5.- Il ricorrente ha, infine, depositato memoria illustrativa, ai sensi dell ‘ art. 380bis .1. c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell ‘ art. 32, comma 1, n. 2), d.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dall ‘ art. 1, comma 402, lett. a), numero 1), l. n. 311 del 2004 e dell ‘ art. 136 Cost. in comb. disp. con l ‘ art. 30 l. n. 87 del 1953.
Sostiene, al riguardo, che la CTR, chiamata a valutare la legittima applicazione dell ‘ art. 32, comma 1, n. 2), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione ai prelevamenti effettuati da un lavoratore autonomo, non avrebbe tenuto conto della declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla pronuncia della Corte Costituzionale del 6 ottobre 2014, n. 228, nella parte in cui la suddetta norma – a seguito della novella di cui all ‘ art. 1, comma 402, lett. a), numero 1), della l. n. 311 del 2004, aveva esteso
anche ai professionisti la presunzione di maggiori ricavi data dai prelievi rinvenuti sul conto corrente e non giustificati e avrebbe ritenuto comunque di dover valutare la fondatezza di tale presunzione, dovendo invece limitarsi a statuire per l ‘ irrilevanza reddituale dei prelevamenti.
Evidenzia, in particolare, che, i giudici d ‘ appello non avrebbero recepito il monito del Consulta confermando l ‘ avviso di accertamento originario anche in ordine ai prelievi, con una motivazione che rivela una lettura superficiale del ragionamento della Corte Costituzionale. E ciò, in quanto, anziché recepire senza riserve la menzionata declaratoria di illegittimità costituzionale, essi hanno affermato, a pag. 9 della sentenza impugnata, che « va preliminarmente preso atto che la Corte Costituzionale con la citata sentenza del 24/9/2014 n. 228, ritenendo illegittima la previsione di cui all ‘ art. 32 -comma 2^ n. 2) -D.P.R. n. 600/73 nella parte come modificata con l ‘ art. 1 L. 30/12/2004 n. 311, ha ritenuto che non possa presumersi tout court che costituiscano un “compenso” per un lavoratore autonomo, specie se dedito alle c.d. professioni liberali, i prelevamenti o gli importi riscossi se il contribuente non sia in grado di indicare il beneficiario e se non vi sia giustificazione in contabilità di tali movimenti », così chiaramente mostrando di non aver correttamente percepito i confini e la ratio dell ‘ intervento del giudice delle leggi.
2.- La censura è fondata nei sensi che vengono di seguito precisati.
Ed invero, questa Corte regolatrice, con orientamento al quale il Collegio intende dare continuità, ha chiarito che « In tema d ‘ imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta l ‘ art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l ‘ accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; tuttavia, all ‘ esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l ‘ efficacia dimostrando che le
stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti. » (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 29572 del 16 novembre 2018, Rv. 651421-01; nello stesso senso, Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 1519 del 20 gennaio 2017, Rv. 642454-01, nonché, più di recente, Cass. civ., Sez. T, sentenza n. 35618 del 20 dicembre 2023, Rv. 669935-01 e Cass. civ., Sez. T, ordinanza n. 9403 dell ‘ 8 aprile 2024, Rv. 670819-01).
Orbene, nella fattispecie di cui si tratta, il giudice d ‘ appello non ha fatto corretta applicazione di tale principio, giacché, dalla motivazione della sentenza impugnata risulta piuttosto agevole desumere come la CTR abbia esteso la presunzione di cui all ‘ art. 32, comma 1, n. 2), d.P.R. n. 600 del 1973 anche alle operazioni di prelevamento dai conti correnti riferibili al contribuente, nonostante quest ‘ ultimo non esercitasse attività d ‘ impresa e ponendo a suo carico, l ‘ onere di fornire – anche con riguardo a tale tipologia di operazioni – elementi valevoli a dimostrare la loro irrilevanza reddituale.
3.- Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, n. 2), 37, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c..
Censura, al riguardo, la sentenza impugnata, nella parte in cui essa ha ritenuto legittima l ‘ estensione dell ‘ accertamento bancario ad un conto corrente non intestato al contribuente verificato (bensì a NOME NOME, padre del predetto), nonostante l ‘ amministrazione finanziaria non avesse dimostrato che l ‘ intestazione a terzi fosse fittizia e nonostante, in ogni caso, fosse stata per tabulas dimostrata la sostanziale estraneità del contribuente medesimo rispetto alle posizioni creditorie e debitorie annotate su detto conto.
In particolare, secondo la prospettazione sviluppata nel ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, l ‘ amministrazione finanziaria non avrebbe fornito dimostrazione alcuna circa la riferibilità all ‘ odierno ricorrente delle movimentazioni del suddetto conto corrente bancario, mediante presunzioni dotate dei requisiti di gravità, precisione
e concordanza, come invece imposto dalla disposizione normativa di cui all ‘ art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973.
Il motivo, tra l ‘ altro, prosegue, poi, evidenziando che: « In tale prospettiva, risulta ictu oculi evidente come i fatti valorizzati in sentenza non possano valere ad integrare una presunzione grave, precisa e concordante sulla quale inferire il fatto ignoto costituito dal possesso di redditi occultati in capo all ‘ odierno scrivente. Ed invero, non è logicamente possibile affermare che la rilevanza reddituale in capo al contribuente dei movimenti effettuati sul conto del padre possa derivare dal fatto che “… il padre gli ha elargito delle somme provenienti da tale conto che, a dire dell ‘ appellante, era alimentato solo da redditi da pensione e da un reddito locativo”. Ed invero, a differenza di quanto opinato in sentenza, proprio il fatto che il conto del padre fosse alimentato da redditi da pensione e da redditi locativi, vale a dimostrare come il padre, titolare del conto in contestazione, avesse una capacità reddituale autonoma e distinta da quella del figlio. Non solo. La ulteriore circostanza pure dedotta in sentenza, secondo cui sul conto del padre “… sono state versate e sono state prelevate somme ben superiori a quelle transitate nei due conti correnti intestati al contribuente”, nulla dice sulla riferibilità al contribuente delle somme transitate sul cennato conto corrente, valendo di contro essa a dimostrare come la autonoma e distinta capacità reddituale del padre fosse stata solo in parte riversata sul conto del figlio. Ed anzi, in tale prospettiva, proprio il fatto che solo parzialmente le disponibilità presenti sul conto del padre siano confluite sui conti del contribuente, vale ancora di più a dimostrare l ‘ estraneità di quest ‘ ultimo rispetto alle disponibilità presenti sul conto del primo, ove si consideri che, come sopra ricordato, l ‘ odierno scrivente non aveva mai effettuato direttamente operazioni su tale conto. » (cfr., all ‘ uopo, il ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, alle pagg. 29-30).
Aggiungasi come, sempre alla stregua della prospettazione sviluppata in ricorso, il contribuente avrebbe dimostrato la non attribuibilità del conto a sé allegando il contratto stipulato tra il sig. NOME COGNOME e l ‘ istituto bancario, dal quale si evinceva l ‘ inesistenza di cointestazione, nonché la copia degli estratti conto dai quali si evinceva come le uniche operazioni di versamento fossero riconducibili alla pensione che percepiva il padre
(NOME) e ai canoni degli affitti relativi agli immobili locati, così come risultava dai contratti allegati e dagli assegni depositati. Infine, il ricorrente ha evidenziato di aver provveduto a produrre in giudizio una dichiarazione sostitutiva con cui il padre, NOME, aveva confermato di essere l ‘ unico titolare del conto n. 963 oggetto di indagine.
4.- La censura è palesemente inammissibile.
Ed invero, non è chi non veda come la questione relativa alle valutazioni operate dalla CTR in ordine alla riferibilità al contribuente del conto corrente bancario n. 963 acceso presso la filiale di Cupra Marittima (AP) della Cassa di Risparmio di Fermo S.p.A. (e formalmente intestato a NOME NOME, padre dell ‘ odierno ricorrente), si risolvano senz ‘ altro in un accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità.
Al riguardo, è appena il caso di ricordare il consolidato orientamento di questa Corte regolatrice in base al quale « Le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all ‘ art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l ‘ interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l ‘ applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell ‘ attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell ‘ assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell ‘ ambito applicativo dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3, l ‘ allegazione di un ‘ erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all ‘ esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità. » (Cass. civ., Sez. 1, ordinanza n. 640 del 14 gennaio 2019, Rv. 652398-01; conf. Cass. civ., Sez. 3, sentenza n. 7187 del 4 marzo 2022, Rv. 664394-01; cfr., altresì,
in epoca recente, Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 25182 del 19 settembre 2024, secondo cui in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un ‘ erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica, pertanto, un problema interpretativo di quest ‘ ultima, laddove l ‘ allegazione di un ‘ erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ed inerisce, pertanto, alla tipica valutazione del giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto l ‘ aspetto del vizio di motivazione).
In altri termini, in tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un ‘ alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (Cass. civ., ordinanza n. 10927 del 23 aprile 2024, Rv. 670888-01).
5.- Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata, per violazione degli artt. 36, comma 1, n. 4), d.lgs. n. 546 del 1992, 132, comma 2, n. 4), c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost..
Sostiene, al riguardo, che la motivazione di tale sentenza sarebbe perplessa ed obiettivamente incomprensibile, « posto che gli elementi valorizzati dai Giudici di seconde cure logicamente inducevano ad inferire che le movimentazioni registrate sul conto intestato al Sig. COGNOME NOME non fossero in realtà attribuibili al Sig. NOME COGNOME » (cfr., all ‘ uopo, il ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, alle pagg. 34-35) ed erano, anzi, « del tutto privi di nesso logico con la affermata tesi di attribuibilità del conto al ricorrente » e deponevano « esattamente in senso contrario » (cfr., all ‘ uopo, il ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, alla pag. 33).
In particolare, tali elementi consisterebbero: – nel fatto che, per stessa ammissione del contribuente, il padre gli aveva elargito delle somme provenienti da tale conto corrente bancario (circostanza quest ‘ ultima da
cui, secondo la prospettazione del ricorrente, dovrebbe desumersi soltanto che il padre prelevasse da tale conto); – nel fatto che tale conto era alimentato solo da redditi da pensione e da un reddito locativo (circostanza quest ‘ ultima che secondo il ricorrente consentirebbe chiaramente di ricondurre al padre, titolare del conto, i versamenti intervenuti su di esso); – nel fatto che su tale conto erano state versate e prelevate somme ben superiori a quelle transitate nei due conti correnti intestati al contribuente (elemento circostanziale che, a detta del ricorrente, dimostrerebbe la capienza del conto intestato al padre rispetto ai due conti intestati al ricorrente, così confermando l ‘ assunto secondo cui il padre del contribuente aveva la disponibilità necessaria per sostenerlo economicamente, avendo a disposizione somme superiori a quelle poi donate al figlio).
6.- La censura risulta sia infondata che inammissibile.
Con essa, infatti, il ricorrente censura la motivazione della sentenza impugnata, sostanzialmente lamentandone l ‘ incomprensibilità e l’ insufficienza.
Nondimeno, come chiarito da questa Corte regolatrice, « In seguito alla riformulazione dell ‘ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall ‘ art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall ‘ art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. » [Cass. civ., Sez. 1, ordinanza n. 7090 del 3 marzo 2022, Rv. 664120-01; cfr., altresì, in senso sostanzialmente conforme Cass. civ., Sez. 6-3, ordinanza n. 22598 del 25 settembre 2018, Rv. 650880-01, secondo cui « In seguito alla riformulazione dell ‘ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall ‘ art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di
legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all ‘ obbligo di motivazione previsto in via generale dall ‘ art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall ‘ art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.. »].
In particolare, giova rammentare che questa Corte, a sezioni unite, ha chiarito che, dopo la riforma dell ‘ art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., operata dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l ‘ anomalia motivazionale si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all ‘ esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella ‘ mancanza assoluta di motivi sotto l ‘ aspetto materiale e grafico ‘, nella ‘ motivazione apparente ‘, nel ‘ contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ‘ e nella ‘ motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile ‘, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘ sufficienza ‘ della motivazione (cfr. Cass. civ., Sez. U., sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, Rv. 629830-01).
Tale sindacato, dunque, risulta oggi suscettibile di essere ammesso esclusivamente ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c. (come, peraltro, richiesto dalla ricorrente) e, quindi, in termini di nullità della sentenza per violazione – nel caso del processo tributario – dell ‘ art. 36, comma 2, n. 4), d.lgs. n. 546 del 1992 che, del resto, prescrivendo la necessità della succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto della decisione, si salda con il precetto costituzionale di cui all ‘ art. 111, comma 6, Cost.. Tuttavia, come già detto, esso resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del cd. « minimo costituzionale » richiesto dalla disposizione costituzionale menzionata, che viene violato qualora la motivazione sia
totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr., in tal senso, la già citata Cass., Sez. 1, ordinanza n. 7090 del 3 marzo 2022, Rv. 664120-01).
Nel caso di specie, alcuna delle gravi anomalie motivazionali sopra indicate risulta ravvisabile, perché la CTR ha congruamente motivato in relazione alle ragioni che avevano fondato il proprio convincimento, evidenziando come, per stessa ammissione del contribuente, egli aveva ricevuto somme elargitegli dal padre e prelevate proprio dal conto corrente bancario di cui si tratta e come, sebbene alla stregua della prospettazione dell ‘ odierno ricorrente, tale conto fosse alimentato solo ed esclusivamente da somme provenienti dal reddito pensionistico di NOME e da « un reddito locativo », su tale conto risultavano versate e prelevate somme notevolmente superiori a quelle transitate nei due conti correnti intestati al contribuente.
In tal senso, dunque, la sentenza impugnata risulta, sia pur sinteticamente, dare conto delle ragioni relative alla divisata riferibilità al contribuente del contro corrente bancario n. 963 acceso presso la filiale di Cupra Marittima (AP) della Cassa di Risparmio di Fermo S.p.A., sicché dalla lettura di essa si ricava senz ‘ altro un percorso argomentativo esaustivo e coerente, scevro da vizi risultanti dal testo della pronuncia medesima, la quale, pertanto, si sottrae alla censura prospettata.
Aggiungasi, peraltro, che la censura oggetto di disamina, nella parte in cui si concentra sui singoli elementi circostanziali sopra menzionati (valorizzati dalla sentenza impugnata), pretendendo di fornirne una propria lettura idonea ad accreditare una ricostruzione dei fatti di causa alternativa rispetto a quella emergente dalla sentenza della CTR, presenta altresì un indubbio profilo d ‘ inammissibilità giacché si infrange contro il principio, più volte affermato da questa Corte regolatrice, secondo cui il motivo di ricorso non può mai risolversi in un ‘ istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito volta all ‘ ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. civ., Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25 ottobre 2013,
Rv. 627790-01, nonché Cass. civ., Sez. 2, ordinanza n. 10927 del 23 aprile 2024, Rv. 670888-01, già citata sopra).
7.- Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata, per violazione degli artt. 36, comma 1, n. 4) e 61 d.lgs. n. 546 del 1992, nonché degli artt. 132, comma 2, n. 4) e 118 disp. att., c.p.c..
Sostiene, al riguardo, come la pronuncia risulterebbe meritevole di censura per violazione delle disposizioni disciplinanti il necessario corredo motivazionale di cui deve essere fornita la sentenza conclusiva di un giudizio tributario, nella parte in cui la presunzione di cui all ‘ art. 32, comma 1, n. 2), d.P.R. n. 600 del 1973 è stata ritenuta applicabile ai movimenti intercorsi sui tre conti correnti bancari riferibili al contribuente sulla scorta della mera e « apodittica » affermazione secondo cui « i prelievi ed i versamenti di cui sopra non trovano giustificazione in alcun documento non solo contabile, ma anche di altro tipo ». E ciò, sebbene il contribuente si fosse comunque prodigato onde fornire giustificazione documentale giustificazione di ogni singola operazione (incluse quelle di prelevamento, pur ritenendo, come sopra visto, che queste ultime non potessero essere valorizzati ai fini reddituali), corredando altresì i propri assunti difensivi con apposite produzioni documentali. Tali documenti sono stati specificamente menzionati nelle pagg. 39-49 del ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, con indicazione anche del loro contenuto e degli atti ai quali essi risultavano essere stati allegati nell ‘ ambito dei due gradi di merito. In ordine a tali operazioni, l ‘ odierno ricorrente aveva proposto specifico motivo d ‘ appello, come, del resto, può agevolmente desumersi dalla lettura e disamina delle pagine contrassegnate dai numeri romani ‘ II ‘, ‘ III ‘ e ‘ IV ‘ della sentenza impugnata, in cui vengono riepilogati, dalla CTR, i motivi d ‘ impugnazione proposti dal contribuente.
8.- Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata, per violazione dell ‘ art. 115, comma 1, c.p.c..
Il motivo censura la sentenza impugnata nella parte in cui la CTR si è limitata a rilevare che « i prelievi ed i versamenti di cui sopra non trovano giustificazione in alcun documento non solo contabile, ma anche di altro
tipo », sebbene il contribuente avesse documentalmente giustificato tutte le operazioni bancarie intervenute nei tre conti oggetto di verifica e contestate, cosicché essa avrebbe quindi statuito senza esaminare la documentazione e le giustificazioni addotte dal contribuente e violando il disposto di cui all ‘ art. 115 c.p.c., norma processuale che impone che il giudice ponga a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti.
In particolare, la CTR si sarebbe limitata ad affermare che il contribuente NOME non aveva fornito alcuna giustificazione documentale alle movimentazioni oggetto di contestazione, senza tuttavia illustrare l ‘ iter logico-argomentativo che le aveva permesso di opinare, in maniera indistinta ed assolutamente aspecifica, per l ‘ assoluta irrilevanza della copiosa documentazione pur prodotta in causa dal contribuente a dimostrazione della irrilevanza reddituale di ciascuna delle suddette movimentazioni.
9.- Le predette censure, senz ‘ altro suscettibili di essere scrutinate congiuntamente, sono fondate, giacché la sentenza impugnata, al di là dell ‘ affermazione che recita testualmente « Si deve valorizzare la circostanza che i prelievi ed i versamenti di cui sopra non trovano giustificazione in alcun documento non solo contabile, ma anche di altro tipo », non contiene alcun ulteriore passaggio argomentativo, in cui sia stata esaminato, in maniera specifica, il motivo d ‘ appello sopra menzionato e la documentazione – peraltro copiosa – prodotta a sostegno degli assunti con esso prospettati, cosicché risulta integrata, al riguardo, l ‘ipotesi della cd. ‘ motivazione apparente ‘, come descritta dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice e idonea a dare luogo ad una violazione del cd. « minimo costituzionale » richiesto dall ‘ art. 111, comma 6, Cost. (cfr., al riguardo, Cass. civ., Sez. 1, ordinanza n. 1986 del 28 gennaio 2025, Rv. 673839-01, secondo cui « La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda tuttavia percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all ‘ interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. »; cfr., altresì, Cass. civ., Sez. 6-5, ordinanza n. 9105 del 7
aprile 2017, Rv. 643793-01, secondo cui « Ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un ‘ approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull ‘ esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. »).
Aggiungasi, in relazione alla dedotta violazione dell ‘ art. 115 c.p.c., come questa Corte abbia, inoltre, affermato che « costituisce ius receptum il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell ‘ art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in materia di processo civile ordinario) e dell ‘ omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l ‘ iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata » (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 26477 dell ‘ 8 settembre 2022, non massimata, in motivazione).
Nella specie, infatti, la motivazione, sebbene esistente sotto il profilo grafico, risulta contraddistinta da argomentazioni che non permettono, in modo alcuno di comprendere le ragioni alla stregua delle quali la CTR ha ritenuto che le operazioni realizzate sui conti correnti bancari riferibili al contribuente non trovassero giustificazione in alcun documento, contabile o d ‘ altro genere, tra quelli prodotti dal contribuente nel giudizio di merito, così giungendo, sulla base di tale generico e apodittico assunto, a non procedere ad alcuna specifica disamina di tale documentazione.
10.- Con il sesto motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell ‘ art. 67 d.P.R. n. 600 del 1973, nonché dell ‘ art. 163 d.P.R. n. 917 del 1986 (cd. TUIR).
Sostiene, al riguardo, che la CTR, attraverso l ‘ affermazione secondo cui « i prelievi ed i versamenti di cui sopra non trovano giustificazione in alcun documento non solo contabile, ma anche di altro tipo », avrebbe affermato la legittimità anche delle operazioni di prelevamento e versamento effettuate tra i tre conti correnti oggetto di verifica (operazione ‘ infra-conto ‘), così palesemente duplicando la valenza reddituale di tali movimentazioni.
11.- La censura, proposta in via subordinata al mancato accoglimento dei precedenti motivi, deve ritenersi assorbita stante l ‘ accoglimento del primo motivo (nei sensi di cui in motivazione) e del quarto e quinto motivo di ricorso.
12.- Con il settimo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 5), l ‘ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.
Sostiene, al riguardo, che la CTR avrebbe omesso di considerare il fatto che i movimenti già indicati e descritti con il sesto motivo rappresentavano dei meri giroconti intervenuti tra i conti correnti oggetto di contestazione.
Chiarisce all ‘ uopo, come tale circostanza risultasse, secondo la prospettazione sviluppata nel ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, decisiva ai fini dell ‘ impossibilità di porre dette movimentazioni a base di un accertamento, in quanto evidentemente esse non presentavano alcuna valenza reddituale.
Evidenzia, infine, come la suddetta circostanza non fosse stata in alcun modo vagliata dal giudice di prime cure, cosicché, sotto il profilo processuale, nessuna limitazione si porrebbe alla possibilità di sollevare, dinanzi a questa Suprema Corte, una censura ex art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c..
In altri termini, secondo il ricorrente sarebbe evidente come, nel caso di specie, sia stato omesso l ‘ esame di un fatto decisivo ai fini del presente giudizio, avendo la CTR affermato che « i prelievi ed i versamenti di cui sopra non trovano giustificazione in alcun documento non solo contabile, ma anche di altro tipo », senza tuttavia premurarsi di verificare se alcuno dei documenti prodotti in giudizio concernesse giroconti, come tali non valorizzabili ai fini accertativi.
13.- Il motivo è inammissibile, atteso che il denunciato vizio di cui all ‘ art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., concerne esclusivamente l ‘ omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo per il giudizio (Cass., Sez. U, sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629831-01).
Questa Corte ha, infatti, chiarito che il fatto storico prospettato, inteso come un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storiconaturalistico, deve essere decisivo, ovvero per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza conduca, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, ad una diversa decisione, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data, vale a dire un fatto che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 21152 dell ‘ 8 ottobre 2014, Rv. 632989-01; Cass. civ., Sez. L, sentenza n. 25608 del 14 novembre 2013, Rv. 628787-01, in motivazione).
Il vizio dedotto, dunque, non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l ‘ attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all ‘ uno o all ‘ altro dei mezzi di prova (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 24035 del 3 ottobre 2018, Rv. 650798-01; Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 21152 dell ‘ 8 ottobre 2014, Rv. 632989-01; Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 11511 del 23 maggio 2014, Rv. 631448-01); né è inquadrabile, nel paradigma normativo di cui all ‘ art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., come riformulato dall ‘ art. 54 del d.l. n. 83 del 2021, convertito con modificazioni dalla l. n. 134 del 2012, la censura concernente l ‘ omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. civ., Sez. 1, ordinanza n. 26305 del 18 ottobre 2018, Rv. 651305-01; Cass. civ., Sez. 2, sentenza n. 14802 del 14 giugno 2017, Rv. 644485-01).
14.- Con l ‘ ottavo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 41bis d.P.R. n. 600 del 1973.
Sostiene, al riguardo, che la CTR, nel confermare la legittimità dell ‘ accertamento parziale effettuato dall ‘ amministrazione finanziaria, avrebbe falsamente applicato l ‘ art. 41-bis d.P.R. n. 600 del 1973 al caso in esame, dal momento che la seconda attività accertativa (intervenuta successivamente ad altro accertamento generale) aveva avuto natura puramente presuntiva, in quanto fondata su indagini bancarie, peraltro, « contraddette » dal materiale probatorio prodotto dal contribuente a sostegno dell ‘ estraneità delle movimentazioni riscontrate rispetto alla propria attività professionale.
Evidenzia, ancora, come l ‘ interpretazione fornita dalla CTR, delegittimerebbe il principio costituzionale di affidamento del contribuente nonché del diritto di difesa, giacché l ‘ amministrazione finanziaria verrebbe autorizzata ad utilizzare senza limiti l ‘ istituto dell ‘ accertamento parziale, reiterando l ‘ attività di accertamento senza sottostare ai vincoli di cui all ‘ art. 43, comma 4, d.P.R. n. 600 del 1973, previsti per gli accertamenti integrativi. Se, infatti, « per iniziare un accertamento integrativo ai sensi dell ‘ art. 43 occorre la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, ovvero di elementi che non risultavano conoscibili dall ‘ Ufficio al momento del primo accertamento, per l ‘ accertamento parziale ciò non sarebbe più necessario. Un accertamento sul medesimo anno di imposta reiterato con lo strumento dell ‘ accertamento parziale sarebbe dunque sempre possibile e non recherebbe, secondo questa estrema interpretazione data all ‘ art. 41bis del D.P.R. n. 600 del 1973, alcun pregiudizio al contribuente, anche in assenza di nuovi elementi (come nel caso di specie essendo gli stessi ben conoscibili già all ‘ epoca della prima verifica a cui fu sottoposto l ‘ Ing. COGNOME). » (cfr., al riguardo, il ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, alla pag. 59).
Pertanto, secondo l ‘ assunto del ricorrente, il riferimento nell ‘ art. 41bis d.P.R. n. 600 del 193 « elementi che consentono di stabilire l ‘ esistenza di un reddito non dichiarato » dovrebbe a limitare l ‘ utilizzo di questi particolari accertamenti soltanto in relazione agli addebiti ‘ certi ‘ che soddisfino i requisiti della prova diretta, cosicché prove di carattere meramente presuntivo non dovrebbero permettere l ‘ emanazione di avvisi di accertamento parziali.
Infine, sempre alla stregua della prospettazione sviluppata nel ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, la delimitazione dell ‘ ambito applicativo degli accertamenti parziali agli elementi ‘ certi ‘ , valevoli a soddisfare i requisiti della prova diretta, consentirebbe di riaffermare il principio in base al quale le forme ‘ speciali ‘ di accertamento risultano applicabili soltanto nei casi espressamente previsti. In altri termini, secondo il contribuente, ove si accettasse la tesi, seguita dalla CTR, che anche accertamenti di tipo presuntivo possono essere effettuati per il tramite di un accertamento parziale, la demarcazione esistente tra accertamenti ordinari e accertamenti speciali perderebbe di significato, poiché questi ultimi andrebbero ad invadere il campo degli accertamenti ordinari.
15.- La censura è infondata, avendo questa Corte osservato che « L ‘ accertamento parziale di cui all ‘ art. 41 bis del D.P.R. n. 600 del 1973 non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del D.P.R. n. 633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole. Tale accertamento differisce da quello ordinario in ragione della disponibilità, in capo all ‘ Amministrazione, di elementi, non necessariamente provenienti da segnalazione di soggetti ad essa estranei, ben potendo derivare anche da fonti interne, idonei a dare contezza della sussistenza, a qualsiasi titolo, di attendibili posizioni debitorie, senza richiedere, in ragione della loro oggettiva consistenza, l ‘ esercizio di un ufficio valutativo ulteriore rispetto a quello che si risolve nel recepire e fare proprio il contenuto della segnalazione, per modo che il confezionamento dell ‘ atto risulta possibile sulla base della sola segnalazione senza necessità di ulteriore approfondimento » (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 12854 del 22 aprile 2022, non massimata; Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 27788 del 4 dicembre 2020, Rv. 659815-01, in motivazione) e che « L ‘ accertamento parziale, che è uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del D.P.R. n. 633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole, per cui può basarsi senza limiti anche sul metodo induttivo e il
relativo avviso può essere emesso pur in presenza di una contabilità tenuta in modo regolare » (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 28681 del 7 novembre 2019, Rv. 655548-01; Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 21984 del 28 ottobre 2015, Rv. 637198-01).
È, infatti, pacifico che l ‘ art. 41bis d.P.R. n. 600 del 1973, nella parte in cui fa salva l ‘ ulteriore azione di accertamento nei termini di decadenza previsti, fa riferimento a pretese dell ‘ Ufficio fondate su fonti diverse da quelle prese a base dall ‘ accertamento parziale o comunque su dati la cui conoscenza, da parte dell ‘ Ente impositore, sia sopravvenuta all ‘ accertamento, tali essendo anche quelli noti ad un ufficio fiscale, ma non ancora in possesso di quello che ha emesso l ‘ atto al momento dell ‘ adozione dello stesso. Ed invero, il procedimento di accertamento tributario è informato dal principio di unicità dell ‘ atto accertamento, già codificato con la legge delega di riforma n. 825 del 1971 e mai successivamente modificato e che, secondo autorevole dottrina, costituisce il naturale corollario della regola secondo la quale l ‘ accertamento ha come oggetto l ‘ atteggiarsi del presupposto di fatto del tributo, di cui l ‘ amministrazione finanziaria dà la sua versione dei fatti, sicché all ‘ unicità del presupposto di imposta e della relativa obbligazione tributaria corrisponde l ‘ unicità dell ‘ atto impositivo volto ad assicurare l ‘ attuazione dell ‘ obbligazione tributaria generata dal presupposto. E, tuttavia, nel tempo, sono state inserite, nelle disposizioni disciplinanti l ‘ accertamento, alcune forme speciali di rettifica, e tra queste gli accertamenti parziali (oltre che quelli integrativi), ma sempre nel rispetto del principio della unicità dell ‘ accertamento.
Specificamente, in relazione all ‘ accertamento parziale, lo stesso, in quanto forma speciale e derogatoria, opera nello specifico perimetro di applicazione attribuito dalla norma di riferimento e cioè dall ‘ art. 41bis del d.P.R. n. 600 del 1973, oltreché dall ‘ art. 54, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1973.
16.- Con il nono motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata, per violazione degli artt. 36, comma 1, n. 4) e 61 d.lgs. n. 546 del 1992, nonché degli artt. 132, comma 2, n. 4) e 118, comma 1, disp. att., c.p.c..
Sostiene, al riguardo, che la sentenza impugnata non risulterebbe idonea a fornire evidenza delle ragioni che hanno condotto la CTR a confermare l ‘ avviso di accertamento, anche con riferimento al recupero a tassazione ai fini IRAP.
E ciò, in quanto la CTR ha ritenuto che l ‘ esistenza del presupposto impositivo IRAP si dovesse desumere dalla dichiarazione fatta dallo stesso contribuente, che avrebbe affermato « di aver sostenuto spese rilevanti per i suoi collaboratori, così lasciando intendere di avere svolto la sua attività liberoprofessionale in modo ‘organizzato’. » (cfr., all ‘ uopo, la sentenza impugnata, alla pagina contrassegnata dal numero romano ‘ XI ‘).
Tuttavia – evidenzia il ricorrente – non si comprende a quale affermazione avrebbe inteso fare riferimento la CTR, dal momento che il contribuente, sin dal primo grado del giudizio di merito, ha costantemente insistito per l ‘ assenza del presupposto impositivo per l ‘ applicazione dell ‘ IRAP proprio alla luce dello svolgimento della sua modestissima attività professionale senza l ‘ utilizzo di beni strumentali e di forza lavoro eccedenti il minimo indispensabile.
17.- La censura è infondata.
Come già detto la motivazione è solo apparente e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all ‘ interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 21302 del 5 luglio 2022, non massimata; Cass. civ., Sez. 6-1, ordinanza n. 6758 del 1° marzo 2022, Rv. 664061-01).
Orbene, la CTR, sul punto, ha affermato che la circostanza secondo cui il contribuente aveva ammesso di aver sostenuto spese rilevanti per i suoi collaboratori, oltre ad essere stata espressamente dedotta dall’amministrazione finanziaria appellata, non aveva formato oggetto di specifica contestazione ad opera del contribuente medesimo.
Si tratta di una motivazione esistente e sufficiente ad evidenziare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale e funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione.
18.- Con il decimo (e ultimo) motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 d.lgs. n. 446 del 1997, nonché dell ‘ art. 2697 c.c..
Sostiene, al riguardo, che il contribuente non avrebbe mai affermato di aver sostenuto costi per dipendenti o collaboratori, così come avrebbe inteso la CTR e che ciò non era stato dimostrato neanche dall ‘ Agenzia delle Entrate, atteso che quest ‘ ultima, con l ‘ avviso di accertamento impugnato, si era limitata a determinare il valore della produzione netta ai fini del calcolo dell ‘ IRAP senza affermare alcunché in ordine agli elementi che avrebbero fatto ritenere dimostrata la debenza del tributo.
Evidenzia, inoltre, come, a fronte delle contestazioni mosse avverso l ‘ avviso di accertamento in punto di applicazione dell ‘ IRAP, l ‘ Agenzia delle Entrate si sarebbe limitata ad osservare che il contribuente non aveva presentato la dichiarazione, né aveva provveduto a tenere ed esibire le scritture contabili.
Anche nell ‘ avviso di accertamento impugnato col ricorso di primo grado, l ‘ amministrazione finanziaria si era limitata ad accertare il valore della produzione, senza nulla chiarire in ordine al presupposto impositivo rappresentato dall ‘ esistenza di un ‘ autonoma organizzazione valevole all ‘ esercizio dell ‘ attività professionale del contribuente (cfr., all ‘ uopo, il ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, alla pag. 63, laddove viene riportata, in nota, la pag. 4 dell ‘ avviso di accertamento).
In tal senso, dunque, la sentenza impugnata si porrebbe in aperto contrasto con l ‘ interpretazione degli artt. 2 e 3 d.lgs. n. 446 del 1997 fornita dalla giurisprudenza di legittimità, giacché l ‘ amministrazione finanziaria, prima e la CTR, poi, avrebbero ritenuto assoggettabile ad IRAP l ‘ attività professionale svolta dall ‘ odierno ricorrente solo in quanto potenzialmente produttiva senza considerare che l ‘ assoggettamento riguarda le sole attività munite del requisito dell ‘ autonoma organizzazione.
Infine, secondo la prospettazione sviluppata nel ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, risulterebbe essere stato violato altresì l ‘ art. 2697 c.c. in tema di onere della prova, in quanto la CTR avrebbe
ritenuto che nel caso di specie ricorresse il presupposto applicativo dell ‘ IRAP sebbene l ‘ amministrazione finanziaria non avesse dimostrato alcunché al riguardo e il contribuente avesse, invece, sin dal primo grado, eccepito l ‘ assenza di qualsivoglia autonoma organizzazione.
19.- La censura è fondata.
In tema di IRAP, l ‘ esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diversa dall ‘ impresa commerciale costituisce, secondo l ‘ interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, presupposto dell ‘ imposta soltanto qualora si tratti di attività autonomamente organizzata. Il requisito dell ‘ autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente che eserciti attività di lavoro autonomo: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell ‘ organizzazione e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l ” id quod plerumque accidit ‘ , costituiscono nell ‘ attualità il minimo indispensabile per l ‘ esercizio dell ‘ attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (Cass. civ., Sez. T, ordinanza n. 492 del l’8 gennaio 2024, non massimata; Cass. civ., Sez. T, ordinanza n. 9774 del 12 aprile 2023, non massimata; Cass. civ., Sez. U, sentenza n. 9451 del 10 maggio 2016, Rv. 639529-01).
Aggiungasi che – come chiarito dalla giurisprudenza sopra citata – in generale, non è sufficiente che il lavoratore si avvalga di una struttura organizzata, ma è altresì necessario che tale struttura sia ‘ autonoma ‘ e, cioè, faccia capo al lavoratore stesso, non solo ai fini operativi, bensì anche sotto il profilo organizzativo.
Orbene, nel caso di specie, la CTR non ha svolto alcun accertamento in merito, essendosi limitata ad affermare che la circostanza – dedotta dall’amministrazione finanziaria – secondo cui il contribuente aveva ammesso di aver sostenuto spese rilevanti per i suoi collaboratori, permetteva di giungere alla conclusione che quest’ultimo aveva svolto la propria attività professionale « in modo ‘ organizzato ‘ ».
Così facendo, dunque, i giudici d’appello hanno completamente obliterato l’obbligo di procedere all’accertamento circa la presenza, in favore dell’attività professionale esercitata dal contribuente, di una struttura munita del requisito dell’autonomia ai fini sia operativi che organizzativi, nel senso, già sopra chiarito, della sua riferibilità al contribuente medesimo.
20.- In conclusione, vanno accolti il primo motivo, nei sensi di cui in motivazione della presente ordinanza (e, dunque, limitatamente ai prelevamenti dai conti correnti bancari), il quarto, il quinto e il decimo motivo, con assorbimento del sesto motivo; va dichiarato inammissibile il settimo motivo e vanno rigettati il secondo, terzo, ottavo e nono motivo; la sentenza impugnata va cassata, in relazione ai motivi accolti, e la causa va rinviata alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado delle Marche, in diversa composizione, la quale procederà a un nuovo esame della controversia uniformandosi ai principi di diritto sopra richiamati, provvedendo, altresì, a statuire sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione, il quarto, il quinto e il decimo motivo, con assorbimento del sesto motivo; dichiara inammissibile il settimo motivo e rigetta il secondo, terzo, ottavo e nono motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado delle Marche, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria,