Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19739 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19739 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3972/2017 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME e COGNOME NOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE -ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende -controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della SICILIA n. 2374/2016 depositata il 20/06/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/05/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
In punto di fatto, nell’estrema sintesi della sentenza epigrafata, soccorre la ricostruzione di cui al ricorso (sovrapponibile a quella del controricorso) come segue:
La società “RAGIONE_SOCIALE” (di seguito “RAGIONE_SOCIALE“), già esercente l’attività di noleggio di imbarcazioni, nel corso del 2006 presentava le dichiarazioni d’imposta relative all’anno 2005 .
In data 11.4.2008 la Guardia di Finanza -Comando Nucleo di Polizia Tributaria di Palermo avviava una verifica fiscale nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE“, che si concludeva in data 4.6.2009 con la redazione di un apposito processo verbale di constatazione, recante rilievi in materia di imposte sui redditi, IRAP ed IVA per gli anni dal 2002 al 2008.
Nelle date del 3.12.2010, del 9.12.2010 e del 13.12.2010 la Direzione Provinciale di Palermo dell’Agenzia delle Entrate notificava alla “RAGIONE_SOCIALE” ed ai relativi soci, Sigg. NOME COGNOME e NOME COGNOME l’avviso di accertamento ai fini delle imposte sui redditi, dell’IRAP e dell’IVA per l’anno 2005, con contestuale provvedimento di irrogazione delle sanzioni, recante il n. TY302B202703/2010 .
Con il suddetto atto impositivo accertava il reddito d’impresa di € 1.193.044,00 e, con riguardo all’IRAP, il valore della produzione netta di € 1.193.862,00, liquidava la relativa maggiore imposta in € 47.461,00.
Relativamente all’IVA, l’Agenzia delle Entrate elevava il volume d’affari da € 133.855,00 ad € 1.132.993,00 e la relativa imposta da € 26.771,00 ad € 226.599,00 e riduceva l’ammontare degli acquisti da € 238.003,00 ad € 70.182,00 e la relativa imposta da € 36.965,00 ad € 3.401,00. Sulla base di tali rettifiche determinava un debito di € 219.299,00, a fronte del credito dichiarato di € 14.093,00, liquidando una maggiore IV A di € 233.392,00.
Il suddetto avviso recava infine un contestuale provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria di € 350.088,00 per presunte violazioni inerenti agli obblighi di dichiarazione e di regolarizzazione degli acquisti, nonché per “omessa, infedele, tardiva registrazione di fatture emesse”.
In data 22.12.2010 l’Ufficio notificava al Sig. NOME COGNOME l’avviso di accertamento delle imposte sui redditi per il 2005, con contestuale atto di irrogazione delle sanzioni, recante il n. TY301Cl03409/2010.
Con il suddetto atto impositivo, fondato su quello emesso nei confronti della “CRAGIONE_SOCIALE.”, l’Ufficio accertava un reddito di partecipazione di € 596.522,00 ed un reddito imponibile di € 596.522,00 e liquidava una maggiore IRPEF di € 245.589,00, oltre maggiori addizionali, regionale e comunale, rispettivamente di € 5.369,00 e di € 1.167,00. L’Ufficio inoltre irrogava la sanzione di € 252.008,00 per presunte violazioni inerenti agli obblighi di dichiarazione.
In data 27.12.2010 l’Ufficio notificava al Sig. NOME COGNOME altro avviso di accertamento delle imposte sui redditi per il 2005, con contestuale atto di irrogazione delle sanzioni, recante il n. TY301Cl03410/2010.
Con il suddetto atto impositivo, anch’esso fondato su quello emesso nei confronti della società, veniva accertato un reddito di
partecipazione di € 596.522,00 ed un reddito imponibile di € 596.894,00, con una conseguente maggiore IRPEF di € 247.602,00, oltre maggiori addizionali, regionale e comunale, rispettivamente di € 5.328,00 e di € 1.184,00. L’Ufficio irrogava la sanzione di € 254.114,00 per violazioni inerenti agli obblighi di dichiarazione.
La società ed i soci impugnavano l’avviso sociale e, i secondi, altresì quelli personali loro rispettivamente notificati.
In riferimento agli esiti delle impugnazioni, il ricorso riferisce:
In data 5.12.2012 la Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, Sez. XII, pronunciava la sentenza n. 15/12113 , depositata in data 9.1.2013, con la quale accoglieva parzialmente il ricorso proposto dalla “RAGIONE_SOCIALE” e dai relativi soci avverso l’avviso di accertamento n. TY302B202703/2010 , compensando le spese di giudizio. I giudici di prime cure, in particolare, concludevano nel senso che “il reddito imponibile ai fini IRPEF, IRAP ed IVA va determinato sulle operazioni bancarie (€ 1.166.958,00) al netto di presunti costi in ragione del 60%” e che “su tale importo” sono “dovute le rispettive imposte oltre sanzioni ed interessi”.
Nella stessa data del 5.12.2012 la Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, Sez. XII, emetteva altresì le sentenze n. 13/12/13 e n. 14/12/13 , anch’esse depositate in data 9.1.2013, con le quali accoglieva in parte i ricorsi presentati rispettivamente dai Sigg. NOME COGNOME e NOME COGNOME in termini coerenti con la pronuncia di cui si è detto sub 8).
Proponevano appello sia i contribuenti che l’Agenzia delle entrate.
Al riguardo, il ricorso riferisce:
In data 5.11.2013 l’Ufficio depositava tre apposite controdeduzioni per contrastare gli appelli principali proposti dalla “RAGIONE_SOCIALE” e dai relativi soci .
In seno alle suddette controdeduzioni l’Ufficio rilevava di avere impugnato anch’esso le sentenze di primo grado sopra citate (n. 13/12/13, n. 14/12/13 e n. 15/12/13) e richiedeva, fra l’altro, la riunione degli appelli distintamente proposti dalle parti contrapposte avverso le stesse.
In data 9.1.2017, in occasione della trattazione in pubblica udienza dei tre distinti appelli proposti dalla “C.Y.C.” e dai Sigg. NOME COGNOME e NOME COGNOME , dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Palermo, Sez. XII, la difesa dei suddetti contribuenti veniva informata dal relatore della circostanza che anche l’Agenzia delle Entrate aveva impugnato le medesime sentenze di primo grado (n. 13/12/13, n. 14/12/13 e n. 15/12/13) con tre distinti atti di appello che la Commissione Tributaria Regionale, Sez. XXX, aveva riunito ed accolto con una sentenza già emessa (di cui tale relatore risultava essere l’estensore) e depositata diversi mesi prima.
Si palesava così incidentalmente la presenza di più impugnazioni delle medesime sentenze di primo grado (di cui i contribuenti non avevano contezza, a causa dei vizi di notifica degli appelli dell’Ufficio di cui si dirà appressi) e la mancata riunione (pur necessaria, ai sensi dell’art. 335 c.p.c.) dei giudizi introdotti avverso le stesse pronunce con distinti atti di appello proposti dai contribuenti e dalla Direzione Provinciale di Palermo dell’Agenzia delle Entrate.
Il giorno dopo, in data 10.1.2017, la difesa degli odierni ricorrenti si attivava ed otteneva il rilascio di una copia della sentenza della cui esistenza era stata informata nella pubblica udienza .
Si tratta della sentenza che si impugna con il presente ricorso, emessa in data 9.5.2016 dalla Commissione Tributaria Regionale di Palermo, Sez. XXX, e depositata in data 20.6.2016, con riguardo ai tre distinti atti di appello (R.G.A. n. 5677113, n. 5678113 e n. 5679/13) che l’Ufficio ha presentato avverso le sentenze di primo grado sopra indicate, rispettivamente n. 13/12/13, n. 14/12/13 e n. 15/12/13.
Il Giudice di secondo grado, previa riunione, ha accolto i tre appelli dell’Ufficio avverso le sentenze con le quali la Commissione Tributaria Provinciale di Palermo aveva riconosciuto la deducibilità di maggiori costi sostenuti dalla “C.Y.C.”, induttivamente determinati nella misura del 60% dei maggiori ricavi accertati.
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In data 19.1.2017 la difesa ritirava presso la segreteria della Sezione XII della Commissione Tributaria Regionale di Palermo copia delle tre controdeduzioni .
Nella medesima data del 19.1.2017 la difesa consultava il fascicolo relativo ai tre appelli riuniti ed accolti con la sentenza che si impugna con il presente ricorso.
Dalla suddetta consultazione emergeva:
che i tre atti di appello proposti dalla Direzione Provinciale di Palermo dell’Agenzia delle Entrate risultavano notificati mediante consegna al portiere dello stabile in cui è sito lo studio del difensore domiciliatario, in data 8.7.2013, alle ore 11.30, e che tuttavia detto Ufficio non aveva depositato in occasione della costituzione in giudizio, né successivamente, una copia dell’avviso recante l’informativa dell’avvenuta consegna ad un consegnatario diverso da destinatario, da spedire “a mezzo lettera raccomandata”;
che la Commissione Tributaria Provinciale di Palermo aveva trasmesso alla Commissione Tributaria Regionale di Palermo i fascicoli relativi al giudizio di primo grado in data 26.7.2013, prot. n. 1957 ;
che nel fascicolo del giudizio di appello risultavano altresì contenute le copie degli atti di appello proposti dagli odierni ricorrenti avverso le tre sentenze di primo grado sopra citate, con le rispettive ricevute di deposito degli stessi appelli presso la Commissione Tributaria Provinciale di Palermo.
La CTR della Sicilia, con la sentenza epigrafata, così decideva:
La Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, decidendo sugli appelli riuniti n. 5677/13, n. 5678/13, e n. 5679/13, in riforma delle appellate sentenze, rigetta gli originari ricorsi dei contribuenti, motivando come in appresso:
1.1. In seguito ad accertamenti bancari e avvalendosi della presunzione di ricavo derivante da versamenti prelevamenti bancari di cui all’art. 32 del D.P.R. 1973, n. 600, l’amministrazione finanziaria procedeva all’accertamento, per l’anno 2005, nei confronti della società indicata in epigrafe, di maggior reddito di impresa ai fini I.R.P.E.F., di maggior valore della produzione e di operazioni rilevanti ai fini I.V.A. non dichiarate, con contestuale erogazione di sanzioni.
1.2. Per l’effetto procedeva anche ad accertamento di maggior reddito di partecipazione e all’irrogazione di sanzioni nei confronti dei due soci .
1.3. Su impugnazione degli avvisi di accertamento e dei provvedimenti sanzionatori da parte della società e dei soci la commissione tributaria provinciale decideva con separate sentenze
con le quali, accogliendo parzialmente i ricorsi, rideterminava la pretesa tributaria e il credito per sanzioni sulla base di un riconoscimento forfettario di costi in ragione del 60% sull’ammontare dei maggiori ricavi risultanti per presunzione dai versamenti e prelevamenti bancari.
1.4. L’amministrazione ha appellato le sentenze deducendo che l’onere di provare i costi gravava sui contribuenti e non era stato assolto; le parti appellate non si sono costituite.
2.1. Le impugnazioni, di cui è stata disposta la riunione, sono fondate.
2.2. In tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, l’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili; posto che, in materia, sussiste inversione dell’onere della prova, alla presunzione di legge (relativa) va contrapposta una prova, non un’altra presunzione semplice ovvero una mera affermazione di carattere generale, né è possibile ricorrere all’equità (Cass. 2007, n. 25365).
Propongono ricorso per cassazione i contribuenti con tre motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Primo motivo: ‘Nullità della sentenza e del relativo procedimento a causa dell’inammissibilità degli appelli dell’Ufficio per nullità della relativa notifica e violazione dell’art. 139, comma 4, del codice di procedura civile e degli artt. 16, comma 2, 20, comma 1, e 53, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 (art. 360, n. 4, c.p.c.)’.
1.1. ‘La sentenza che si impugna è nulla atteso che il Giudice di secondo grado si è pronunciato sui tre appelli proposti dalla Direzione Provinciale di Palermo dell’Agenzia delle Entrate avverso le sentenze n. 13/12/13, n. 14/12/13 e n. 15/12/13, tutte emesse in data 5.12.2012 dalla Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, Sez. XII, e depositate in data 9.1.2013, e non ha rilevato la nullità della relativa notifica per violazione dell’art. 139, comma 4, c.p.c.’. ”art. 139, comma 4, c.p.c. stabilisce che, se ‘la copia è consegnata al portiere dello stabile’, quest’ultimo ‘deve sottoscrivere una ricevuta e l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto, a mezzo di lettera raccomandata’. Nella fattispecie in esame, come può desumersi dall’esame del fascicolo del giudizio conclusosi con l’emissione della sentenza che si impugna, la Direzione Provinciale di Palermo dell’Agenzia delle Entrate non ha prodotto alcuna prova documentale che dimostri l’adempimento di tale obbligo, da parte del messo speciale che ha curato la notifica dei tre appelli proposti avverso le citate sentenze di primo grado’.
1.2. Il motivo è infondato.
1.2.1. La notifica è pacificamente avvenuta al portiere.
Insegna Cass. n. 2377 del 2022 che ‘la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente, eseguita dai messi comunali ovvero dai messi speciali autorizzati dall’ufficio, ai sensi dell’art. 60, comma 1, lett. a), del d.P.R. n. 600 del 1973, mediante consegna al portiere, deve essere seguita dalla spedizione della raccomandata informativa ‘semplice’, e non con avviso di ricevimento, atteso che la lett. b -bis) dello stesso comma 1 fa riferimento alla sola raccomandata, senza ulteriori specificazioni, trovando giustificazione tale procedura semplificata nella ragionevole aspettativa che l’atto notificato venga effettivamente conosciuto dal destinatario, in quanto consegnato a
persone (familiari, addetti alla casa, personale di servizio, portiere, dipendente, addetto alla ricezione) che hanno con lo stesso un rapporto riconosciuto dal legislatore come astrattamente idoneo a tale fine’.
1.2.2. Nelle relate di notifica (allegate al ricorso con il n. 14), il messo dell’Agenzia delle entrate che ha curato la notifica dà espressamente atto della spedizione delle ‘lettere raccomandate’, in ciascuna relata indicate con numero, ufficio postale e data: ‘ dandone notizia al destinatario/domiciliatario a mezzo lettera raccomandata n. dell’ufficio postale di ‘.
Ne consegue che non coglie nel segno l’affermazione, contenuta nel motivo, secondo cui ‘la Direzione Provinciale di Palermo dell’Agenzia delle Entrate non ha prodotto alcuna prova documentale che dimostri l’adempimento di tale obbligo’.
1.2.3. Al contrario, le relate compilate dal messo dell’Agenzia delle entrate, promanando da pubblico ufficiale, in difetto di querela di falso (che i contribuenti non allegano, e non dimostrano, di aver proposto), fanno piena prova dell’attività del medesimo compiuta, anche con riguardo alla spedizione delle raccomandate informative. Pertanto, dato per acquisito (anche alla luce dell’insegnamento di Cass., Sez. U, n. 18992 del 2017) il fatto in sé della spedizione delle raccomandate informative da parte del messo, e rilevato (giusta quanto rammentano le Sezioni unite in motivazione) che ‘rimane ovviamente fermo che, nell’ipotesi del terzo comma dell’art. 139 cod. proc. civ., il tempo di perfezionamento della notifica si identifica con la consegna ad una persona comunque inserita nella richiamata sfera di conoscibilità del destinatario, ma stavolta latamente intesa ‘, l’espressa indicazione, nelle relate, degli elementi identificativi delle
raccomandate ben consente al destinatario (salva non fornita prova contraria) di verificare l’esito della relativa spedizione.
Secondo motivo: ‘Nullità della sentenza e del relativo procedimento per violazione dell’art. 111 della Costituzione e dell’art. 335 del codice di procedura civile (art. 360, n. 4, c.p.c.)’.
2.1. ‘a Commissione Tributaria Regionale di Palermo era a conoscenza della presenza di più impugnazioni avverso le medesime sentenze’. ‘Nonostante quanto sopra rilevato, la Commissione Tributaria Regionale di Palermo ha emesso la sentenza che si impugna con riguardo ai soli atti di appello proposti dall’Ufficio avverso le citate sentenze n. 13/12/13, n. 14/12/13 e n. 15/12/13 rese dalla Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, Sez. XII, ed ha omesso di riunire i relativi procedimenti con quelli inerenti agli atti di appello proposti dai contribuenti avverso le medesime decisioni di primo grado. Tale sentenza, pertanto, viola apertamente il sopra citato art. 335 c.p.c. ‘.
2.2. Il motivo è inammissibile.
Per un verso, la decisione di procedere o meno alla riunione integra un provvedimento meramente ordinatorio (cfr., per quanto di ragione, Cass. n. 23530 del 2017).
Per altro verso, ‘la decisione di una delle impugnazioni non precedentemente riunite non determina l’improcedibilità delle altre, sempre che non si venga a formare il giudicato sulle questioni investite da queste ultime, dovendosi attribuire prevalenza -in difetto di previsioni sanzionatorie da parte dell’art. 335 c.p.c. -alle esigenze di tutela del soggetto che ha proposto l’impugnazione rispetto a quelle della economia processuale e della teorica armonia dei giudicati’ (Cass. n. 20514 del 2016).
Terzo motivo: ‘Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e precisamente degli artt. 51, 54 e 55 del D.P.R. n.
633/1972, degli artt. 23, 32 e 39 del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 114 c.p.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.)’.
3.1. ‘La Commissione Tributaria Regionale di Palermo ha riformato la sentenza di primo grado nella parte (impugnata dall’Agenzia delle Entrate) in cui la Commissione Tributaria Provinciale aveva deciso che, a fronte dei presunti maggiori ricavi accertati dall’Ufficio sulla base delle indagini finanziarie , in considerazione delle condizioni e delle caratteristiche dell’attività d’impresa esercitata dalla società odierna ricorrente è da presumere che sussistessero altresì maggiori costi da determinare presuntivamente nella misura del 60% (dei presunti ricavi). Il Giudice di appello, con la pronuncia che si censura, nega la legittimità di tale accertamento giudiziale dei maggiori costi, operata sulla base di una presunzione In realtà tale pronuncia si fonda su un’erronea interpretazione del regime della prova ‘.
3.2. Il motivo è fondato.
Si applica il principio per cui, ‘in tema di accertamento dei redditi con il metodo analitico -induttivo, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 10 del 2023, che ha operato un’interpretazione adeguatrice dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. del 1973, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale forfettaria di costi di produzione, che vanno quindi detratti dall’ammontare dei maggiori ricavi presunti’ (Cass. n. 18653 del 2023).
In sintesi, anche alla stregua dell’interpretazione adeguatrice fornita dal giudice delle leggi, si rivela errata la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che non è possibile riconoscere, in mancanza di idonea documentazione, una incidenza percentuale di costi presunti a fronte di maggiori ricavi.
Il motivo in disamina va dunque accolto e per l’effetto la sentenza impugnata deve essere ‘in parte qua’ annullata con rinvio.
In sede di rinvio, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado dovrà quindi rideterminare il reddito imponibile della società e di conseguenza dei soci, riconoscendo una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi in relazione ai ricavi accertati, previa disposizione -se del caso -di consulenza tecnica d’ufficio (in tal senso, Cass. n. 5586 del 2023, con riguardo ad analoga fattispecie).
All’esito, avrà detta Corte ad altresì definitivamente regolare tra le parti le spese di lite, comprese quelle del presente giudizio.
P.Q.M.
In accoglimento del terzo motivo di ricorso, rigettati i primi due, cassa la sentenza impugnata in relazione al profilo accolto, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 16 maggio 2025.