Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32118 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32118 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 752/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE, elettivamente
domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE PROVINCIALE AVELLINO -intimato- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA sez. dist. SALERNO n. 4973/2022 depositata il 27/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/10/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione Tributaria Regionale per la Campania, sez. dist. Salerno ( hinc: CTR), con sentenza n. 4973/2022 depositata in data 27/06/2022, ha rigettato l’appello principale proposto da RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza n. 213/2020 con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Avellino, in data 02/03/2020, aveva accolto solo parzialmente il ricorso presentato dal contribuente contro l’avviso di accertamento n. TFK030300787/2019 per IVA, IRES, IRAP relativo all’anno 2014 (con riferimento al solo riconoscimento dei costi sul maggior reddito accertato, nella stessa misura percentuale già indicata nella dichiarazione dei redditi per il medesimo anno). La CTR ha, poi, accolto l’appello incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate.
La CTR ha ritenuto infondato l’appello principale in relazione ai seguenti motivi:
-l’avviso di accertamento è privo di carenze motivazionali: nella specie l’ente impositore ha dato atto sia di aver esaminato il pvc redatto il 06/03/2019 dalla Guardia di Finanza di Baiano, sia
dell’integrale recezione dei rilievi espressi in tale verbale, di cui era stata consegnata e notificata una copia al contribuente, consentendone, al contempo, il rilascio di una copia nel caso di necessità. Il contribuente non solo deve provare che gli atti cui fa riferimento e ai quali rinvia il provvedimento impositivo sono sconosciuti, ma anche che almeno una parte del loro contenuto sia necessaria a integrare, direttamente o indirettamente, la motivazione. Tuttavia, la prova contraria del contribuente è stata ritenuta del tutto carente nell’illustrazione dei motivi d’appel lo. Non solo non è necessario allegare all’avviso di accertamento il pvc (di cui possono essere citate le parti più rilevanti o sintetizzati i risultati), a fronte della consegna del documento ispettivo al legale rappresentante dell’ente , ma non è necessario neppure allegare tutti gli atti cui faccia riferimento l’atto impositivo, dovendo essere il contribuente a dimostrare di non esserne venuto a conoscenza. Il controllo contabile eseguito al momento della redazione del pvc presuppone l’acquisizione d ei documenti sottoposti a verifica (come la riconciliazione delle fatture attive e passive) e lo stesso legale rappresentante, con note allegate al pvc, si riservava di produrre ulteriori documenti. Nei due processi verbali redatti in contraddittorio si faceva, poi, riferimento a un’istanza di adesione che veniva, successivamente, respinta per mancanza di documenti;
-nell’avviso di accertamento non vi è una mera ed acritica riproduzione delle risultanze del pvc, ma si affrontano le tematiche del socio di fatto che avrebbe partecipato in maniera attiva alla gestione dei proventi della società e della segnalazione di operazioni finanziarie sospette, come la vendita di beni in nome e per conto della società da parte del sig. COGNOME NOME e il raffronto incoerente tra le movimentazioni bancarie sul suo conto e gli esigui redditi percepiti;
-è infondato il motivo di appello sulle ‘presunzioni a catena’: non vi è una doppia presunzione nell’attribuzione pro quota ai singoli soci dei risultati dei maggiori ricavi di impresa. Il divieto di cd. praesumptio de praesumpto attiene esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con un’altra presunzione semplice, ma non con un’altra presunzione legale. Di conseguenza, non ricorre quando l’ufficio finanziario procede all’accertamento fiscale sulla base di proventi desumibili dalle indagini sui conti correnti bancari compiute dalla Guardia di Finanza. Non costituisce, quindi, una presunzione (inammissibile) di secondo grado l’aver dedotto che i maggiori ricavi induttivamente determinati, fossero stati suddivisi tra i soci a partecipazione qualificata o meno in proporzione della rispettiva quota societaria;
-l’asserita regolarità della contabilità tenuta non impedisce l’attività accertativa dell’ente impositore. Nella specie è stata accertata la grave discrasia tra i redditi percepiti e dichiarati dai soci e l’entità delle movimentazioni bancarie.
La CTR ha poi esaminato l’appello incidentale dell’Agenzia delle Entrate, ritenendo che la sentenza impugnata non avesse applicato, correttamente, i principi indicati dalla Corte di cassazione: la deduzione forfettaria dei costi di produzione susseguente all’accertamento di maggiori ricavi risponde all’applicazione del principio contributivo di cui all’art. 53 Cost nei casi di accertamento induttivo puro ex art. 39, secondo comma, d.P.R. 29/09/1973 n. 600 oppure ai casi di ricostruzione reddituale a fronte di omessa dichiarazione dei redditi ex art. 41 d.P.R. n. 600 del 1973, ma non anche nei casi di accertamento analitico o analitico/presuntivo di cui all’art. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, a seguito di indagini bancarie (ai ricavi dichiarati con costi già contemplati si
aggiungono nuovi ricavi con onere di prova contraria a carico del contribuente).
Contro la sentenza della CTR RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso in cassazione con cinque motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la parte ricorrente ha contestato, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. la violazione degli artt. 36 d.lgs. 31/12/1992, n. 546 e 132 cod. proc. civ. (richiamato attraverso l’art. 1 d.lgs. n. 546 del 1992) e dell’art. 111 Cost.
1.1. In particolare, la CTR, pur avendo riscontrato come la contestazione del contribuente non riguardasse la mancata allegazione del pvc all’atto impositivo, ma piuttosto dei documenti allegati allo stesso pvc, aveva, poi, deciso che: « il contribuente deve quindi provare non solo che tutti gli atti ai quali fa riferimento l’atto impositivo o quelli cui esso rinvia sono a lui sconosciuti, ma anche che almeno una parte del contenuto di essi sia necessaria ad integrare direttamente o indirettamente la motivazione del suddetto atto impositivo, e che quest’ultimo non lo riporta, per cui non è comunque venuto a conoscenza. La prova contraria è del tutto carente nella illustrazione dei motivi di appello: non solo non è necessario allegare all’avviso di accertamento l’integrale testo del pvc, potendosene contemplare le parti più rilevanti o la sola sintesi dei risultati cui l’indagine della GdF era pervenuta, a fronte di una consegna del documento ispettivo al legale rappresentante dell’ente, ma neppure è necessario allegare tutti gli atti a cui l’atto impositivo
faccia riferimento, dovendo dimostrare invece il contribuente di non esserne venuto a conoscenza…..
E’ evidente la pretestuosità del primo motivo di appello, non essendo necessaria l’analisi della documentazione menzionata nel p.v.c. né l’allegazione ad esso dei documenti noti all’Ufficio ed al contribuente men che meno potendo dolersi la parte della mancata allegazione di documenti che essa stessa non aveva a suo tempo, offerto all’ufficio in sede di contraddittorio.»
Ad avviso della ricorrente si tratta di una sequenza di affermazioni caratterizzate da contraddizioni e che non possono costituire la motivazione di una decisione.
1.2. La ricorrente ha poi richiamato (pag. 24 del ricorso) le considerazioni svolte in relazione alla cd. catena di presunzioni, rilevando che la prima presunzione -che riconduce i ricavi ai prelievi e ai versamenti riscontrati sui conti correnti bancari -è u lteriormente appesantita dalla ‘presa in carico’ da parte dell’Agenzia delle Entrate di un soggetto terzo (sig. COGNOME NOME, dipendente della società), non sottoposto a indagini. Rileva, quindi, che: « L’Agenzia delle Entrate con tale coinvolgimento anche se nell’anno 2014 ha recuperato ricavi a nero per € 859.185,69 (solo ex conti COGNOME NOME) ha ‘ampliato’ la catena delle presunzioni indebolendo ulteriormente, da questo punto di vista, il già debole impianto dell’avviso di accertamento in questa sede impugnato. »
1.3. Con riferimento all’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate relativo ai costi la parte ricorrente ha evidenziato che in presenza di ricavi in nero devono esserci anche costi in nero. Di conseguenza, in caso di accertamento dell’esistenza di ricavi non dichiarati occorre tenere conto anche dei costi che concorrono a formare il reddito, considerando che nell’interpreta zione giurisprudenziale ormai consolidata i costi sono ammessi in
deduzione anche in caso di violazione degli obblighi di tenuta e conservazione delle scritture contabili, ovvero di loro omessa o irregolare registrazione.
1.4. Le ulteriori considerazioni riguardano la mancanza di riferimenti documentali nel PVC relativi alle indagini eseguite nei confronti dei terzi acquirenti emittenti assegni e bonifici in favore dei soci, così come alle singole operazioni bancarie ed ai pagamenti effettuati a favore dei singoli soci. Non vi è nessuna traccia di bonifici ed assegni in favore dei soci o presunti tali. La CTR ha poi messo sullo stesso piano le movimentazioni bancarie riferibili ai soci e al presunto socio. A tal fine rileva che un conto è sostenere che NOME fosse un soggetto interposto ex art. 37, terzo comma, d.P.R. n.600 del 1973, allorché consentiva l’utilizzo dei suoi conti personali per veicolare ricchezze destinate alla società (i cd. bonifici ed assegni emessi da terzi acquirenti a fronte delle vendite di beni); altro è sostenere che fosse un vero e proprio “socio di fatto”: nel primo caso i suoi redditi sarebbero stati interamente riferibili all’interponente, laddove nella seconda ipotesi egli avrebbe partecipato agli utili e sarebbe stata necessaria anche l’ulteriore prova dell’ affectio societatis ex art.2247 c.c.
Con il secondo motivo è stato contestato, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo. Più precisamente la ricorrente (pag. 30 del ricorso) lamenta l’omesso esame « di una serie di fatti decisivi emergenti dagli atti del processo ed oggetto di discussione tra le parti. Si è già detto che la CTR ha attribuito valenza decisiva alle risultanze della verifica effettuata dalla GdF sui conti dei soci, compreso il ‘socio di fatto’ COGNOME Luigi il quale ‘… avrebbe partecipato in maniera attiva alla gestione dei proventi della società e della segnalazione di operazioni finanziarie sospette … ‘ (vd. pag. 4, rigo 22 e ss.). Anche da tale
laconica affermazione è lecito capire che la GdF, nel corso della verifica, avesse interrogato terze persone, di cui però sono omessi i nomi e gli estremi identificativi, le quali avrebbero dichiarato di avere ‘acquistato beni’ direttamente dai soci della Gruppo COGNOME (compreso, evidentemente, COGNOME NOME) i quali avrebbero, a loro volta, incassato bonifici ed assegni in nome e per conto della società. Sennonché, come già osservato infra, in nessuno degli atti e documenti acquisiti al processo vi è traccia di queste (presunte) indagini riguardanti terze persone; se ne rinviene un accenno fugace solo a metà del foglio 18 del PVC del 6.03.2019… »
La ricorrente evidenzia come tale deficit istruttorio fosse già rilevato nel ricorso introduttivo.
Con il terzo motivo è stata contestata la violazione dell’art. 115 cod. proc. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
3.1. In merito a tale motivo ad avviso della ricorrente (pag. 34 del ricorso): « Poiché la CTR ha fondato la sua decisione di accoglimento dell’appello dell’Ufficio anche sulle risultanze delle indagini che avrebbero riguardato terze persone che tuttavia non risultavano acquisite agli atti del processo (ma solo richiamate in modo generico dalla GdF nel suo PVC), deve ritenersi che sul punto la decisione sia viziata da un ulteriore error in procedendo, costituito dalla violazione della norma processuale sopra indicata (art.115, comma 1, c.p.c.) la quale impone al giudice di porre a fondamento della decisione le sole prove proposte dalle parti (o dal pubblico ministero), nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita. »
Con il quarto motivo è stata contestata la violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., la falsa applicazione dell’art. 32 , primo comma, e la violazione degli artt. 37, terzo comma, e 39 d.P.R. n.600
del 1973 e 51 d.P.R. 26/10/1972, n. 633. Infine, è stata contestata la violazione art. 2247 cod. civ.
4.1. La ricorrente rileva come nel caso di specie, trattandosi di indagini condotte sui conti correnti di soggetti diversi dalla società contribuente non può trovare applicazione la presunzione prevista nell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 , con la conseguenza che, in tali ipotesi, da un lato, le presunzioni possono trovare applicazione solo in base a quanto previsto nell’art. 2729 cod. civ. e, dall’altro lato, il contribuente non ha l’onere di fornire alcuna giustificazione, ricadendo sull’ufficio l’onere di provare la riferibilità alla società delle singole operazioni bancarie.
Ciò premesso la ricorrente afferma che (pag. 37-38 del ricorso): « nel caso delle risultanze dei conti intestati al dipendente COGNOME NOME, l’attribuzione alla società delle operazioni bancarie ivi annotate è il frutto di una presunzione di secondo grado, il cui utilizzo avrebbe richiesto preliminarmente la dimostrazio ne dell’affectio societatis ex art. 2247 c.c. In base a tale disposizione, infatti, gli elementi costitutivi della società di fatto, da accertare giudizialmente sono: a) il conferimento di b eni e servizi; b) l’esercizio in comune di attività economica; c) la divisione degli utili derivanti dall’esercizio di tale attività.
In altre parole, l’Amministrazione per poter presumere che i movimenti bancari riscontrati sui conti di COGNOME NOME fossero riferibili alla società, avrebbe dovuto preliminarmente provare lo status di ‘socio di fatto’ di quest’ultimo, non potendo certam ente darlo per scontato.
Vi è di più: l’assunzione per cui NOME NOME fosse un socio di fatto della Gruppo COGNOME appare altresì incompatibile con la fattispecie dell’interposizione fittizia prevista dall’art.37 comma 3 d.p.r. 600/73, con la conseguenza che, sotto questo profilo, la CTR sembra essere
incorsa anche nel vizio di falsa applicazione di tale norma, allorché ha presunto che i conti bancari del terzo fossero utilizzati per veicolare dei flussi finanziari destinati alla società.
Sta di fatto che la maggior quota dell’imponibile accertato in capo alla società trae origine proprio dal collegamento ipotizzato con i conti bancari del terzo (presunto socio di fatto) COGNOME NOME. Appare evidente, in definitiva, la forzatura logica operata dai Giudici di appello allorché hanno inteso porre sullo stesso piano, in termini di valenza indiziaria (dunque nella prospettiva degli art. 2729 c.c. e 39 dpr n. 600/73, oltre che agli effetti dell’art.37 comma 3), la posizione dei soci e quella del terzo, finendo in pratica per addossare l’onere probatorio ai contribuenti.»
Con il quinto motivo è stata contestata la violazione o falsa applicazione dell’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 53 Cost.
5.1. La ricorrente rileva che, di fatto, nel caso in esame l’accertamento è induttivo puro e contesta come l’accertamento riguardi i redditi e non i ricavi e proventi. Fa presente, inoltre, che se ci sono ricavi in nero devono esserci anche costi in nero. Afferma, quindi, che « qualunque sia il metodo adottato dall’ufficio per la determinazione del reddito, questo è sempre il risultato differenziale dei suoi componenti positivi e negativi ».
La controricorrente ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso.
6.1. Con riferimento al primo motivo ha poi evidenziato che confluiscono, nella sua illustrazione, tematiche tra loro eterogenee (mancata allegazione dei documenti ai quali faceva riferimento il PVC, utilizzo delle presunzioni di secondo grado, accoglimento dell’appello incidentale dell’Ufficio, mancata partecipazione dei soci al contraddittorio procedimentale), che non consentono di estrapolare un filo conduttore unico che renda il motivo specifico e
scrutinabile. La sentenza impugnata consente, inoltre, di individuare l’iter logico -argomentativo, peraltro corretto, seguito dal giudice di secondo grado.
6.2. Ha contestato l’inammissibilità, prima ancora che l’infondatezza , del secondo motivo di ricorso, rilevando che, in base all’art. 360, primo comma, n. 5 , è possibile censurare l’omesso esame di un fatto storico (da intendere quale specifico accadimento in senso storico naturalistico, v. Cass. n. 24035 del 2018) principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (dato testuale) o dagli atti processuali (dato extra-testuale), che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo. Il carattere della decisività va inteso nel senso che l’omesso esame si considera rilevante se l’esame del fatto oggetto di discussione tra le parti avrebbe potuto determinare un esito diverso della causa. Al contrario, il vizio non sussiste quando il fatto storico risulti apprezzato dal giudice di secondo grado, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie connesse alla dimostrazione del fatto medesimo (Cass. n. 27415 del 2018). Nel ricorso in cassazione il ricorrente dovrà dunque indicare: il ‘fatto storico’, il cui esame risulti omesso, il ‘dato’, testuale o extra -testuale, da cui risulti l’esistenza del fatto, il ‘come’ e il ‘quando’ (nel quadro processuale) il fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, infine la ‘decisività’ di esso (Cass. SS.UU. n. 8053 del 2014). Nessuna di tali indicazioni è contenuta nell’illustrazione del secondo motivo di ricorso ad opera della ricorrente. In merito alla mancata produzione degli allegati al pvc la controricorrente ha richiamato la distinzione tra l’obbligo di motivazione degli atti amministrativi e la prova dei fatti fiscalmente rilevanti dedotti dall’Ufficio , rilevando come, sul piano giuridico, si tratti di due aspetti ben distinti che riguardano, da un lato, la sussistenza dei requisiti essenziali dell’atto
amministrativo previsti per legge e, dall’altro lato, la corrispondenza dei fatti contestati alla società con gli elementi di prova emersi in fase istruttoria.
L’ordinamento vigente impone che la motivazione contenga una compiuta esposizione dell’iter logico seguito al fine di spiegare il fondamento della pretesa erariale. La motivazione deve, perciò, fornire al contribuente quegli elementi che consentono al dest inatario di decidere se aderire o impugnare l’atto impositivo. Essa deve necessariamente contenere gli elementi essenziali dell’atto stesso e di quello cui eventualmente rinvia, che sovente rappresenta la fonte di innesco dell’attività accertativa e la pro va dei fatti dedotti, come nel caso del processo verbale di constatazione. Nel caso in esame l’avviso di accertamento contiene tutti gli elementi previsti dall’art. 42 D.P.R. n. 600 del 19 73. D’altro canto, la tempestiva attivazione del procedimento di adesione e la proposizione del ricorso dinanzi alla CTP di Avellino escludono ogni ipotesi di difetto di conoscenza, da parte della società, delle ragioni di fatto e di diritto che hanno legi ttimato l’Ufficio ad emettere l’atto impositivo. Ha poi evidenziato come le parti interessate dagli accertamenti bancari siano state interessate da singole e personali richieste di giustificazione delle movimentazioni bancarie, rimaste senza seguito. Difatti, i soggetti destinatari delle richieste hanno reso a verbale riserva di successiva produzione della documentazione richiesta, senza poi scioglierla in termini di riscontro positivo.
6.3. In merito al terzo motivo di ricorso -incentrato sulla violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. la controricorrente ha evidenziato che in caso di accertamenti bancari la ristretta base partecipativa della società è un elemento sufficiente a presumere, salvo prova contraria, che i soggetti terzi rispetto alla società, quali gli amministratori, i soci o i congiunti di costoro abbiano messo il loro
conti a disposizione del contribuente (società) e ciò in virtù di specifici riferimenti normativi contenuti nell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, pienamente confermati nel tempo da copiosa giurisprudenza (Cass. n. 428 del 2015; Cass. n. 12776 del 2015; Cass. n. 20849 del 2016; Cass. n. 20851 del 2016; Cass. n. 27543 del 2018). La controversia per cui è causa deriva, infatti, dalla rilevazione di movimentazioni bancarie della compagine sociale di una società a ristretta base partecipativa.
6.4. In merito al quarto motivo di ricorso ha sottolineato che la regolarità formale della contabilità non deroga al generale principio di trasparenza e veridicità della stessa e l’attivazione delle indagini bancarie in capo ai singoli soggetti realmente operanti nella società è stata determinata proprio dalla necessità di verificare l’effettiva capacità contributiva della società. Proprio le risultanze bancarie hanno consentito di appurare sia una maggiore capacità contributiva della società che l’evasione d’imposta. Tant o è vero che le contestazioni mosse alla società si fondano, proprio, sulle risultanze delle indagini finanziarie effettuate, ai sensi dell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 51 d.P.R. n. 633 del 1972, nei confronti del sig. NOMECOGNOME nella qualità di rappresentante legale e socio, della sig.ra COGNOME NOMECOGNOME in qualità di socio, e del sig. COGNOME NOMECOGNOME quale dipendente e socio di fatto.
6.5. La controricorrente ha contestato la fondatezza del quinto motivo di ricorso, rilevando che sono stati considerati tutti i costi contabilizzati, mentre l’ammontare dei maggiori ricavi accertati è rappresentato dal totale dei versamenti e dei prelevamenti non giustificati per € 1.086.442,44.
Passando all’esame dei motivi di ricorso, i l primo motivo è, in parte inammissibile, sia perché il ricorrente svolge una serie di considerazioni personali sulla non condivisione dell’impianto
argomentativo della sentenza impugnata (volte a una rivalutazione di merito sottratta al sindacato di legittimità), sia perché assembla una serie di tematiche fra loro eterogenee (mancata allegazione dei documenti richiamati nel PVC, applicazione delle presunzioni a catena ecc…). È altresì infondato nella misura in cui è individuabile l’iter logico seguito dalla CTR n ella motivazione della decisione di rigetto dell’appello principale e di accoglimento di quello incidentale.
7.1. Il secondo e il terzo motivo possono essere esaminati insieme.
Entrambi sono inammissibili, nella parte in cui il ricorrente tende a ottenere una rivalutazione del materiale probatorio, il cui apprezzamento è avulso dal sindacato di legittimità proprio della Corte di cassazione. Non solo: un ulteriore profilo di inammissibilità che riguarda la censura svolta ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. con il secondo motivo attiene alla pretesa di ricondurre il fatto decisivo il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di secondo grado alla mancata produzione delle dichiarazioni (o degli atti relativi a queste ultime) evocate nel processo verbale di constatazione. In merito all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. questa Corte ha recentemente precisato che: « L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato
comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. » (Cass., 20/06/2024, 17005).
In ogni caso, con riferimento al valore probatorio del processo verbale di constatazione occorre richiamare quanto recentemente precisato dalla Corte, secondo la quale: « In tema di accertamento tributario, il processo verbale di constatazione ha un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, assumendo così un triplice livello di attendibilità: a) ha fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che ha conosciuto senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale e quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale o alle dichiarazioni a lui rese; b) fa fede fino a prova contraria quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi ed anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi, che è fornita quando la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consente al giudice ed alle parti il controllo e la valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) è comunque un elemento di prova in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, che il giudice in ogni caso valuta, in concorso con gli altri elementi, e disattende solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, considerata la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore. » (Cass., 05/07/2024, n. 18420).
Nel caso di specie dalla lettura della sentenza impugnata non emerge che, nella valutazione dei contenuti del PVC, la CTR si sia discostata dai principi affermati da questa Corte, sia in relazione all’estratto di
PVC ( riprodotto a pag. 31 del ricorso in cassazione, nell’illustrazione del secondo motivo di ricorso), sia con riferimento a quanto riportato a pag. 32 del ricorso in relazione alle dichiarazioni di terzi (« In altre parole, né la Guardia di Finanza prima, né l’Ufficio poi, si sono dati pena, rispettivamente, di allegare e produrre gli atti delle indagini (asseritamente) condotte nei confronti dei terzi costituiti dalle dichiarazioni rese da questi ultimi, che avrebbero confermato le ipotesi poste a base de lla ricostruzione presuntiva dell’imponibile societario e dalla documentazione cartacea relativa ai titoli richiamati (assegni e bonifici). »).
Come già rilevato, le dichiarazioni di terzi non meglio identificati riportate nel processo verbale di constatazione sono da considerare un elemento di prova liberamente valutabile dal giudice « in concorso con gli altri elementi, e disattende solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio» (Cass., n. 18420 del 2024 cit. ), senza incorrere nella violazione di cui all’art. 115 cod. proc. civ.
7.2. Il quarto motivo ruota attorno all’argomentazione secondo la quale, trattandosi di indagini bancarie eseguite su conti correnti di terzi, non può operare la presunzione prevista nell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, ma è l’amministrazione a dover fornire la prova della riferibilità alla società delle operazioni bancarie eseguite sui conti correnti altrui.
Tale assunto viene declinato, nell’illustrazione del quarto motivo di ricorso, con l’imputazione alla società delle movimentazioni eseguite sul conto corrente del sig. NOME COGNOME. Si legge, infatti, a pag. 37 del ricorso: « è evidente che, nel caso delle risultanze dei conti intestati al dipendente COGNOME NOME, l’attribuzione alla società delle operazioni bancarie ivi annotate è il frutto di una presunzione di secondo grado, il cui utilizzo avrebbe richiesto preliminarmente la
dimostrazione dell’affectio societatis ex art.2247 c.c. …. In altre parole, l’Amministrazione per poter presumere che i movimenti bancari riscontrati sui conti di COGNOME NOME fossero riferibili alla società, avrebbe dovuto preliminarmente provare lo status di ‘socio di fatto’ di quest’ultimo, non potendo certam ente darlo per scontato. Vi è di più: l’assunzione per cui COGNOME NOME fosse un socio di fatto della Gruppo COGNOME appare altresì incompatibile con la fattispecie dell’interposizione fittizia prevista dall’art.37 comma 3 d.p.r. 600/73, con la conseguenza che, sotto questo profilo, la CTR sembra essere incorsa anche nel vizio di falsa applicazione di tale norma, allorché ha presunto che i conti bancari del terzo fossero utilizzati per veicolare dei flussi finanziari destinati alla società. »
La parte ricorrente ha, quindi, incentrato le censure proposte con il quarto motivo di ricorso in ordine alla (ritenuta) riferibilità alla società delle movimentazioni bancarie eseguite sul conto del sig. NOME COGNOME mentre non richiama l’ulteriore que stione relativa alla cd. doppia presunzione affrontata nella sentenza impugnata con riferimento alla suddivisione dei maggiori ricavi tra i soci.
Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
È inammissibile, perché non si confronta con la ratio decidendi della sentenza dove con riferimento alla posizione del sig. NOME COGNOME si legge: « Nell’avviso di accertamento non vi è poi una mera ed acritica riproduzione delle risultanze del p.v.c., ma si affrontano le tematiche del socio di fatto, che avrebbe partecipato in maniera attiva alla gestione dei proventi della società, e della segnalazione di operazioni finanziarie sospette, quali la vendita di beni in nome e per conto della società da parte del sig. COGNOME NOME ed il raffronto incoerente fra le rilevanti movimentazioni bancarie su ciascun conto e gli esigui redditi da lavoro dichiarati. Anche in tal caso non è necessaria l’allegazione dei verbali di escussioni testimoniali, e
soprattutto non v’è prescrizione di nullità del verbale per le lamentate omesse allegazioni.»
Ora, se è vero che nella motivazione si richiama la possibile qualifica di socio di fatto, è altrettanto vero che vengono evocati ulteriori elementi che possono essere posti alla base del ragionamento inferenziale che porta dai fatti noti (partecipazione attiva alla gestione dei proventi della società, operazioni di vendita di beni in nome e per conto della società, confronto incoerente tra le rilevanti movimentazioni bancarie su ciascun conto e gli esigui redditi di lavoro dichiarati) al fatto ignoto da provare (imputabilità sostanziale alla società delle operazioni bancarie eseguite sul conto corrente del sig. COGNOME).
Non è pertanto condivisibile l’assunto secondo il quale la sentenza impugnata avrebbe dovuto prima individuare l’effettiva esistenza dei requisiti necessari per l’esistenza di un rapporto sociale scolpiti nell’art. 2247 cod. civ. Tanto più che l’esistenza di un rapporto sociale non implica ex se -tanto più nell’ipotesi di società di capitali – un rapporto osmotico tra i conti dei soci e quelli della società. Il motivo è, pertanto, anche infondato.
7.3. Il quinto motivo è fondato.
Con riferimento agli accertamenti bancari la Corte costituzionale (sent. n. 10 del 2023) ha precisato, in relazione all’art. 32, primo comma, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973 che: « nell’esaminare la questione della deducibilità dei costi anche a fronte di un accertamento analitico contabile compiuto mediante indagini bancarie, occorre considerare che la disposizione censurata consente all’amministrazione finanziaria di avvalersi di u na presunzione che, quanto all’equiparazione dei prelevamenti ai ricavi, è in realtà duplice (o di secondo grado): i prelievi sarebbero utilizzati per sostenere costi occulti, i quali a loro volta avrebbero generato pari ricavi non
risultanti, anch’essi, dalla contabilità dell’imprenditore. In una fattispecie siffatta dunque -tanto che il metodo di accertamento sia analiticoinduttivo, quanto induttivo cosiddetto ‘puro’ finirebbe effettivamente con il violare i principi di ragionevolezza e di capacità contributiva un sistema nel quale fosse consentito alla stessa amministrazione dimostrare, in virtù di un meccanismo inferenziale di secondo grado, che i prelievi del contribuente-imprenditore sono serviti per sostenere costi ‘occulti’, dai quali sono stati prodotti ricavi ‘occulti’, pari ai prelievi in questione, senza che sia possibile la deduzione dei costi sostenuti dall’imprenditore per produrre tali ricavi, secondo una prova contraria per presunzioni offerta da quest’ultimo. »
In sostanza, la Corte costituzionale, prospettando un’interpretazione adeguatrice dell’art. 32, primo comma, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973, ha rilevato che la presunzione stabilita da tale norma è coerente con i principi di ragionevolezza e capacità contributiva se viene concesso all’imprenditore di dedurre i costi sostenuti per i ricavi occulti (riconducibili, in via presuntiva, ai dati e agli elementi acquisiti con le indagini bancarie di cui non sia provato il riscontro nella contabilità), secondo una prova contraria offerta dall’imprenditore stesso, anche mediante presunzioni.
Nel caso di specie risulta che la sentenza riformata aveva riconosciuto i costi nella stessa misura indicata in dichiarazione. L’orientamento seguito dalla CTR nella sentenza impugnata è stato, tuttavia, superato dai principi delineati dalla giurisprudenza di questa Corte in esito a C. cost. n. 10 del 2023. È stato, infatti, precisato che: « In tema di accertamento dei redditi con il metodo analiticoinduttivo, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 10 del 2023, che ha operato un’interpretazione adeguatrice dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. del 1973, a fronte della presunzione legale di ricavi
non contabilizzati, e quindi occulti, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale forfettaria di costi di produzione, che vanno quindi detratti dall’ammontare dei maggiori ricavi presunti. » (Cass., 03/07/2023, n. 18653).
8. Alla luce di quanto sin qui evidenziato deve essere accolto il quinto motivo di ricorso e devono essere rigettati gli altri. La sentenza impugnata deve essere cassata, con il rinvio degli atti alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, sez. dist. Salerno che, in diversa composizione deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il quinto motivo e rigetta gli altri motivi di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Giustizia di secondo grado della Campania, Sez. dist. Di Salerno che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 22/10/2024.