Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 581 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 581 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
Oggetto: Accertamento bancario
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 14440/2015 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’ Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma INDIRIZZO con domicilio digitale PEC: giusta procura speciale in calce a memoria di nomina di nuovo difensore;
-ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 2422/9/14, depositata l’11 aprile 2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 8 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE impugnava gli avvisi emessi dall’Agenzia delle entrate Irpeg, Ilor e Iva per l’anno 1996 in esito ad una verifica fiscale da parte
della Guardia di finanza, da cui erano emerse irregolarità contabili per la mancata istituzione del libro giornale, il mancato riporto in contabilità delle operazioni risultanti dagli estratti conto e il mancato riscontro nella documentazione bancaria dei corrispettivi incassati e transitati dal conto Cassa al conto Banca, nonché dalla successiva verifica sui conti correnti bancari, le cui operazioni risultava prive di giustificazione.
L’impugnazione, parzialmente accolta dalla CTP di Roma che, in esito ad una perizia, aveva ridotto l’ammontare delle somme pretese, era rigettata dalla CTR in epigrafe che, su ricorso dell’Ufficio, in parziale riforma della decisione di primo grado, aveva ritenuto gli avvisi legittimi e le riprese fondate.
La società propone ricorso per cassazione con tre motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
CONSIDERATO CHE
1 . Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per motivazione apparente e contraddittoria, in ispecie per essersi la CTR riportata, quanto all’onere della prova incombente sulla parte, alla sentenza n. 25540/2011, finendo per affermare un principio opposto, da cui ‘ la manifesta nullità del passo in esame in quanto dotato di una motivazione assiomatica e non autosufficiente ‘.
In particolare, secondo la ricorrente, mentre la sentenza citata aveva ritenuto la prova contraria integrabile anche mediante presunzioni semplici, la CTR aveva escluso tale possibilità.
1.1. Il motivo è inammissibile.
1.2. La doglianza, infatti, in realtà mira, da un lato, a censurare l’adeguatezza della motivazione della CTR, non più consentita ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. trattandosi di sentenza pubblicata in data 11 aprile 2014 e, dall’altro, lamenta, irritualm ente (oltre che in difetto di autosufficienza), un asserito errore in diritto in punto di onere della
prova e valutazione della prova per aver escluso la natura di elementi indiziari a specifici elementi di fatto.
1.3. Va escluso, in ogni caso, che la statuizione della CTR sia contraddittoria, risultando anzi del tutto coerente con la statuizione di questa Corte di cui alla sentenza n. 25540 del 2011.
1.4. Nella specie, la CTR, con ampia e articolata motivazione, ha esplicitamente affermato, nel disattendere la CTU esperita dal giudice di primo grado e accogliere il ricorso dell’Ufficio, che :
« la società intimata non è stata in grado di corroborare le proprie conclusioni andando oltre la generica e presuntiva valutazione espressa dal CTU circa, da un canto, la riconducibilità potenziale dei versamenti bancari ai versamenti dei corrispettivi incassati giornalmente dalla società e, dall’altro, della utilizzazione di somme dal conto bancario per il pagamento di fatture dei prelevamenti non analiticamente giustificati »;
« il modus operandi del perito non può essere condiviso, avendo egli, attraverso inferenze effettuate ‘ per masse ‘ e non in modo analitico, ritenuto giustificati per cassa, debiti non giustificabili sulla base delle risultanze bancarie e ha inoltre scomputato dal totale degli accrediti detti addebiti, come se nella specie si trattasse di calcolare un reddito di impresa costituito dalla differenza tra costi e ricavi »;
« la detrazione dei costi dei ricavi esige che il contribuente fornisca idonea a prova della qualificabilità degli addebiti rilevati sul conto, quali spese sostenute dal contribuente ».
Per poi concludere, alla luce delle risultanze in atti, che
« il giudice di prime cure non poteva fondatamente sostenere che nella specie si sarebbe dovuto tener conto in misura forfettaria di costi/oneri/spese/addebiti deducibili, non risultando analiticamente indicata, né tanto meno documentata, la specifica riferibilità ai movimenti bancari rilevati »
« ne risulta che, non essendo stata data la prova da parte del contribuente nei modi sopra indicati della predetta analitica corrispondenza tra i movimenti per banca e quelli per cassa, sia a titolo di addebito …, sia a titolo di accredito…, deve ritenersi l egittimamente recuperabile a tassazione da parte dell’Ufficio la somma di detti importi … dato che nessuna posta di detto importo risulta essere supportata da idonea giustificazione ».
1.5. In altri termini, la CTR -con motivazione lineare e da cui emerge con chiarezza l’iter logico e le ragioni giuridiche poste a fondamento della decisione – ha ritenuto che la prova contraria non fosse stata fornita perché le singole operazioni erano prive di analitico riscontro e, anzi, di ogni documentazione a loro sostegno, sicché la contribuente non aveva soddisfatto l’onere probatorio su essa incombente.
La statuizione, dunque, non solo è coerente con il precedente ivi citato ma con la unanime giurisprudenza di questa Corte (v. ex multis Cass. n. 13112 del 30/06/2020, secondo la quale « In tema di accertamenti bancari, gli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze »).
Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la sopravvenuta violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.p.c. per non aver la CTR applicato il giudicato favorevole intervenuto a favore della contribuente per le annualità 1994 e 1995, nonché 1997, 1998 e 1999 in relazione, in particolare, alla sentenza della CTR n. 5788/09/14, depositata il 29 settembre 2014, oltre che con le coeve sentenze nn. 5786-5787, nonché 5789-5790.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. L ‘ invocata decisione n. 5788/09/14 della CTR (come le altre indicate, peraltro prive di attestazione di giudicato), infatti, pur riferita alle medesime imposte, riguarda annualità diverse, ostandovi il principio della autonomia delle annualità d’imposta, nella specie rilevante attesa la natura della ripresa ancorata a elementi contingenti (le operazioni bancarie, per le quali il contribuente, come già precisato, è tenuto a provare che dei movimenti sui conti bancari egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che gli accrediti e gli addebiti registrati sui conti non si riferiscono ad operazioni imponibili, dovendo indicare e dimostrare la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti e dei prelievi) riferiti al singolo anno (v., per tutte, Sez. U n. 13916 del 16/06/2006; recentemente Cass. n. 37 del 03/01/2019; Cass. n. 38950 del 07/12/2021), restando irrilevante la loro rilevazione in sede di una unitaria verifica.
Esclusa, dunque, l’unitarietà della qualificazione giuridica di fatti rimasti immutati nei diversi periodi d’imposta, il rapporto giuridico in considerazione non ha neppure il carattere ‘di esecuzione prolungata’, né si riferisce a fatti ad ‘efficacia permanente o pluriannuale’, ma resta ancorato a specifici ed autonomi fatti.
Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 32, primo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 e 2697 c.c. per aver la CTR erroneamente ritenuto che il contribuente, nel fornire la prova contraria, sia tenuto a fornire una prova analitica e dettagliata e non tramite presunzioni.
Nell’articolazione del motivo sottolinea che, nella specie, la prova era stata fornita poiché l’erronea imputazione derivava da ‘ una scorretta procedura interna di contabilizzazione ‘ che registrava tutti i ricavi ‘ come se fossero stati percepiti in contanti ‘ così ‘ movimentando il solo conto cassa ‘; si trattava, dunque, di esito derivante da un anomalo meccanismo di registrazione contabile (da cassa a conto), la cui comprensione avrebbe richiesto , all’Ufficio, un maggior sforzo per abbinare ‘ le registrazioni di storno contabile ‘ ‘ con i correlativi importi registrati nel conto ricavi ‘ , il quale neppure si era preoccupato di riconoscere in via forfetaria i costi.
3.1. Il motivo è fondato nei termini e limiti che seguono.
La dedotta violazione di legge, in primo luogo, infondata: è sufficiente richiamare quanto sopra esposto (punti 1.3.-1.5.), da cui emerge chiaramente l’insussistenza della lamentata censura.
La CTR, infatti, si è attenuta ai principi di diritto in tema di verifica bancaria posto che, a fronte della presunzione derivante dall’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, il contribuente non ha fornito analitica e specifica prova contraria con riguardo alle singole operazioni ma ha -solamente -giustificato la situazione in forza di una propria irregolare contabilità, assumendo che doveva ritenersi ugualmente integrata la prova (in termini massivi) dell’effettività delle prove.
4.1. Ciò rende poi inammissibile la denunciata violazione dell’art. 2697 c.c., configurabile solo « nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito
di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. » (Cass. n. 26769 del 23/10/2018; Cass. n. 17313 del 19/08/2020; Cass. n. 18092 del 31/08/2020).
4.2. Inammissibile è pure la censura avverso l’operato dell’Agenzia delle entrate, estranea al dictum della decisione impugnata.
Va peraltro dato atto, sul punto, che, come emerge dalla CTR e dalla stessa CTU come esaminata dal giudice d’appello, nessuna idonea riconciliazione -proprio in ragione delle gravi irregolarità contabili della contribuente – era, in concreto, esperibile tra operazioni bancarie e attività, essendo possibile una ricostruzione solo ipotetica e meramente ‘potenziale’.
Fondata è, invece, la doglianza in ordine all’asserito mancato riconoscimento dei costi.
5.1. Assumono rilievo, infatti, i principi recentemente affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 10 del 31 gennaio 2023.
5.2. L a Corte, nell’esaminare la questione della deducibilità dei costi a fronte di un accertamento analitico contabile compiuto mediante indagini bancarie, ha considerato che la disposizione dell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 consente all’Amministrazione finanziaria di avvalersi di una presunzione che, quanto all’equiparazione dei prelevamenti ai ricavi, è in realtà duplice: i prelievi sarebbero utilizzati per sostenere costi occulti, i quali a loro volta avrebbero generato pari ricavi non risultanti, anc h’essi, dalla contabilità dell’imprenditore .
Ha pertanto ritenuto che in queste ipotesi -ossia vuoi quando il metodo di accertamento impiegato sia analitico-induttivo, vuoi quando venga utilizzato il metodo di accertamento induttivo ‘puro’ -il meccanismo si porrebbe in termini critici rispetto ai principi di
ragionevolezza e di capacità contributiva ove fosse consentito alla stessa Amministrazione dimostrare, secondo un percorso inferenziale di secondo grado, che i prelievi del contribuente-imprenditore sono serviti per sostenere costi ‘occulti’, dai quali sono stati prodotti ricavi ‘occulti’, pari ai prelievi in questione, senza che la parte possa anche dedurre -mediante prova contraria per presunzioni – i costi sostenuti per produrre i suddetti ricavi.
Tale sistema -ha continuato la Corte – finirebbe per produrre effetti privi di ragionevolezza poiché applicherebbe un trattamento più severo -quanto al regime della prova contraria -proprio a carico del contribuente la cui contabilità risulti complessivamente attendibile (e sia destinatario, in quanto tale, di un accertamento analitico-induttivo) rispetto a chi (destinatario di un accertamento induttivo) ha invece omesso la regolare tenuta della contabilità od ha realizzato condotte più gravi, quale l’omessa presenta zione della dichiarazione dei redditi.
L’ assetto si porrebbe in attrito anche con il principio della capacità contribuiva poiché in mancanza di alcuna deduzione di costi, desumibile in via presuntiva anche con riferimento alle ‘medie’ elaborate dall’Amministrazione finanziaria per il settore di riferimento, finirebbe per tassare, in parte, una ricchezza nei fatti inesistente, laddove, invece, ogni prelievo tributario deve avere una causa giustificatrice per indici concretamente rivelatori di ricchezza.
5.3. Da tutto ciò, la Corte ha indicato come costituzionalmente orientata l’interpretazione secondo la quale in sede di accertamento derivante dalle risultanze delle indagini finanziarie, il contribuente imprenditore « possa sempre, anche in caso di accertamento analiticoinduttivo, opporre la prova presuntiva contraria e in particolare possa eccepire la ‘ incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificat i (sentenza n. 225 del 2005) ‘ ».
In accoglimento del terzo motivo, rigettate le altre doglianze, la sentenza va pertanto cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese di legittimità.
La Corte, in accoglimento del terzo motivo nei termini di cui in motivazione, rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione.
Deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 8 novembre 2023