Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21788 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21788 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
Oggetto: accertamento
– delega di firma
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23060/2016 R.G. proposto da
COGNOME NOME rappresentato e difeso come da procura speciale in atti dall’AVV_NOTAIO (PEC: EMAIL) con domicilio eletto presso il ridetto difensore in INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa come per legge dall’RAGIONE_SOCIALE (PEC: EMAIL) presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia n. 804/29/16 depositata in data 29/02/2016 non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 27/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che:
–COGNOME NOME impugnava gli avvisi di accertamento notificati con riferimento a maggiore iva per gli anni 2009 e 2010;
-il giudice di primo grado rigettava il ricorso;
-appellava il contribuente;
-con la pronuncia qui impugnata il giudice l’appello ha confermato la statuizione di primo grado ritenendo legittimi gli atti impugnati con riferimento alla firma apposta da parte del funzionario incaricato; inoltre, con riguardo al merito RAGIONE_SOCIALE pretese, fondate sulle risultanze di indagini finanziarie, ha ritenuto non contestato che i conti correnti personali del RAGIONE_SOCIALE non fossero relativi anche alla stessa impresa di costruzioni del medesimo;
-il giudice del merito o ha poi ritenuto non provato il possesso di redditi diversi da quelli derivanti a loro volta dalle conduzioni dell’impresa medesima, il cui onere di provare l’esistenza gravava sul RAGIONE_SOCIALE COGNOME medesimo, che detto onere non ha adempiuto;
-conclusivamente, quindi, la sentenza impugnata ha ritenuto, in sintesi, non esser stata provata una separazione tra l’attività della persona fisica in quanto tale quella della persona fisica imprenditore idonea a dare significato ‘fiscale’ all’operazione di ‘prestito’ e ‘restituzione’ argomentata con l’atto di appello per giustificare le movimentazioni bancarie oggetto di rilievo;
-ricorre a questa Corte il contribuente con atto affidato a quattro motivi di gravame; l’RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso;
Considerato che:
-il primo motivo censura la pronuncia impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione agli artt. 360 c. 1 n. 3 e n. 5 c.p.c. per avere il giudice dell’appello mancato di rilevare l’omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione della sentenza di appello in relazione alla mancanza del requisito oggettivo della delega conferita al
firmatario degli atti impugnati ovvero la mancanza dell’oggetto dei limiti temporali della delega;
-secondo il contribuente, in sintesi, il Collegio dell’appello avrebbe incentrato la sua decisione esclusivamente sul requisito soggettivo del soggetto firmatario degli atti di accertamento omettendo riconsiderare gli aspetti oggettivi della delega che secondo parte ricorrente risultava non adeguatamente specifica con riferimento al numero di protocollo del provvedimento di delega alla data, al soggetto che aveva adottato lo stesso, l’organo e persona che prendeva in carico determinate vicende normative, né risultavano in essa indicati i limiti temporali della delega e l’atto che il delegato era abilitato a compiere in sostituzione del delegante;
-il motivo è infondato;
-secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale secondo il Collegio non v’è ragione di discostarsi, ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, richiamato, quanto all’IVA, dall’art. 56 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, l’avviso di accertamento deve essere sottoscritto dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato (Cass. n. 5177 del 26/02/2020; Cass. n. 24271 del 30/09/2019; Cass. n. 27871 del 31/10/2018; Cass. n. 9736 del 12/05/2016; Cass. n. 22810 del 09/11/2015; Cass. n. 22800 del 09/11/2015). Peraltro, trattasi di delega di firma e non di funzioni, sicché il relativo provvedimento non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega, che, pertanto, può estrinsecarsi attraverso ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, ex post , la verifica del potere in capo al soggetto che abbia materialmente sottoscritto l’atto (Cass. n. 8814 del 29/03/2019);
-nel presente caso, comunque, la sentenza impugnata chiarisce come sia stata esibita la delega di firma – ordine di servizio del 30
Marzo 2012, prot. 711 al NOME COGNOME come capo dell’ufficio controlli della Direzione provinciale di Agrigento;
-risultano quindi ben individuati ed esaminati espressamente sia la circostanza relativa al n. di protocollo (che è indicato) sia la circostanza relativa alla persona delegata (il NOME COGNOME, capo dell’Ufficio controlli della Direzione Provinciale sopra detta);
-inoltre, essa ha ulteriormente specificato che tale delega di firma proveniva dal soggetto con qualifica dirigenziale come ha dimostrato nel processo l’Ufficio versando in atti altra nota in cui si attestava che il NOME NOME COGNOME, delegante, era ed è un dirigente;
-da tutto ciò si evince come gli elementi che parte ricorrente assume esser stati trascurati dalla CTR hanno invece costituito oggetto di disamina, avendo il giudice dell’appello preso in considerazione ogni modalità di attribuzione del potere di firma avente rilievo al fine di valutarne la conformità a legge;
-il secondo motivo si incentra sulla violazione falsa applicazione dell’art. 12 c. 7 della L. n. 212 del 2000 per travisamento del fatto dei giudici regionali che avrebbero erroneamente statuito che nulla aveva opposto la parte già al momento della notifica del PVC da parte della Guardia di finanza;
-il motivo, per vero, nel corpo RAGIONE_SOCIALE stesso risulta in concreto dapprima centrato e sviluppato sulla violazione del contraddittorio endoprocedimentale;
-tale profilo di censura è manifestamente infondato;
-invero come parte ricorrente stessa chiarisce, la stessa provveduta a presentare tempestivamente all’ufficio le memorie difensive in data 26 febbraio 2013 vale a dire il sessantesimo giorno decorrente dalla notifica del PVC avvenuta in data 28 dicembre 2012; conseguentemente non si è verificata alcune violazioni del contraddittorio poiché il contribuente ha potuto svolgere dette osservazioni nel termine di legge;
-in ogni caso poi, con riferimento all’ulteriore parte della doglianza nella quale si denuncia (nel prosieguo del motivo) anche la mancata risposta dell’ufficio alle osservazioni di cui si è detto, questa Corte ha più volte chiarito che Secondo un orientamento ormai consolidato di questa Corte (Cass. n. 3583/2016; Cass. n. 20781/2016; Cass. n. 15616/2016 e Cass. n. 8378/2017), cui il Collegio ritiene di dare continuità, in tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, è valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni presentate dal contribuente ai sensi dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, atteso che la nullità consegue solo alle irregolarità per cui essa sia espressamente prevista dalla legge, oppure, in difetto di previsione, allorché ricorra una lesione di specifici diritti o garanzie tali da impedire la produzione di effetti da parte dell’atto cui ineriscono. In altri termini, all’obbligo dell’amministrazione finanziaria di “valutare” le osservazioni del contribuente, non si aggiunge l’ulteriore obbligo di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo, a pena di nullità;
-il terzo motivo deduce la violazione falsa applicazione dell’art. 32 c. 1 del d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 e n. 5 c.p.c. per avere i giudici regionali erroneamente ritenute non giustificate le motivazioni finanziarie contestate al contribuente, onerando il contribuente di provare la separazione dell’attività dallo stesso svolta come persona fisica rispetto all’attività svolta quale imprenditore;
-il motivo è inammissibile in quanto privo di collegamento con la ratio decidendi della pronuncia impugnata;
-in realtà la sentenza di secondo grado non ha introdotto alcun onere probatorio ulteriore e non spettante in capo al contribuente; essa ha semplicemente rilevato come non sia stata fornita la prova della percezione da parte del RAGIONE_SOCIALE di redditi diversi da quelli di impresa, derivanti da un’attività diversa da quella imprenditoriale, in grado di giustificare le operazioni rilevate dall’ufficio in sede di
esame RAGIONE_SOCIALE movimentazioni finanziarie nel senso di poterne escludere la rilevanza reddituale;
-nello specifico, la CTR ha unicamente rilevato come non sia stata fornita la prova che l’operazione di ‘prestito’ e ‘restituzione’ oggetto del contendere fosse priva di rilevanza fiscale; ciò significa che in concreto il contribuente non ha avuto successo nel vincere la presunzione di cui all’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, presunzione a favore dell’Ufficio ;
-ebbene, nel compiere tale operazione il giudice dell’appello non ha introdotto ulteriori oneri probatori in capo al contribuente ma si è limitato a fare applicazione del meccanismo presuntivo in argomento;
-questi ha in realtà ritenuto che le movimentazioni finanziarie fornissero la prova indiziaria dell’esistenza di redditi d’impresa sottratti a imposizione e ha gravato il contribuente unicamente di dar prova o di avere di tali elementi positivi di reddito tenuto conto RAGIONE_SOCIALE scritture contabili oppure della loro irrilevanza ai fini dell’imposizione; all’esito RAGIONE_SOCIALE necessarie valutazioni del materiale in atti, il giudice del merito ha conclusivamente ritenuto che tale prova non sia stata fornita dal contribuente con ciò confermando le pretese dell’Ufficio come dovevasi;
-per quanto riguarda poi le ulteriori osservazioni svolte nel prosieguo del motivo, le stesse risultano in concreto inammissibili poiché riproposizione di profili di merito il cui esame è precluso a questa Corte;
-il quarto motivo di gravame si incentra sulla violazione falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e degli artt. 3 e 53 Cost. per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto inammissibile il motivo di gravame inerente il mancato riconoscimento di costi forfettari e presunti per produrre maggiori ricavi accertati;
-il motivo è fondato;
-la CTR si è attenuta ad un’interpretazione dell’art.32, primo comma, numero 2), del d.P.R. n. 600 del 1973 seguita anche da parte della giurisprudenza della Corte al tempo della pronuncia (cfr., ad es. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 31024 del 28/12/2017, conforme, Cass. Sez.5, Sentenza n. 25317 del 28/11/2014), ma non costituente ora diritto vivente e superata da ultimo dalla sentenza n.10 del 31 gennaio 2023 della Corte costituzionale. Si deve ricordare che l’accertamento analitico – contabile o analitico -induttivo o ‘misto’ è caratterizzato dalla rettifica di singole componenti del reddito dichiarato e può derivare dal confronto tra la dichiarazione e le scritture contabili, tra le quali il bilancio, e dall’esame della documentazione posta a fondamento della contabilità, come le risultanze RAGIONE_SOCIALE movimentazioni bancarie. Il presupposto dell’utilizzo di tale metodo di accertamento è l’attendibilità complessiva della contabilità, che consente la rettifica di singole componenti reddituali e perciò la determinazione del reddito è compiuta nell’ambito RAGIONE_SOCIALE risultanze della contabilità, ma attraverso una ricostruzione induttiva di singoli elementi attivi o passivi, dei quali risulta provata aliunde la mancanza o l’inesattezza (Cass. sez. 5, 21 marzo 2018, n. 7025) e questo bene può ben avvenire anche sulla base di risultanze provenienti da indagini bancarie. La Corte Costituzionale con la citata sentenza n.10/2023 ha ritenuto che, nell’esaminare la questione della deducibilità dei costi anche a fronte di un accertamento analitico induttivo supportato da indagini bancarie, occorre considerare che l’art. 32 «consente all’ Amministrazione finanziaria di avvalersi di una presunzione che, quanto all’equiparazione dei prelevamenti ai ricavi, è in realtà duplice (o di secondo grado): i prelievi sarebbero utilizzati per sostenere costi occulti, i quali a loro volta avrebbero generato pari ricavi non risultanti, anch’essi, dalla contabilità dell’imprenditore. In una fattispecie siffatta dunque -tanto che il metodo di accertamento sia analitico – induttivo, quanto induttivo cosiddetto ‘puro’ –
finirebbe effettivamente con il violare i principi di ragionevolezza e di capacità contributiva un sistema nel qual e fosse consentito alla stessa amministrazione dimostrare, in virtù di un meccanismo inferenziale di secondo grado, che i prelievi del contribuenteimprenditore sono serviti per sostenere costi ‘occulti’, dai quali sono stati prodotti ricavi ‘occulti’, par i ai prelievi in questione, senza che sia possibile la deduzione dei costi sostenuti dall’imprenditore per produrre tali ricavi, secondo una prova contraria per presunzioni offerta da quest’ultimo.». Inoltre, proprio con riferimento al trattamento di disparità tra i contribuenti e alla violazione dei principi di uguaglianza e di capacità contributiva lamentati nel motivo in disamina, la Corte Costituzionale ha affermato che «da una parte, infatti, da tale sistema deriverebbero esiti irragionevoli perché finirebbe per prevedere un trattamento più severo, quanto al regime della possibile prova contraria rispetto alla presunzione legale in esame, in danno del contribuente che ha tenuto una contabilità complessivamente attendibile (e che può essere destinatario di un accertamento analitico – induttivo), rispetto al regime probatorio di cui si avvale chi, destinatario di un accertamento induttivo, ha omesso qualsiasi contabilità ovvero ne ha tenuta una complessivamente inattendibile o ha posto in essere gravi condotte, quale l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi. D’altra parte, la presunzione in esame, quanto ai prelievi bancari recuperati a reddito d’impresa quali ricavi ‘occulti’, si porrebbe in contrasto con il principio della capacità contribuiva poiché, in mancanza di alcuna deduzione di costi, desumibile in via presuntiva, anche con riferimento alle ‘medie’ elaborate dall’amministrazione finanziaria per il settore di riferimento, finirebbe per tassare, in parte, una ricchezza inesistente laddove, invece, ogni prelievo tributario deve avere una causa giustificatrice in indici concretamente rivelatori di ricchezza (in argomento, si vedano le pronunce n. 156 del 2001, n. 111 del
1997, n. 21 del 1996, n. 143 del 1995,n. 179 del 1985 e n. 200 del 1976)». La Consulta ha quindi sulla questione interpretativa dell’art. 32 così concluso: «la disposizione censurata in tanto si sottrae alle censure mosse, in riferimento agli evocati parametri, dalla CTP rimettente -sì che le sollevate questioni possono ess ere dichiarate non fondate -in quanto si interpreti nel senso che, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi ‘occulti’, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore possa sempre, anche in caso di accertamento analitico – induttivo, opporre la prova presuntiva contraria e in particolare possa eccepire la «incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati» (sentenza n. 225 del 2005)».
-alla luce RAGIONE_SOCIALE sopra esposte considerazioni, la decisione della CTR nel profilo sopra detto non è in linea con il sopra riportato insegnamento giurisprudenziale e deve quindi essere cassata;
-conclusivamente quindi va accolto il solo quarto motivo di ricorso; impugnazione nel resto è rigettata e la sentenza va cassata con rinvio al giudice del merito che procederà a nuovo accertamento in ordine alla determinazione anche forfettaria dei maggiori costi connessi ai maggiori ricavi accertati;
p.q.m.
accoglie il quarto motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata limitatamente al profilo relativo al motivo oggetto di accoglimento e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia in diversa composizione che provvederà anche quanto alle spese del presente giudizio di legittimità; rigetta i restanti motivi.
Così deciso in Roma, il 27 marzo 2024.