Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 759 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 759 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31527/2019 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-ricorrente principale/controricorrente al ricorso incidentalecontro
COGNOME NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di ultimo liquidatore, socio e legale rappresentante pro tempore della cessata RAGIONE_SOCIALE nonché di erede del defunto socio COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. COGNOME Gaetano, rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME
-controricorrente al ricorso principale/ricorrente in via incidentale- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA SICILIA, SEZIONE STACCATA DI CATANIA, n. 4912/6/19 depositata il 2 agosto 2019
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 19 dicembre 2024 dal Consigliere COGNOME NOME
FATTI DI CAUSA
Sulla scorta delle risultanze dell’attività di verifica fiscale condotta dalla Tenenza di Acireale della Guardia di Finanza, culminata nella redazione del processo verbale di constatazione del 1° settembre 2014, la Direzione Provinciale di Catania dell’Agenzia delle Entrate emetteva a carico della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione -esercente attività di ristorazione e bar e partecipata per il 95% da NOME COGNOME COGNOME e per il restante 5% dal di lui padre NOME COGNOME– un avviso di accertamento con il quale rettificava la dichiarazione dalla stessa presentata ai fini dell’IRES, dell’IRAP e dell’IVA in riferimento all’anno 2010.
Con tale atto veniva disposto il recupero a tassazione di un reddito corrispondente al totale dei prelevamenti e dei versamenti privi di giustificazione effettuati in quel periodo sui conti correnti bancari intestati alla società e ai soci, considerati quali ricavi occulti in virtù della presunzione legale relativa di cui all’art. 32, comma 1, n. 2) del D.P.R. n. 600 del 1973.
L’accertamento tributario veniva compiuto anche nei confronti di NOME COGNOME socio di maggioranza, indicato quale .
Il medesimo Ufficio adottava, poi, nei confronti del prefato NOME COGNOME COGNOME altro avviso di accertamento mediante il quale riprendeva a tassazione, ai fini dell’IRPEF, il maggior reddito da partecipazione da lui asseritamente conseguito nello stesso anno, applicando a suo sfavore la presunzione di distribuzione degli utili non contabilizzati ai soci di una società di capitali a ristretta base proprietaria.
Seguiva, infine, un terzo avviso di accertamento, anch’esso notificato sia alla società che a NOME COGNOME, con il quale si contestava l’omesso versamento della ritenuta alla fonte con aliquota del 12,50% sui dividendi presuntivamente corrisposti, sempre nell’anno 2010, al socio di minoranza NOME COGNOME.
Con tutti e tre gli atti venivano pure irrogate le sanzioni amministrative pecuniarie previste dalla legge per le singole violazioni.
La RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e il socio NOME COGNOME COGNOME impugnavano le pretese tributarie spiegando tre autonomi ricorsi davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Catania, la quale, riuniti i procedimenti e ritenute solo in parte fondate le ragioni addotte dei contribuenti, così statuiva: (1)annullava gli atti impositivi «nei limiti delle operazioni documentate come neutre dalle parti ricorrenti e non contestate dall’Agenzia delle Entrate» , disponendo il ricalcolo delle imposte, a cura dell’Ufficio, su un reddito complessivo su un reddito complessivo di 58.965,97 euro, «di cui Euro 47.300,97 per prelevamenti non giustificati ed Euro 11.665,00 per versamenti non giustificati» ; (2)annullava, altresì, le sanzioni amministrative irrogate a NOME COGNOME in violazione dell’art. 7, comma 1, del D.L. n. 269 del 2003, convertito in L. n. 326 del 2003.
La decisione veniva appellata, con due distinti ricorsi diretti alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, sia dall’Agenzia delle Entrate che dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e da NOME COGNOME.
La Commissione adìta, disposta la riunione dei procedimenti, con sentenza n. 4912/6/19 del 2 agosto 2019 dichiarava inammissibile l’impugnazione principale dell’Amministrazione Finanziaria e accoglieva, per quanto di ragione, quelle proposte in via incidentale delle parti private; per l’effetto, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, riduceva ulteriormente il reddito da riprendere a tassazione, defalcando prelevamenti «sotto soglia» (cioè di importo non superiore a quello stabilito dall’art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, ultima parte, del D.P.R. n. 600 del 1973) per un totale di 15.076,73 euro e versamenti ritenuti non rilevanti ai fini
impositivi per un ammontare complessivo 11.665 euro.
Avverso tale sentenza, notificata il 3 settembre 2019, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione basato in due motivi e notificato a NOME COGNOME COGNOME in proprio, nonché al medesimo e a NOME COGNOME nella qualità di ex soci della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, nel frattempo cancellata dal registro delle imprese.
Il suddetto NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di della cessata RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, nonché di erede del defunto NOME COGNOME, ha resistito all’avverso gravame con controricorso contenente ricorso incidentale affidato a un unico motivo, al quale l’Agenzia delle Entrate ha a sua volta replicato mediante la notifica di apposito controricorso ex art. 371, comma 4, c.p.c..
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
Nel termine di cui al comma 1, secondo periodo, dello stesso articolo il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso principale e la declaratoria di inammissibilità dell’incidentale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
(A)Ricorso principale
Con il primo motivo del ricorso principale, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è denunciata la nullità dell’impugnata sentenza per falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, e 53 del D. Lgs. n. 546 del 1992 e 112 c.p.c..
1.1 Si rimprovera alla CTR di aver erroneamente dichiarato inammissibile il gravame erariale per asserito difetto di specificità, sebbene le critiche rivolte dall’Agenzia delle Entrate alla sentenza di primo grado fossero state esposte in maniera chiara ed esaustiva nell’atto di appello.
1.2 La lagnanza è anzitutto ammissibile sotto il profilo dell’autosufficienza, avendo la difesa erariale trascritto nel corpo del ricorso (pagg. 3 -7) i motivi di appello giudicati privi di specificità dal collegio regionale, nonché riportato in sintesi, per quel che qui strettamente interessa (pag. 5, righi 32 -34), la motivazione della sentenza di primo grado sottoposta a censura, e in particolare il passaggio in cui i primi giudici avevano affermato che numerose operazioni bancarie di prelevamento/versamento costituenti oggetto dei rilievi dell’Ufficio andavano reputate ‘neutre’ dal punto di vista fiscale, in mancanza di puntuale contestazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
Del resto, l’integrale trascrizione della sentenza della CTP non rispondeva ad alcuna effettiva utilità pratica, ove si consideri che il collegio di seconde cure aveva dichiarato aspecifico il gravame dell’Agenzia delle Entrate sulla scorta dell’esclusivo rilievo che nell’atto di appello era stata formulata un’ .
In un simile contesto, per poter apprezzare la fondatezza della censura in disamina non si rendeva, quindi, necessario il confronto fra le argomentazioni poste a sostegno della decisione assunta dai primi giudici e i motivi di appello articolati dall’Amministrazione Finanziaria.
1.3 Oltre che ammissibile, il mezzo in disamina è fondato.
1.4 Giova premettere che, per costante giurisprudenza di questa Corte, nel processo tributario l’appello ha carattere devolutivo pieno, trattandosi di strumento di gravame non limitato al controllo di vizi specifici, ma volto ad ottenere il riesame della causa nel merito.
1.5 Ne consegue che, ai fini della sua ammissibilità, è bastevole la mera riproposizione delle questioni prospettate in primo grado (cfr. Cass. n. 3902/2024, Cass. n. 14582/2021, Cass. n. 25016/2020, Cass. n. 24533/2020, Cass. n. 32954/2018, Cass. n. 1200/2016,
Cass. n. 3064/2012).
1.6 L’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, prescritta dall’art. 53, comma 1, del D. Lgs. n. 546 del 1992, non deve, quindi, necessariamente consistere in una rigorosa enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, essendo, invece, solamente richiesta un’esposizione chiara e univoca, anche se sommaria, della domanda rivolta al giudice superiore e delle ragioni della doglianza (cfr. Cass. n. 16516/2024, Cass. n. 2843/2020, Cass. n. 30341/2019, Cass. n. 7671/2012).
1.7 È, pertanto, sufficiente che l’appellante si riporti alle argomentazioni già sostenute nel pregresso grado di merito, e segnatamente, ove si tratti della parte pubblica, che insista nel sostenere la legittimità dell’atto impositivo (cfr. Cass. n. 10673/2022, Cass. n. 6302/2022, Cass. n. 17758/2019, Cass. n. 28390/2018).
1.8 Chiarito ciò, si osserva che, nel caso di specie, la CTR ha dichiarato inammissibile l’appello principale dell’Agenzia delle Entrate per le ragioni appresso riportate: «L’Ufficio contesta l’interpretazione data dal giudice provinciale etneo del principio di non contestazione; nel merito, svolge espressa riserva di esaminare la copiosa documentazione prodotta dalle parti, riservandosi di riferirne a questa Commissione in corso di giudizio. La parte ( scilicet : privata -n.d.r.) contesta l’appello, sotto il profilo della violazione dell’art. 53 del D. Lgs. n° 546/1992, per difetto di specificità dei motivi e a parere del Collegio coglie nel segno. L’Agenzia delle entrate è in possesso della documentazione relativa al processo che ci occupa sin da prima della proposizione dei ricorsi introduttivi. La riserva di esame documentale, dopo che l’Ufficio ha spiegato articolate difese nel corso del giudizio di primo grado, appare al Collegio inaudita. L’appello deve pertanto dichiararsi inammissibile, ai sensi dell’art. 53 del D. Lgs. n° 546/1992» .
1.9 Come risulta evidente dal tenore delle surriportate
argomentazioni, l’appello erariale è stato giudicato privo di specificità per il sol fatto che l’impugnante si era espressamente riservata di «esaminare la copiosa documentazione prodotta» dalla controparte e di «riferirne… in corso di giudizio» alla Commissione, in tal modo assumendo una condotta processuale apparsa ai giudici regionali «inaudita» , posto che la documentazione di cui trattasi era in possesso dell’Amministrazione Finanziaria «sin da prima della proposizione dei ricorsi introduttivi» . 1.10 Nel ribadire, dunque, che la mera riproposizione delle difese svolte nel giudizio dinanzi alla CTP, accompagnata dalla manifestazione di un dissenso investente la decisione di primo grado nella sua totalità e dall’insistenza nella pretesa tributaria, era sufficiente ad assicurare la specificità dei motivi di appello, deve rilevarsi che il contegno assunto nel processo di seconda istanza dall’Agenzia delle Entrate avrebbe potuto essere tuttalpiù apprezzato come argomento di prova a suo sfavore, ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.c. -applicabile in forza del generale rinvio alle disposizioni del codice di rito operato dall’art. 1, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992-, ma non di certo indurre a dichiarare inammissibile l’impugnazione per inosservanza del requisito di cui all’art. 53, comma 1, del citato decreto legislativo. 1.11 Oltretutto, per quanto è dato ricavare dalla trascrizione fattane dall’odierna ricorrente, con l’esperito gravame non era stata censurata soltanto «l’interpretazione data dal giudice provinciale etneo del principio di non contestazione» , avendo l’appellante criticato la sentenza di prime cure anche per altre ragioni, e precisamente: ; – ; – ; – .
1.12 Su tali doglianze, delle quali nemmeno viene fatta menzione nella parte motiva della qui impugnata sentenza, la CTR nulla ha statuito; sicchè, oltre a sussistere la lamentata falsa applicazione dell’art. 53, comma 1, del D. Lgs. n. 546 del 1992, appare configurabile anche il dedotto vizio di omessa pronuncia.
Con il secondo motivo, proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., sono prospettate la falsa applicazione degli artt. 36, comma 2, n. 4) e 61 del D. Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 111, comma 6, Cost., nonché la violazione dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e degli artt. 2727, 2728 e 2729 c.c..
2.1 Si critica la sentenza in scrutinio per aver immotivatamente reputato meritevole di parziale accoglimento l’appello incidentale dei contribuenti, sebbene questi non avessero assolto l’onere di fornire idonea giustificazione dei prelevamenti e dei versamenti oggetto di ripresa fiscale, in modo da superare la presunzione legale relativa di ricavi occulti operante in favore dell’Amministrazione Finanziaria ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 2) del D.P.R. n. 600 del 1973.
2.2 Va sùbito notato che lo strumento di impugnazione si articola in due distinti profili di doglianza concernenti, rispettivamente, l’asserito vizio motivazionale della gravata sentenza e la violazione di norme di diritto sostanziale.
2.3 La seconda lagnanza, sebbene dichiaratamente formulata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., deve essere ricondotta
nell’alveo del n. 3) del medesimo comma, essendo volta a far valere un preteso «error in iudicando» commesso dalla CTR.
2.4 Sovviene, sul tema, il consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità in virtù del quale l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non impedisce di riqualificarne la sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, c.p.c., né determina l’inammissibilità del mezzo, qualora dalla sua articolazione sia chiaramente individuabile il tipo di vizio prospettato (cfr., ex plurimis , Cass. n. 17842/2024, Cass. n. 5435/2024, Cass. n. 5195/2024, Cass. n. 3033/2024).
2.5 Fatta tale precisazione, si rileva che la denuncia di violazione di legge appare fondata e assorbente, per quanto ci si appresta a dire.
2.6 Con specifico riguardo ai prelevamenti «sotto soglia» -cioè di importo non superiore ai 1.000 euro giornalieri e comunque ai 5.000 euro mensilieffettuati nell’anno 2010 dai conti correnti bancari intestati alla RAGIONE_SOCIALE e ai soci NOME COGNOME e NOME COGNOME i giudici di seconde cure hanno implicitamente ritenuto operante, nel caso in esame, la disposizione recata dall’art. 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, del D.P.R. n. 600 del 1973, nella versione risultante a sèguito delle modifiche introdotte dall’art. 7 -quater , comma 1, lettera d), del D. Lgs. n. 193 del 2016 ed entrata in vigore il 3 dicembre 2016.
2.7 Sennonchè, questa Corte ha affermato la natura sostanziale, e non processuale, della citata previsione, escludendone il carattere interpretativo e la portata retroattiva (cfr. Cass. n. 26883/2019 e Cass. n. 19774/2020).
2.8 Non essendovi ragione di discostarsi dal richiamato orientamento, deve allora ritenersi che «in parte qua» la CTR abbia errato nella ricognizione della norma di diritto applicabile alla fattispecie concreta, concernente accertamenti tributari compiuti prima dell’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 32, comma 1,
2) del D.P.R. n. 600 del 1973.
2.9 È opportuno rimarcare che il descritto «error iuris» è rilevabile in questa sede pur in assenza di puntuali deduzioni della parte ricorrente.
2.10 Invero, posto che il giudicato interno si determina su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fattonorma-effetto e suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’àmbito della controversia, la censura motivata anche in ordine ad uno solo di tali elementi riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame.
2.11 Conseguentemente, nel giudizio di cassazione una doglianza può essere ritenuta fondata o infondata dalla Corte Suprema anche alla stregua di argomenti diversi da quelli prospettati dalle parti, poiché l’esercizio del potere di qualificazione giuridica dei fatti accertati nel giudizio di merito, come esposti nel ricorso e nella sentenza impugnata, incontra l’unico limite rappresentato dalla doverosa osservanza del principio fissato dall’ art. 112 c.p.c.; limite che nella fattispecie in esame risulta rispettato, avendo l’Amministrazione proposto un motivo di ricorso con il quale viene lamentata la violazione dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e degli artt. 2727, 2728 e 2729 c.c..
Né può costituire impedimento alla funzione nomofilattica assegnata al giudice di legittimità la circostanza che una determinata questione involgente l’esegesi di norme di diritto non sia stata specificamente contestata, poiché il principio di non contestazione opera sul piano probatorio e riguarda il fatto storico, non già la sua qualificazione giuridica (cfr. Cass. n. 12346/2021, Cass. n. 37547/2022, Cass. n. 11109/2023).
2.12 In definitiva, la CTR avrebbe dovuto applicare l’art. 32, comma 1, n. 2) del D.P.R. n. 600 del 1973 nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D. Lgs. n. 193 del 2016, in base al quale gravava sui contribuenti, in mancanza di annotazione nelle scritture contabili, l’onere di indicare il soggetto beneficiario di ogni singolo prelevamento ripreso a tassazione, anche se di importo non superiore ai 1.000 euro giornalieri e ai 5.000 euro mensili.
2.13 Per quanto, invece, attiene alle operazioni di versamento sui predetti conti correnti, va tenuto presente che, secondo la stabile giurisprudenza di questa Corte, l’art. 32, comma 1, n. 2) del D.P.R. n. 600 del 1973 pone in favore dell’Erario una presunzione di ricavi non contabilizzati, la quale, essendo di fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729, comma 1, c.c. per le presunzioni semplici.
2.14 Tale presunzione può essere vinta dal contribuente attraverso una prova contraria riferita specificamente a ogni singolo versamento contestato, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non afferiscono a operazioni imponibili (cfr., ex permultis , Cass. n. 29434/2024, Cass. n. 25750/2024, Cass. n. 23913/2024, Cass. n. 22321/2024). 2.15 Ai suenunciati princìpi di diritto non si è correttamente attenuta la Commissione regionale, la quale, pur avendo fatto riferimento all’indirizzo nomofilattico secondo cui la prova contraria suaccennata può essere fornita «anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, … tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, … senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative» , ha poi sbrigativamente risolto la questione nel modo seguente: «…per le residue somme ( id est : per quelle prelevate -n.d.r.) appare congrua la giustificazione addotta in relazione ( scilicet : agli importi -n.d.r.) incassati per conto di Totobit e a questa riversati, al netto delle provvigioni,
tramite RID. S ommano € 11.665,00, sui quali l’Ufficio non prende posizione».
2.16 Dalla motivazione della sentenza non è, infatti, dato comprendere: quali siano i singoli versamenti effettuati nell’anno d’imposta in verifica, per un totale di 11.665 euro, che troverebbero «congrua giustificazione» nell’espletamento del servizio di ricarica «on line» di utenze di telefonia mobile svolto dalla RAGIONE_SOCIALE per conto della RAGIONE_SOCIALE; a quanto ammontino i singoli pagamenti eseguiti tramite RID in favore di quest’ultima nello stesso anno; da quali elementi sia possibile desumere la corrispondenza fra le somme incassate in un determinato arco temporale dalla RAGIONE_SOCIALE nella prestazione del detto servizio e quelle dalla stessa periodicamente riversate alla Totobit s.p.a., al netto delle provvigioni maturate.
2.17 D’altro canto, la circostanza che l’Agenzia delle Entrate non avesse «preso posizione» sulla documentazione «ex adverso» prodotta non poteva comportare un alleggerimento dell’onere probatorio gravante sui contribuenti, poichè l’onere di contestazione opera rispetto ai fatti e non ai documenti e alle conclusioni ricostruttive desumibili dalla loro valutazione, spettando tale còmpito esclusivamente al giudice di merito (cfr. Cass. n. 15683/2024, Cass. n. 6810/2024, Cass. n. 5026/2024, Cass. n. 6172/2020).
(B)Ricorso incidentale
Con l’unico motivo di ricorso incidentale, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono lamentate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 36 del D.P.R. n. 602 del 1973, degli artt. 5 e 11 del D. Lgs. n. 472 del 1997 e dell’art. 7 del D.L. n. 269 del 2003, convertito in L. n. 326 del 2003.
3.1 Si sostiene che avrebbe errato la Commissione regionale nell’affermare la legittimità dell’avviso di accertamento con il quale
è stata attribuita a NOME COGNOME nell’asserita qualità di , la responsabilità solidale per l’adempimento delle obbligazioni tributarie della società.
3.2 Viene, in proposito, posto in evidenza che una simile responsabilità personale del liquidatore, socio o amministratore avrebbe potuto essere riconosciuta soltanto in presenza di una delle specifiche ipotesi contemplate dall’art. 36, commi 1, 3 e 4, del D.P.R. n. 602 del 1973, sempre che accertata dall’Ufficio con atto motivato da notificare all’interessato ai sensi dell’art. 60 del D.P.R. n. 600 del 1973; situazione non ricorrente nel caso di specie, non essendo mai stato notificato all’Aragona un .
3.3 La censura è in primo luogo ammissibile, dovendo escludersi che il rispetto dell’onere di autosufficienza imponesse la trascrizione dell’avviso di accertamento impugnato, dal cui testo completamente prescinde la motivazione sorreggente «in parte qua» la decisione gravata.
3.4 Tanto premesso, si osserva che l’art. 36 del D.P.R. n. 602 del 1973, nella formulazione, applicabile «ratione temporis» , vigente anteriormente alle modifiche apportate dal D. Lgs. n. 175 del 2014 (sull’argomento cfr. Cass. n. 27445/2020), recita che:
«I liquidatori dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se soddisfano crediti di ordine inferiore a quelli tributari o assegnano beni ai soci o associati senza avere prima soddisfatto i crediti tributari. Tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti.
La disposizione contenuta nel precedente comma si applica agli amministratori in carica all’atto dello scioglimento della società o
dell’ente se non si sia provveduto alla nomina dei liquidatori.
I soci o associati, che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile.
Le responsabilità previste dai commi precedenti sono estese agli amministratori che hanno compiuto nel corso degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione ovvero hanno occultato attività sociali anche mediante omissioni nelle scritture contabili.
La responsabilità di cui ai commi precedenti è accertata dall’ufficio delle imposte con atto motivato da notificare ai sensi dell’art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
Avverso l’atto di accertamento è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636. Si applica il primo comma dell’articolo 39».
3.5 Orbene, la CTR ha così motivato sul punto attinto dalla lagnanza in scrutinio: «Per la Corte di Cassazione (ex pluribus, sentenza n. 27163/2018) si configura la figura dell’amministratore di fatto ogniqualvolta vi sia la partecipazione attiva alla gestione sociale dell’amministratore, con l’esercizio di specifiche e non occasionali attività di gestione e precise condotte aventi rilevanza esterna, elementi che devono ingenerare nei terzi il convincimento che egli è il soggetto gestore della società. Tali attività non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri dell’organo di gestione, ma richiedono in ogni caso l’esercizio di una
apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Infine, il rapporto giuridico in forza del quale, ai sensi dell’art. 36 cit., pure l’amministratore è tenuto a rispondere in proprio delle imposte non pagate ha la sua fonte in un’obbligazione ex lege di cui il predetto è responsabile secondo le norme comuni degli artt. 1176 e 1218 c.c., in relazione agli elementi obiettivi della sussistenza di attività nel patrimonio della società e della distrazione di tali attività a fini diversi dal pagamento delle imposte dovute (Cass. 9688/1995). In ultima analisi, quello verso l’amministratore è credito dell’amministrazione finanziaria non strettamente tributario, ma più che altro civilistico, il quale trova titolo autonomo rispetto all’obbligazione fiscale vera e propria, costituente mero presupposto della responsabilità stessa (SU 2767/1989), ancorchè detta responsabilità debba essere accertata dall’Ufficio con atto motivato da notificare ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, avverso il quale è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario ex art. 36 cit., penult. e ult. co. (Cass. 7327/2012, 11968/2012). La responsabilità personale degli ex liquidatori o amministratori di una società di capitali, che opera sul piano della riscossione delle imposte, è subordinata alla previa instaurazione del contraddittorio, da attivarsi necessariamente mediante la notifica di un atto motivato che accerti gli elementi concreti circa la sussistenza dei requisiti stabiliti dall’articolo 36 del dpr 602/73. In mancanza di tale fase prodromica, la richiesta erariale agli ex rappresentanti è illegittima (Cassazione Civile, ordinanza n. 19994/2018). Nella fattispecie, la fase del contraddittorio è stata effettuata, in maniera articolata, come riferisce lo stesso ricorrente. Pertanto, sul punto il Collegio ritiene di non discostarsi dalla sentenza di primo grado, che ha ritenuto la responsabilità solidale dell’Aragona e della società nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria con motivazione rigorosa» .
3.6 Con ogni evidenza, il collegio di secondo grado non ha minimamente spiegato quale delle ipotesi previste dall’art. 36 del D.P.R. n. 602 del 1973 ricorresse nella situazione data, né si è premurato di chiarire quali fossero, nello specifico, gli addebiti mossi dall’Ufficio all’Aragona con l’atto impositivo impugnato.
3.7 Peraltro, se è pur vero che nella sentenza viene fatto generico riferimento alla figura dell’amministratore, è nondimeno vero che nulla hanno detto i giudici regionali circa la sussistenza dei presupposti richiesti dai commi 1, 2 e 4 del citato articolo affinchè il soggetto investito di tale carica possa essere considerato responsabile a titolo personale del mancato pagamento delle imposte dovute dalla società.
3.8 In mancanza degli accertamenti fattuali necessari per la corretta sussunzione del caso concreto nella pertinente previsione normativa, la pronuncia gravata si presenta, quindi, affetta dal denunciato «error in iudicando» .
(C)Statuizioni conclusive
Tirando le fila del discorso fin qui condotto, devono essere accolti sia il ricorso principale che quello incidentale.
4.1 Va, pertanto, disposta, ai sensi degli artt. 384, comma 2, prima parte, c.p.c. e 62, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992, la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione staccata di Catania, in diversa composizione, la quale procederà a un nuovo esame della controversia uniformandosi ai princìpi di diritto sopra espressi e compiendo gli occorrenti approfondimenti di merito.
4.2 Al giudice del rinvio viene rimessa anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità, a norma degli artt. 385, comma 3, seconda parte, c.p.c. e 62, comma 2, del D. Lgs. cit..
P.Q.M.
La Corte accoglie sia il ricorso principale che quello incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia
tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione staccata di Catania, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione