Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26349 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 26349 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME DI COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/10/2024
Oggetto: Tributi
Ires, Irap e Iva 2013
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 23100 del ruolo generale dell’anno 2021, proposto
Da
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica (PEC) del difensore: EMAIL;
– ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 2193/17/2021, depositata in data 10 marzo 2021, non notificata.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26 settembre 2024 dal Relatore Cons. AVV_NOTAIO NOME COGNOME NOME COGNOME di Nocera.
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore , propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Campania aveva rigettato l’appello proposto nei confronti de ll’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 2802/09/2019 della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli di accoglimento parziale del ricorso della suddetta società, esercente attività di commercio all’ingrosso di cuoio e pelli, avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio aveva contestato maggior reddito d’impresa, ai fini Ires, Irap e Iva, oltre sanzioni, per l’anno 2013, essendo emerso un grave scostamento – peraltro rilevato anche per altre annualità di imposta -tra i ricavi dichiarati (euro 271.733,00) e quelli risultanti dall’applicazione dello specifico studio di settore VM33U (euro 414.908,00), nonché una incongruità tra la forte riduzione del fatturato e i costi del personale impiegato, denotante una condotta imprenditoriale antieconomica.
In punto di fatto, il giudice di appello ha premesso che: 1) a seguito di controlli effettuati dall’Ufficio , per gli anni 2012-2014, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, erano emersi, per il 2013, gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione dello specifico studio di settore (VM33U) nonché incongruenze tra l’esiguo reddito dichiarato e i costi sostenuti per il personale impiegato, denotanti una condotta antieconomica della società; 2) invitata a comparire per
giustificare tali discrasie, la contribuente aveva presentato memorie nelle quali aveva evidenziato la condizione di ‘marginalità economica dell’impresa’ desumibile da una serie di fattori (limiti dimensionali, localizzazione territoriale e mercato di riferimento, stante la crisi a livello internazionale e il fenomeno della c.d. ‘mucca pazza’) eccependo l’insindacabilità RAGIONE_SOCIALE scelte imprenditoriali e l’essenzialità della forza lavoro impiegata; 3) visto che lo studio di settore VM33U era stato revisionat o, l’Ufficio aveva proposto, in sede di adesione, l’adattamento dei dati al nuovo studio, cui non aderiva la società; 4) avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio rideterminava , ex artt. 39, comma 1, lett. d) e 41 bis del d.P.R. n. 600/73, un maggior reddito di impresa, per il 2013, ai fini Ires, Irap e Iva, RAGIONE_SOCIALE aveva proposto ricorso dinanzi alla CTP di Napoli deducendo l’inapplicabilità al caso concreto dello standard prescelto, stante la marginalità economica dell’impresa, desumibile da una serie di fattori; 5) l’Ufficio si era costituito ribadendo la correttezza del proprio operato ed evidenziando di avere già ridotto parzialmente i ricavi non contabilizzati (da euro 143.175,00 a euro 83.660,00) a seguito della revisione dello studio di settore; 6) la CTP di Napoli, con sentenza n. 2802/09/2019, aveva accolto parzialmente il ricorso, con riduzione del reddito imponibile secondo la proposta di adesione avanzata dall’Ufficio in sede stragiudiziale; 7) avverso la sentenza di primo grado aveva proposto appello la società deducendo il difetto di motivazione e la contraddittorietà della sentenza impugnata nonché la violazione del litisconsorzio necessario tra società e soci; 8) aveva controdedotto l’RAGIONE_SOCIALE chiedendo la conferma della sentenza di prime cure.
3. In punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha confermato la sentenza di primo grado – la cui motivazione reputava logica e coerente- osservando che:1) il trend negativo dell’azienda aveva determinato una forte riduzione del fatturato ma, al contempo, non vi era stata una riduzione del personale e del costo correlato, rimasto invariato nel 2013, e aumentato negli anni successivi; 2)la mancata coerenza per il 2013 atteneva al personale, dipendente e non, impiegato nelle attività lavorative; in particolare, gli indici di normalità economica non coerenti erano rappresentati dal ‘valore aggiunto per addetto’ e
dal ‘margine per addetto non dipendente’;3) andava confermata la pretesa tributaria già ridotta dall’Ufficio a seguito della revisione dello studio di settore (VM33U), con adattamento dei dati dell’anno 2013 allo studio (VM33U) per l’anno 2016, e con il ricavo minimo sceso a euro 355.393,00 rispetto al quale continuava a sussistere la non congruità e non coerenza dei ricavi dichiarati; 4) l’esistenza per le ragioni esposte di un ‘comportamento anomalo’ della contribuente giustificava la rideterminazione del reddito d’impresa operata dall’Ufficio; né poteva configurarsi una carenza motivazionale dell’atto impositivo essendo state le ragioni per le quali erano stati disattesi i rilievi della contribuente esplicitate dall’Ufficio in sede di contraddittorio; 5) la natura di società di capitali dell’appellante comportava la infondatezza della doglianza circa l’assunta violazione della disciplina del litisconsorzio necessario.
4 . L’RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111 Cost. e 36 del d.lgs. n. 546/92, per avere la CTR rigettato l’appello della società contribuente, con una motivazione apparente, limitandosi a trascrivere ‘i dati di settore’ senza spiegare le ragioni per le quali fossero stati disattesi i puntuali rilievi della contribuente con specifico riferimento al necessario mantenimento dei livelli occupazionali ai fini della prosecuzione dell’attività.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2.Per costante orientamento di questa Corte, il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre quando il giudice, in violazione di un obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), ossia dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, omette di illustrare l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, ossia di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e
sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata . La sanzione di nullità colpisce, pertanto, non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione da punto di vista grafico o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e presentano “una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U, n. 8053 del 7/4/2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, perchè dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione non consente di “comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato”, non assolvendo in tal modo alla finalità di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. Sez. U., n. 22232 del 3/11/2016). Come questa Corte ha più volte affermato, la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, n. 22232 del 2016, cit. ; Cass. sez. 6- 5, ord. n. 14927 del 15/6/2017 conf. Cass. n. 13977 del 23/05/2019; Cass. n. 29124/2021).
1.3.Nella specie, la CTR a fronte della contestazione dell’Ufficio di una grave incongruenza -peraltro rilevata anche con riguardo ad altre annualità d’imposta -tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione dello studio di settore (VM 33U) relativo all’attività esercitata di ‘commercio all’ingrosso di cuoio e pelli’ e di una anomala discrasia tra i redditi dichiarati e i costi per il personale impiegato, denotante una condotta antieconomica della società -ha confermato la pronuncia di primo grado di legittimità della ripresa come già ridotta dall’Ufficio a seguito d ell’ adattamento dello studio di settore (evidentemente
proprio in considerazione della condizione di ‘ marginalità economica dell’impresa’ dedotta dalla società in sede di contraddittorio preventivo) -osservando che:1) il trend negativo dell’azienda dedotto in giudizio dalla contribuente -aveva determinato una riduzione del fatturato cui non era conseguita una riduzione del personale e del relativo costo, rimasto invariato nel 2013, e, addirittura, aumentato negli anni successivi; 2) tale incongruenza atteneva proprio al personale dipendente e non, impiegato per le attività, in relazione agli indici non coerenti rappresentati dal ‘valore aggiunto per addetto’ e dal ‘margine per addetto non dipendente’ ; 3) persisteva un risultato di non congruità dei ricavi dichiarati a nche a seguito dell’intervenuto adattamento dello studio di settore (con ricavi minimi individuati in di euro 355.393,00). Pertanto, ad avviso del giudice di appello, le suddette circostanze denotavano un ‘comportamento anomalo’ della società contribuente indicativo dell’esistenza dei maggiori redditi accertati e non giustificato dalle argomentazioni svolte a contrario dall’appellante (circa l’assunta condizione di marginalità economica dell’impresa avuto riguardo ai limiti dimensionali, alla localizzazione territoriale e al mercato di riferimento per la crisi economica e il fenomeno della c.d. ‘mucca pazza’ ). La motivazione della sentenza, per quanto succinta, è, dunque, idonea ad assicurare il rispetto della soglia del “minimo costituzionale” imposto dall’art. 111 della Costituzione. Né il giudice del merito deve dare conto di ogni allegazione, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti non espressamente esaminati (Cass., Sez. II, 25 giugno 2020, n. 12652; Cass., Sez. I, 26 maggio 2016, n. 10937; Cass., Sez. VI, 17 maggio 2013, n. 12123).
2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, primo comma, lett. d) e 40 del d.P.R. n. 600/73, 2729 e 2697 c.c. per avere la CTR confermato la ripresa -fondata esclusivamente e/o prevalentemente sullo studio di settore -nell’importo ridotto dall’Ufficio a seguito della revisione dello studio di settore
adattando i dati anni 2013 allo studio WM33U anno 2016 – senza che l’ RAGIONE_SOCIALE avesse assolto, in base ad elementi gravi precisi e concordanti, all’onere probatorio a suo carico circa la contestata ‘grav e incongruenza ‘ dei ricavi dichiarati rispetto a quelli risultanti dallo studio di settore e senza valutare incorrendo, sotto tale profilo, anche in una insufficienza motivazionale – le circostanze addotte dalla società (condizione di marginalità economica per limiti dimensionali, localizzazione territoriale e mercato di riferimento) a giustificazione della esclusione dell’impresa dall’area di applicazione dello studio di settore individuato, facendo dipendere il giudizio di mancata coerenza dell’attività d’impresa dalla scelta della società di non tagliare i costi dell’occupazione lavorativa , pur essendo tale decisione riconducibile ad insindacabili strategie commerciali al fine di mantenere i contatti con la clientela e superare la crisi del settore (al riguardo la contribuente aveva precisato che, nel 2013, vi erano soltanto cinque operai addetti al ritiro RAGIONE_SOCIALE pelli dai clienti).
2.1. In disparte l’avere evocato, in maniera cumulata ed indistinta, vizi eterogenei (violazione di legge e vizio motivazionale), il motivo si profila inammissibile per le ragioni di seguito indicate.
2.2.La procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente (che può tuttavia, restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento), esito che, essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruità) della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa siano stati disattesi. Il contribuente ha, nel giudizio relativo all’impugnazione dell’atto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di
presunzioni semplici, ed il giudice può liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall’ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente. (Cass. sez. un. 18/12/2009, n. 26635). In tale sede, invero, è il contribuente che ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards» (così Cass. 6-5, n. 13056/2012 che riprende Cass. n. 10778/2011, recentemente Cass. 5, n. 13908/2018). Ciò è altresì coerente con le garanzie del contribuente affinate in sede eurounitaria da Corte Giustizia UE 21 novembre 2018, in causa C-648/16 (segnatamente punti 43 e 44), non potendosi dubitare del fatto che i contribuenti siano stati posti in condizione, sin dalla sede endoprocedimentale (con la produzione documentale o la memoria deduttiva), di contestare l’applicabilità RAGIONE_SOCIALE risultanze statist iche alla propria specifica posizione, risultanze statistiche, peraltro, corredate da ulteriori elementi di cui poi i giudici di merito hanno riconosciuto la valenza di prova presuntiva. Se è vero che nel caso di accertamento basato esclusivamente sugli studi di settore, l’Amministrazione finanziaria è obbligata ad instaurare il contraddittorio preventivo con il contribuente ai sensi dell’art. 10 della l. n. 146 del 1998, altrettanto vero è che detto obbligo non opera qualora l’accertamento si fondi anche su altri elementi giustificativi, quali riscontrate irregolarità contabili o antieconomiche gestioni aziendali. (Fattispecie relativa ad avviso di accertamento, non preceduto da preventivo contraddittorio, emanato a carico di un’impresa che aveva chiuso il proprio bilancio annuale con utili molto esigui, a fronte di ingenti investimenti sostenuti). (Cass. 5, 31814/2019; Cass. n. 9554 del 2024). Al riguardo, si è chiarito che il dato che l’accertamento sia «basato» sullo studio di settore non esclude che esso possa trovare anche altre giustificazioni come, ad esempio, riscontrate irregolarità contabili o la ritenuta antieconomicità della gestione aziendale. Un accertamento tributario può dirsi basato su uno studio di settore, dunque, solo quando trovi in esso il suo fondamento prevalente. Tanto non si verifica quando, ad esempio, mediante l’utilizzo degli studi di settore siano emerse incongruenze nella contabilità di
impresa che abbiano indotto l’Ente accertatore ad approfondire l’analisi, riscoprendo altri, e prevalenti, indici rivelatori dell’esistenza di una operatività economica non dichiarata, raccogliendo l’Amministrazione finanziaria elementi gravi, precisi e concordanti, posti a fondamento dell’accertamento tributario (cfr. Cass., 6 giugno 2019, n. 15344; v. anche Cass. n. 516 del 2023). A fronte di condotte aziendali che risultano in netto contrasto con le leggi del mercato, compete all’imprenditore dimostrare, in modo specifico, che la differenza negativa tra costi di acquisto e prezzi di rivendita, emersa dalle scritture contabili, non è dovuta all’occultamento di corrispettivi, ma trova valide ragioni economiche che la giustificano (Cass., 21 dicembre 2018, 33279; Cass., 25 maggio 2021, n. 14294; Cass. 7080 del 2024).
2.3.Nella specie, il motivo di ricorso: 1) da un lato, non coglie il decisum , atteso che la CTR ha ritenuto la legittimità della ripresanell’importo ridotto dallo stesso Ufficio a seguito dell’adattamento dei dati del 2013 allo studio WM33U dell’anno 2016 -avvenuta non solo in base all’applicazione degli studi di settore ma anche per una rilevata incongruenza tra il fatturato fortemente ridottosi per il trend negativo dell’azienda e i costi per l’impiego del personale rimasti invariati nell’anno oggetto di verifica, denotante una condotta antieconomica dell’impresa; 2) dall’altro, pur prospettando una violazione di legge in realtà tende inammissibilmente ad una nuova interpretazione di questioni di merito, avendo la CTR – con una valutazione in fatto non sindacabile dinanzi al giudice di legittimità -ritenuto le circostanze emerse, complessivamente considerate, quali indici rivelatori – stimati gravi, precisi e concordanti -dell’esistenza di una operatività economica non dichiarata (incoerenza tra il fatturato fortemente ridottosi, nel 2013, per il trend negativo dell’azienda e il costo per l’impiego del personale rimasto invariato; indici non coerenti rappresentati dal ‘valore aggiunto per addetto’ e dal ‘margine per addetto non dipendente’; persistente risultato di non congruità dei ricavi dichiarati anche a seguito dell’intervenuto adattamento dello studio di settore); a fronte di tali elementi denotanti un ‘ comportamento anomalo ‘ della società, indicativo di un occultamento di maggiori ricavi, il giudice di appello ha confermato la ripresa (nell’importo già
ridotto dall’Ufficio) disattendendo (implicitamente) le argomentazioni a contrario, ribadite nei gradi di merito, dalla società contribuente circa la assunta condizione di marginalità economica dell’impresa ( per limiti dimensionali, localizzazione territoriale e mercato di riferimento ). Invero, la circostanza che il ricorrente a fronte di notevoli costi, dichiari un reddito esiguo, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare da parte dell’erario una rettifica della dichiarazione, ai sensi dell’art. 3 9 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, a meno che il contribuente non dimostri concretamente la effettiva sussistenza di validi motivi per porre in essere un comportamento palesemente antieconomico. Il che non si traduce in un sindacato sulle scelte imprenditoriali, ma consente di presumere l’esistenza di proventi non dichiarati, correttamente desunta dalla abnormità, ed irragionevolezza dei dati dichiarati, che lasciando presupporre una attività gestionale antieconomica, induce, logicamente, a ritenere complessivamente inattendibile la documentazione . In tali casi, pertanto, è consentito all’ufficio dubitare della veridicità RAGIONE_SOCIALE operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, un maggior reddito di impresa. Va, quindi, ribadito il principio per cui «un comportamento del contribuente palesemente antieconomico costituito da un rilevante rapporto deficitario tra valore complessivo dei costi sostenuti e i ricavi dichiarati integra le gravi incongruenze che legittimano l’applicazione degli studi di settore» (Cass., 23 settembre 2016, n. 18666; Cass. n. 7080 del 2024).
2.4. Quanto alla denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., il motivo è inammissibile in quanto, pur a prescindere dal riferimento improprio all’insufficiente motivazione, non più attuale, essendo la censura articolata nelle forme dell’omesso esame di fatti decisivi e controversi, il vizio specifico denunciabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., così come riformulato dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. nella I. 7 agosto 2012, n. 134, richiede che il fatto asseritamente omesso sia un fatto storico, con la conseguenza che, a tali fini, non costituiscono fatti le deduzioni difensive e gli elementi istruttori (cfr. Cass., ord., 29 ottobre 2018, n. 27415;
Cass. sez. 5, n. 18710 del 2022); sotto altro aspetto, si osserva che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento RAGIONE_SOCIALE prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo, per le ragioni suindicate ad un vizio inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (cfr. Cass. 10 giugno 2016, n. 11892; Sez. 5, Ordinanza n. 24584 del 2023); nella specie, la ricorrente non ha dedotto l’omesso esame di un ‘fatto storico’, ma -quanto all’assunta mancata valutazione da parte del giudice di appello della dedotta condizione di marginalità economica dell’impresa – di profili attinenti alle risultanze probatorie, la rivalutazione RAGIONE_SOCIALE quali è preclusa a questa Corte.
3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. la violazione degli artt. 101 e 102 c.p.c. per avere la CTR erroneamente rigettato l’eccezione relativa al difetto di litisconsorzio necessario tra società e soci sebbene si trattasse di una società a ristretta base partecipativa a carattere familiare e l’accertamento del maggiore ricavo d’impresa nei confronti della società ricadesse automaticamente in capo ai singoli soci, trattandosi di un unico rapporto tributario con pluralità di soggetti passivi con conseguente litisconsorzio necessario nei confronti dei singoli soggetti obbligati.
3.1.Il motivo è infondato.
3.2. Merita rammentare che, in materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni dei redditi RAGIONE_SOCIALE società di persone e RAGIONE_SOCIALE associazioni di cui all’art. 5 d.P.R. 22/12/1986 n. 917 e dei soci RAGIONE_SOCIALE stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicchè tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della
fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario (Sez. U, Sentenza n. 14815 del 04/06/2008). Come precisato da questa Corte, la pronuncia S.U. n. 14815/2008 si riferisce unicamente alle società di persone ed associazioni, non essendovi riconosciuto litisconsorzio necessario fra soci e società di capitali, anche se ristretta base azionaria (Cass. n. Sez. 5, Ordinanza n. 23825 del 2020). Del pari si è affermato che, nel giudizio di impugnazione dell’avviso di accertamento emesso nei confronti di socio di società di capitali, avente ad oggetto il maggior reddito da partecipazione derivante dalla presunzione di distribuzione dei maggiori utili accertati a carico della società partecipata, non sussiste litisconsorzio necessario con la società (cfr. Cass. 6-5, Ordinanza n. 20507 del 29/08/2017, Rv. 645046 -01; Cass., sez. 5, n. 23825 del 2020).
3.3. Nella specie, la CTR si è attenuta ai suddetti principi nell’escludere che, trattandosi di una società di capitali- per quanto a ristretta base partecipativasussistesse un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra società e soci.
4.In conclusione, il ricorso va rigettato.
5.Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 5.400,00 per compensi oltre spese prenotate a debito;
Dà atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma in data 26 settembre 2024