Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7080 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7080 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/03/2024
ORDINANZA
ha pronunciato la seguente sul ricorso n. 11161/2016 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, quale associato alla «RAGIONE_SOCIALE», presso il cui studio legale entrambi elettivamente domiciliano, in Roma, alla INDIRIZZO, giusta mandato in calce al ricorso per cassazione.
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, n. 9625/2015, depositata in data 4 novembre 2015, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 febbraio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria provinciale di Benevento, con sentenza n. 984/2/14, del 16 settembre 2014, aveva accolto il ricorso proposto da COGNOME NOME, gestore di un bar, avverso l’avviso di accertamento, che, a seguito di questionario, aveva accertato maggiori ricavi per euro 37.171,00, in relazione all’anno 2008, con seguente recupero dei tributi dovuti.
La Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello dell’Ufficio, ritenendo che i presupposti per l’accertamento sintetico erano stati evidenziati dall’RAGIONE_SOCIALE ed apparivano del tutto ragionevoli, tenuto conto che si fondavano sull’analisi della gestione significativamente antieconomica dell’attività svolta dalla contribuente (sulla base del raffronto fra prezzo di acquisto al netto di IVA e prezzo di vendita al netto di IVA) e tenuto conto che pure in regime di contabilità semplificata era onere dell’esercente inventariare in modo corretto le rimanenze iniziali e finali; anche il percorso di ricostruzione dei ricavi svolto dall’Ufficio era legittimo, in quanto l’accertamento officioso traeva la sua motivazione dalla verifica della presenza di una significativa antieconomicità, avuto riguardo alle percentuali di ricarico dei prodotti trattati (ad eccezione del caffè) e, dunque, l’Ufficio aveva applicato la percentuale minima stabilita dai relativi studi di settore; a fronte di tali elementi le circostanze addotte dal contribuente non avevano seria consistenza, in quanto l’analisi dei costi e ricavi, del valore RAGIONE_SOCIALE rimanenze, della perdita di esercizio dichiarata e del valore degli acquisti effettuati, che rappresentavano
indici idonei ad inficiare la congruenza della dichiarazione resa dal contribuente e l’applicazione della percentuale di ricarico secondo la media del settore merceologico, tenuto anche conto dell’assenza di diversi elementi atti a smentirne l’attendibilità, appariva congrua rispetto alla concreta realtà aziendale sottoposta a scrutinio.
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
NOME NOME ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo motivo deduce la nullità della sentenza impugnata e del procedimento ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., la violazione di legge e la violazione del principio del contraddittorio in sede di accertamento imposto dallo Statuto del contribuente. Violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. riguardo alla domanda del contribuente inerente alla violazione del procedimento. Violazione degli artt. 6 e 7 RAGIONE_SOCIALE Statuto del contribuente e dell’art. 24 della Costituzione. Mancato rispetto del principio di acquisizione e del principio della parità RAGIONE_SOCIALE armi processuali in relazione a quello di difesa. Violazione degli artt. 3 e 24 e 111 della Carta costituzionale. Nel thema decidendum del processo era chiaro il riferimento al vizio del procedimento che aveva condotto all’avviso di accertamento da parte dell’RAGIONE_SOCIALE. Nel caso di specie, il contraddittorio endoprocedimentale era assolutamente mancato e, nonostante le continue doglianze del contribuente, la sentenza impugnata non aveva risposto assolutamente al quesito circa la legge sul procedimento violata. La sentenza impugnata aveva omesso di pronunciarsi sull’assenza dell’invito al contraddittorio con il contribuente, che era necessaria premessa dell’emissione di un avviso di accertamento valido. La Commissione tributaria regionale, violando espressamente
l’art. 112 cod. proc. civ., non aveva risposto al ricorrente, il quale, nella difesa a fronte dell’atto di appello dell’Ufficio, aveva precisato che non aveva avuto la possibilità di controbattere, in assenza dell’invito di cui all’art. 6 della legge n. 212/2000.
1.1 In disparte il difetto di autosufficienza della censura di omessa pronuncia ex art. 112 cod. proc. civ., il motivo è infondato.
1.2 Ed invero la giurisprudenza di questa Corte ha affermato, anche di recente, che « Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo RAGIONE_SOCIALE della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone RAGIONE_SOCIALE di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento RAGIONE_SOCIALE strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto. Nel caso di accertamento basato esclusivamente sugli studi di settore, l’Amministrazione
finanziaria è obbligata ad instaurare il contraddittorio preventivo con il contribuente ai sensi della L. n. 146 del 1998, art. 10, mentre detto obbligo non opera qualora l’accertamento si fondi anche su altri elementi giustificativi, quali riscontrate irregolarità contabili o antieconomiche gestioni aziendali » (Cass., 2 marzo 2022, n. 6806, in motivazione).
1.3 Dunque, nel caso di accertamento basato esclusivamente sugli studi di settore, l’Amministrazione finanziaria è obbligata ad instaurare il contraddittorio preventivo con il contribuente ai sensi dell’art. 10 della legge n. 146 del 1998, mentre detto obbligo non opera qualora l’accertamento si fondi anche su altri elementi giustificativi, quali riscontrate irregolarità contabili o antieconomiche gestioni aziendali (cfr. anche Cass. 25 giugno 2021, n. 18329; Cass., 5 dicembre 2019, n. 31814).
1.4 Ciò posto, nel caso in esame, la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che l’accertamento contestato avesse accertato, in primo luogo, la antieconomicità della gestione aziendale, tenuto conto del raffronto tra prezzo di acquisto al netto di Iva e prezzo di vendita al netto di Iva e RAGIONE_SOCIALE percentuali di ricarico dei prodotti trattati, ad eccezione del caffè (cfr. pagine 2 e 3 della sentenza impugnata). Inoltre, nella vicenda di specie, da quel che è dato ricavare dal controricorso (pag. 1), l’ accertamento aveva tratto origine, a seguito di questionario e di esame della contabilità relativa all’anno 2008, questionario al quale il contribuente non aveva risposto e che le « Note allegate allo studio di settore » erano state prodotte nel giudizio (cfr. pag. 8 del ricorso per cassazione).
1.5 Deve, in proposito, richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte che ha affermato che « In tema di accertamento da studi di settore, ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato e il contribuente abbia omesso di parteciparvi, oppure, anche partecipando, non abbia allegato alcunché per spiegare lo
scostamento, l’Ufficio non è più tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri. In questo caso, infatti, la rilevazione RAGIONE_SOCIALE scostamento, a fronte dell’assenza di elementi con cui il contribuente ne spieghi la sussistenza, assume la dignità di indizio grave e preciso, idoneo, pur se unico, a supportare la dimostrazione del fatto ancora sconosciuto, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ. Tanto in ogni caso non pregiudica definitivamente la difesa del contribuente, cui resta sempre il diritto di allegazione e di prova in sede contenziosa, anche per la prima volta, degli elementi idonei a vincere le presunzioni su cui l’accertamento tributario si fonda » (Cass., 11 luglio 2023, n. 19748) e che « L’esito del contraddittorio non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte, nel qual caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito » (Cass., 18 agosto 2022, n. 24931; Cass., 12 aprile 2017, n. 9484).
Il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Onere della prova a carico dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e mancata considerazione RAGIONE_SOCIALE ragioni del contribuente con violazione
del canone ermeneutico di cui all’art. 1370 cod. civ . Necessaria correzione ermeneutica per erroneità interpretativa. Violazione di legge. Violazione degli artt. 62 bis e 62 sexies del decreto legge n. 321 del 1993. Erroneità del metodo applicato per gli studi di settore traslata nell’accertamento analitico. La sentenza impugnata non aveva considerato, in alcun passaggio argomentativo, la sentenza di primo grado, che aveva dato rilievo a quanto assunto dal contribuente «nelle note allegate allo studio di settore» e aveva ritenuto di dare rilievo esclusivo alla congruità della motivazione ricostruttiva dell’Ufficio, asserendo che la sua interpretazione potesse sanare l’assenza di prova fornita dall’Ufficio stesso sul rapporto tra standard parametrali e realtà concreta dell’attiva d’impresa. Né la sentenza impugnata, né gli avvisi di accertamento impugnati dal contribuente avevano fornito, tuttavia, la prova concreta RAGIONE_SOCIALE incongruenze e spettava all’Amministrazione finanziaria provare i fatti posti a fondamento della propria pretesa, e, solo in conseguenza e di tale prova, scattava l’onere del contribuente di provare di non essere tenuto alla pretesa tributaria stessa. I giudici di secondo grado, di fronte alla documentazione esibita e depositata in causa, che ritenevano insufficiente, ovvero le «Note allegate allo studio di settore», avrebbero dovuto, in assenza dell’invito al contraddittorio da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, fare ricorso alle norme degli artt. 6 e 7 della legge n. 546/92, chiedendo l’acquisizione d’ufficio di ulteriori mezzi prova. L’Ufficio non aveva fornito, invece, come bene aveva precisato il Giudice di prima istanza, la prova dell’antieconomicità e la sentenza impugnata non poteva ritenersi esaustiva nella risoluzione della questione con il semplice riferimento alla cosiddetta «media del settore merceologico», a fronte della circostanza spiegata dal contribuente nelle note allegate allo studio di settore, che era stato il particolare momento dell’impresa, cioè la riorganizzazione di attività, a richiedere il discostamento dai parametri.
2.1 In disparte il rilievo che il vizio dedotto non può consistere in un apprezzamento dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza RAGIONE_SOCIALE prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass., 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 23 maggio 2014, n. 11511), nel caso in esame, la censura si appalesa aspecifica, poiché non si confronta con il contenuto del provvedimento impugnato, che, lungi dal non considerare le argomentazioni difensive dell’appellante, le ha, invece, esaminate specificamente, affermando da un lato che le circostanze addotte dal contribuente non avevano seria consistenza, a fronte degli elementi emersi in sede di accertamento e specificamente elencati a pag. 4 della sentenza impugnata ( analisi dei costi e dei ricavi, valore RAGIONE_SOCIALE rimanenze, perdita di esercizio dichiarata, valore degli acquisiti effettuati) e dall’altro che anche l’applicazione della percentuale di ricarico secondo la media del settore merceologico appariva congrua rispetto alla concreta realtà aziendale e specificamente dell’or ario di lavoro e del numero dei posti a sedere indicati nello studio di settore presentato (cfr. pagine 3 e 4 della sentenza impugnata).
2.2 Ciò conformemente ai principi statuiti da questa Corte secondo cui la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente; in tale sede,
quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo RAGIONE_SOCIALE scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto RAGIONE_SOCIALE standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte (Cass., Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26635 e, di recente, Cass., 20 giugno 2019, n. 16545; Cass., 15 luglio 2020, n. 14981).
2.3 Dunque, il procedimento di accertamento standardizzato trova il proprio punto centrale nell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, che consente l’adeguamento degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, determinando il passaggio dalla fase statica (gli standard come frutto dell’elaborazione statistica) alla fase dinamica dell’accertamento (l’applicazione degli standard al singolo destinatario dell’attività accertativa) (cfr. Cass., 15 luglio 2020, n. 14981, citata).
2.4 Inoltre, la circostanza che il ricorrente a fronte di notevoli costi, dichiari un reddito esiguo, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare da parte dell’erario una rettifica della dichiarazione, ai sensi de ll’art. 39 del d .P.R. n. 600 del
1973 e dell’art. 54 del d .P.R. n. 633 del 1972, a meno che il contribuente non dimostri concretamente la effettiva sussistenza di validi motivi per porre in essere un comportamento palesemente antieconomico. Il che non si traduce in un sindacato sulle scelte imprenditoriali, ma consente di presumere l’esistenza di proventi non dichiarati, correttamente desunta dalla abnormità, ed irragionevolezza dei dati dichiarati, che lasciando presupporre una attività gestionale antieconomica, induce, logicamente, a ritenere complessivamente inattendibile la documentazione. In tali casi, pertanto, è consentito all’ufficio dubitare della veridicità RAGIONE_SOCIALE operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, un maggior reddito di impresa. Va, quindi, ribadito il principio per cui « un comportamento del contribuente palesemente antieconomico costituito da un rilevante rapporto deficitario tra valore complessivo dei costi sostenuti e i ricavi dichiarati integra le gravi incongruenze che legittimano l’applicazione degli studi di settore» (Cass., 23 settembre 2016, n. 18666).
2.5 A fronte, dunque, di condotte aziendali che risultano in netto contrasto con le leggi del mercato, compete all’imprenditore dimostrare, in modo specifico, che la differenza negativa tra costi di acquisto e prezzi di rivendita, emersa dalle scritture contabili, non è dovuta all’occultamento di corrispettivi, ma trova valide ragioni economiche che la giustificano (Cass., 21 dicembre 2018, 33279; Cass., 25 maggio 2021, n. 14294).
2.6 Sul regime di contabilità semplificata, questa Corte ha anche precisato che « La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui all’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati RAGIONE_SOCIALE scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità
semplificata, non impedisce l’applicabilità RAGIONE_SOCIALE “standard”, né costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata » (Cass., 18 agosto 2022, n. 24931).
2.7 Sul profilo di censura che involge l’art. 7 del decreto legislativo n. 546 del 1992, in ultimo, va precisato che, nel processo tributario, retto dal principio misto acquisitivo-dispositivo, l’art. 7, comma 1, del decreto legislativo n. 546 del 1992, stante l’abrogazione del comma 3 (che consentiva un vero e proprio potere officioso in «supplenza» della parte probatoriamente inerte), attribuisce alle commissioni tributarie, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, un potere di «soccorso istruttorio» che, motivatamente, può essere esercitato non per supplire a carenze RAGIONE_SOCIALE parti nell’assolvimento del rispettivo onere probatorio, ma solo in funzione integrativa degli elementi di giudizio già in atti o acquisiti in quanto non sufficienti per pronunziare una sentenza ragionevolmente motivata (Cass., 11 maggio 2021, n. 12383).
Per quanto esposto, il ricorso va rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, sostenute dalla RAGIONE_SOCIALE controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.400,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 14 febbraio 2024.