Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9128 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9128 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12204/2016 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimato- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DEL LAZIO n. 5800/2015 depositata il 05/11/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/02/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 7/10/2009 l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate di Roma effettuava una verifica nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, esercente attività di bar e caffè. In particolare, la società provvedeva alla consegna della documentazione richiesta come da invito n. I00759/2009 disposto ai sensi dell’art. 32 d.P.R. 600/1973. All’esito dell’esame della documentazione, l’Ufficio rilevava la sussistenza di comportamenti antieconomici per più periodi di imposta (2001- 2002-2003-2004). Conseguentemente, notificava alla società l’avviso di accertamento n.NUMERO_DOCUMENTO/2010 con cui, in relazione all’anno di imposta 2005, provvedeva a rideterminare un maggior reddito in capo alla società medesima ai sensi dell’art. 40 DPR 600/73. Ricostruiva pertanto in via indiretta l’esistenza di ricavi non dichiarati e costi non di competenza, con conseguenti maggiori imposte ai fini dell’IRES, dell’IVA e dell’IRAP e applicazione di sanzioni pecuniarie. Il giudice tributario di primo grado, con sentenza n. 14477/26/14, accoglieva il ricorso proposto dalla contribuente.
La Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha rigettato il successivo appello erariale ritenendo nel caso di specie insussistente il presupposto delle gravi incongruenze legittimante l’emissione dell’avviso di accertamento ai sensi dell’art. 39, 1 comma, lett. d) d.P.R. 600/73.
L’Agenzia delle Entrate affida ora il proprio ricorso a due motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si adombra la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 d.P.R. 600/1973 nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per aver il giudice d’appello ‘ ignorato e falsamente applicato la disciplina vigente e la giurisprudenza formatasi nella materia, secondo cui, in presenza di
determinati indici significativi e rivelatori, opera la presunzione di esistenza di attività non dichiarate ‘.
Col secondo motivo di ricorso si prospetta la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 comma 1 n.4 c.p.c. in quanto affetta da motivazione apparente, non avendo la CTR ‘ preso in considerazione la specifica situazione sottoposta al suo esame, limitandosi a generiche affermazioni, che non corrispondono né alla motivazione dell’atto impositivo, né alle argomentazioni formulate dall’Ufficio in atto di appello ‘.
Il primo motivo è inammissibile.
Ancorché la censura si incentri sul profilo dell’antieconomicità, essa non lascia cogliere in alcun modo in cosa detta la medesima sia sostanziata. Vengono rappresentate sic et simpliciter perdite riferite agli esercizi precedenti a quello oggetto di causa, nel cui alveo si evidenzia una perdita assai contenuta.
Non si scorgono, in tal senso, elementi concreti rispetto ai quali possa rilevarsi l’adombrata violazione dell’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973.
Quel che si evince dagli atti di causa, sulla scorta della prospettazione di parte di ricorrente, è, in altri termini, l’esercizio in perdita dell’attività dal 2001 al 2004, mentre con riferimento al 2005 non viene puntualizzato nulla di specifico nell’atto impositivo, che deponga nel senso della violazione del precetto normativo indicato in rubrica.
L’Agenzia, lungi dal precisare la difformità rispetto al paradigma legale, si limita a perorare l’applicazione di una percentuale di ricarico ponderata, sulla scorta di un’analisi a campione della merce commercializzata dalla società.
Tuttavia, a suffragio di quella che si palesa alla stregua di mera prospettazione erariale non militano -in quanto non vengono allegati, né precisati -elementi fattuali rispondenti ad uno standard minimale di concretezza.
L’Agenzia, dal canto suo, anziché veicolare addentellati di matrice presuntiva idonei a corroborare la fondatezza della pretesa fiscale e a giustificare un accertamento imperniato sulla predicata percentuale di ricarico, si limita a stigmatizzare la sentenza, invocando una più appagante -ma invero preclusa -rivisitazione del merito della controversia. In tal guisa, il motivo di ricorso traligna dal perimetro del vizio della violazione di legge per ambire ad un sindacato di merito interdetto in questa sede, giacché riservato al giudice d’appello.
Il secondo motivo è infondato.
Benché sia sorretta da una motivazione scarna e asciutta, la sentenza d’appello ben lascia cogliere la propria ratio decidendi . Essa, invero, per un verso esclude siano stati allegati fatti certi e obiettivamente riscontrabili a sostegno del ragionamento presuntivo; per altro verso, esclude icasticamente sia riscontrabile una grave incongruenza avuto riguardo all’annualità su cui s’impernia il recupero fiscale (2005), per altro verso ancora evidenzia il mancato rispetto del contraddittorio.
Va, pertanto, rammentato che non sono ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del « minimo costituzionale » richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato soltanto qualora la motivazione -e non è questo il caso -sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090 del 2022; Cass. n. 22598 del 2018).
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 12/02/2025.