Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32877 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32877 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4577/2024 R.G. proposto da
NOME COGNOME elettivamente domiciliata in VICENZA INDIRIZZO DIG, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM. TRIBUTARIA II GRADO BOLZANO n. 36/2023 depositata il 12/07/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. Con sentenza n. 131/22 del 28 giugno 2022 la Commissione Tributaria di primo grado di Bolzano accoglieva il ricorso proposto dalla NOME RAGIONE_SOCIALE avverso avviso di accertamento n. TBA03T200893CODICE_FISCALE per IRES, IVA e IRAP relative al 2014, con il quale l’Agenzia delle entrate contestava un maggior reddito d’impresa
pari ad Euro 88.193,00, di cui Euro 59.315,00 per maggiori ricavi non dichiarati ed Euro 28.878,00 relativi a costi indeducibili e a variazioni fiscali in diminuzione disconosciuti.
La Commissione di primo grado accoglieva il ricorso sul presupposto che, trattandosi di accertamento mediante studi di settore, l’Ufficio aveva l’obbligo di attivare il contraddittorio preventivo e di procedere quindi all’esame e alla valutazione delle osservazioni del contribuente.
Avverso il provvedimento giurisdizionale proponeva appello l’Agenzia delle entrate, la quale deduceva, quale unico motivo, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39, comma 1 lett. d) del d.P.R. 600/1973 e dell’art. 62 sexies comma 3 del d.l. n. 331/1993; osservava che l’avviso si basava su di una ricostruzione analitico -induttiva dei ricavi che teneva conto, oltre che dello studio di settore rielaborato, dei dati extracontabili rilevati e delle innumerevoli irregolarità ed anomalie constatate che legittimavano la determinazione dei maggiori ricavi ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d) del DPR 600/1973.
Non si costituiva l’appellata e la Corte di giustizia tributaria (CGT) di secondo grado di Bolzano con la sentenza in epigrafe accoglieva il ricorso.
Secondo i giudici d’appello l’Ufficio aveva svolto un accertamento analitico-induttivo, avvalendosi, come criterio, del numero di tovaglioli utilizzati dall’azienda, e non si era limitato a rivedere e contestare i dati indicati nello studio di settore, ma aveva proceduto ad una ricostruzione ex novo dei risultati dell’attività. Concludevano, quindi, per la fondatezza dell’accertamento dei maggiori ricavi e del recupero dei costi indeducibili.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per la cassazione la contribuente che si è affidata a quindici motivi e ha depositato memoria.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 3bis , comma 3 della legge n. 53/1994, 6, comma 2 del d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, 53 del d.lgs. n. 546/1992 e 101 c.p.c., perché, non risultando la ricevuta di consegna della notifica a mezzo pec inviata il 27 gennaio 2023, si sarebbe dovuto rilevare l’inammissibilità dell’atto d’appello per inesistenza della notificazione con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.
1.1. Con il secondo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., la mancata rilevazione dell’omesso deposito della ricevuta di avvenuta consegna dell’appello alla parte contribuente.
1.2. Con il terzo motivo si deduce ex art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., in relazione all’art. 101 c.p.c., nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio, essendosi la sentenza di secondo grado pronunziata senza la partecipazione della contribuente e in mancanza di prova in ordine alla effettiva ricezione, da parte della stessa, dell’atto di appello.
1.3. Con il quarto motivo si deduce ex art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. violazione e/o falsa applicazione degli art. 1, comma 199 della legge n. 197/2022, 23, 30, 31 e 54 del d.lgs. n. 546/1992 nonché 101 c.p.c. e 24 Cost. per violazione del principio del contraddittorio. Osserva la ricorrente che, proposto l’appello erariale in data 27 gennaio 2023, il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 54 del d.lgs. n. 546/1992, entro il quale la società contribuente avrebbe dovuto costituirsi nel giudizio di gravame mediante deposito delle proprie controdeduzioni con contestuale (ed eventuale) proposizione di appello incidentale, scadeva nella finestra temporale 01/01/202331/10/2023 e precisamente il 28 marzo 2023. Ai sensi dell’art. 1, comma 199 della l. n. 197/2022 il termine per la costituzione dell’appellata era sospeso per undici mesi e sarebbe scaduto soltanto il 28 febbraio 2024; cosicché illegittimamente l’udienza era stata tenuta il 27 giugno 2023.
1.4. Con il quinto motivo si deduce ex art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., in relazione all’art. 101 c.p.c., nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio, poiché la discussione della causa in data 27 giugno 2023 era avvenuta in violazione del combinato disposto degli artt.1, comma 199 della l. n. 197/2022, 23, 30, 31, 34 e 61 del d.lgs. n. 546/1992.
1.5. Con il sesto motivo si lamenta ex art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. che il Collegio aveva omesso di rilevare che l’udienza di trattazione dell’appello era stata fissata prima che fosse decorso il termine per la costituzione della RAGIONE_SOCIALE e non aveva rinviato la causa a nuova data, pari o successiva al 29 marzo 2024, dovendo altresì rispettarsi il termine di cui all’art. 31 d.lgs. n. 546/1992.
1.6. Con il settimo motivo si deduce ex art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 170, comma 2 del d.P.R. n. 917/1986 perché l’accertamento aveva riguardato un periodo (2014) in cui era intervenuta la trasformazione della contribuente, da società di persone a società di capitali; l’accertamento aveva riguardato, per l’intero periodo, la società di capitali, mentre l’Agenzia avrebbe dovuto « predisporre due bilanci infrannuali al fine di determinare, ai fini fiscali, il reddito del periodo antecedente e quello del periodo successivo alla trasformazione, e l’imposizione doveva essere calcolata separatamente in relazione ai due periodi, in considerazione del modello societario proprio della società nella frazione di anno» , quindi nei confronti della RAGIONE_SOCIALE relativamente al periodo d’imposta 01/01/2014 -08/05/2014 e nei confronti della RAGIONE_SOCIALE relativamente al periodo d’imposta 09/05/2014 -31/12/2014.
1.7. Con l’ottavo motivo si lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., che i giudici avevano omesso di rilevare che in seguito alla trasformazione societaria l’accertamento doveva riguardare, separatamente, la società di persone e la società di capitali per frazione di periodo, invece era stato svolto unicamente nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per l’intero periodo d’imposta 2014.
1.8. Con il nono motivo si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 62 sexies, comma 3 del d.l. n. 331/1993, 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600/1973 e 2729 c.c., perché erroneamente i giudici d’appello hanno ritenuto che l’accertamento fosse fondato sul c.d. tovagliometro mentre si trattava di un accertamento basato in via esclusiva sulle risultanze degli studi di settore elevate a presunzione qualificata di evasione.
1.9. Con il decimo motivo si deduce ex art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. che i giudici avevano omesso di rilevare, da un lato, che l’ufficio non aveva corroborato aliunde le risultanze degli studi di settore e, dall’altro lato, che la società contribuente aveva fornito elementi che facevano emergere l’inattendibilità di queste ultime.
1.10. Con l’undicesimo motivo si deduce ex art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c. vizio della sentenza per travisamento di un fatto storico, laddove la CGT individua quale motivazione dell’accertamento il c.d. tovagliometro mentre dall’atto impositivo emerge un accertamento basato sullo studio di settore.
1.11. Con il dodicesimo motivo si deduce ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c. violazione e/o falsa applicazione dell’art. 109 del d.P.R. n. 131/1986 riguardo ai costi ritenuti indeducibili, essendo provata l’inerenza degli stessi.
1.12. Con il tredicesimo motivo si deduce ex art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. che i giudici avevano omesso di rilevare che, secondo « la documentazione e le argomentazioni spese dalla società contribuente nel corso del giudizio» , i costi contestati erano documentati e inerenti.
1.13. Con il quattordicesimo motivo si deduce ex art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c. nullità della sentenza per apparenza della sua motivazione in relazione ai costi, con violazione degli articoli 111 della Costituzione, 6 della CEDU, 112 e 132, comma 1, n. 4 c.p.c., 118, comma 1, disp. att. c.p.c. e 36 del d.lgs. n. 546/1992.
1.14. Con il quindicesimo motivo si deduce ex art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c. violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia in ordine all’eccepita illegittimità dell’avviso per violazione del generale diritto al contraddittorio « presidiato dall’art. 24 della Costituzione» .
I motivi dal primo al terzo possono essere esaminati congiuntamente, concernendo la medesima questione sotto diversi profili, e sono inammissibili oltre che infondati.
2.1. Si denunciano errores in procedendo , da ricondursi al paradigma censorio di cui al n. 4 dell’art. 360 comma 1 c.p.c., e non al n. 3 ( error in iudicando ) né al n. 5 (che attiene a vizi motivazionali della sentenza), in ordine ai quali va rammentato il principio secondo cui la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi ( ex multis , Cass. n. 28072 del 2021). Le Sezioni Unite osservano che è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il ‘fatto processuale’ di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale. Infatti, il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli (Cass., sez. un., n. 5640 del 2019).
2.2. La denunzia di un error in procedendo , quindi, è condizionata, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente il rinvio per relationem agli atti della fase di merito dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca tra gli atti di causa, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass. n. 15367 del 2014).
2.3. Va sottolineato, a questo proposito, che il principio di autosufficienza, che impone l’indicazione espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda, va inteso nel
senso che occorre specificare anche in quale sede processuale il documento risulta prodotto, poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportarne il contenuto e dire dove nel processo esso è rintracciabile, sicché la mancata “localizzazione” del documento basta per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, senza necessità di soffermarsi sull’osservanza del principio di autosufficienza dal versante contenutistico (Cass. n. 28184 del 2020).
2.4. In questo caso, la deduzione appare assai carente con riguardo al profilo dell’autosufficienza. La ricorrente si limita ad osservare che « Dalla consultazione del fascicolo telematico del grado di appello si evince l’esistenza della sola ricevuta di accettazione della pec che il 27 gennaio 2023 l’Agenzia delle Entrate di Bolzano ha indirizzato al difensore e domiciliatario della società contribuente nel giudizio di primo grado, dott. NOME COGNOME recante la comunicazione dell’atto di appello avverso la sentenza ad essa sfavorevole pronunciata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bolzano », però non riporta né indica con precisione le risultanze processuali su cui si fonda la doglianza.
2.5. Le censure risultano pure infondate perché la controricorrente ha allegato interrogazione SIGIT comprovante l’avvenuto deposito telematico in data 2 febbraio 2023 del fascicolo di parte appellante (l’Ufficio) che conteneva, oltre all’appello, alla sentenza impugnata e alla ricevuta di accettazione della notifica via pec, anche la ricevuta di consegna della stessa pec in data 27 gennaio 2023 all’indirizzo del difensore domiciliatario in primo grado, come da copia depositata; la stessa ricorrente, nella sua successiva memoria, riconosce di non aver preso direttamente visione del fascicolo d’ufficio ma di aver soltanto esaminato le copie degli atti inviati dalla Segreteria della Corte di merito, tra le quali non risultava quella della ricevuta di consegna della pec.
Anche i motivi dal quarto al sesto possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati.
3.1. La ricorrente denunzia ulteriori errores in procedendo, fondati sulla violazione dell’art. 1 comma 199 della l. n. 197/2022, in tema di definizione agevolata delle liti fiscali pendenti, secondo cui « Per le controversie definibili sono sospesi per undici mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonché per la proposizione del controricorso in cassazione che scadono tra la data di entrata in vigore della presente legge e il 31 ottobre 2023 », senza distinguere la costituzione in giudizio dell’appellato dalla proposizione dell’impugnazione incidentale. La invocata sospensione riguarda i « termini di impugnazione, anche incidentale», e il termine per la proposizione di controricorso nel giudizio di cassazione, ma non quello relativo alla costituzione in grado d’appello che, quindi, deve essere effettuata comunque nel termine di sessanta giorni dalla notifica del gravame, come previsto dal combinato degli artt. 54 comma 1 e 23 d.gs. n. 546/1992, e ciò al fine di evitare la decadenza della parte dalla facoltà di svolgere le attività processuali legate alla costituzione (Cass. n. 947 del 2019).
3.2. In questo caso l’udienza di trattazione è stata fissata nel rispetto sia del termine per la costituzione dell’appellato sia di quello dilatorio di cui all’art. 31 cit., secondo quanto risulta dalle deduzioni della controricorrente. Con la trattazione e decisione della causa prima della scadenza del termine derivante dalla sospensione ex art. 1 comma 199 cit. è rimasta preclusa soltanto la possibilità di un appello incidentale ma in termini puramente astratti, perché l’appellata era stata integralmente vittoriosa nel giudizio di primo grado; la stessa, oltretutto, aveva ricevuto comunicazione della fissazione d’udienza, indirizzata al difensore costituitosi per la società nel giudizio di primo grado, restando comunque inerte. Osta all’accoglimento della doglianza il generale principio secondo cui l’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte
in dipendenza del denunciato error in procedendo (cfr. Cass. n. 30652 del 2011; Cass. n. 7108 del 2008; Cass. n. 2948 del 2006).
Sono inammissibili il settimo, l’ottavo e il quindicesimo motivo, relativi a questioni che non risultano decise dal giudice di primo grado e che dovevano essere riproposte con la costituzione in appello, intendendosi altrimenti rinunziate, come previsto dall’art. 56 d.lgs. n. 546/1992, che « riguarda, nonostante l’impiego della generica espressione “non accolte”, non le domande o le eccezioni respinte in primo grado, bensì solo quelle su cui il giudice non abbia espressamente pronunciato (ad esempio, perché ritenute assorbite), non essendo ipotizzabile, in relazione alle domande o eccezioni espressamente respinte, la terza via -riproposizione/rinuncia -rappresentata dagli artt. 56 del detto d.lgs. e 346 c.p.c., rispetto all’unica alternativa possibile dell’impugnazione -principale o incidentale -o dell’acquiescenza, totale o parziale, con relativa formazione di giudicato interno» (Cass. n. 14534 del 2018; Cass. n. 7702 del 2021); l’equiparazione della mancata riprop osizione alla rinunzia deve ritenersi operante anche in caso di mancata costituzione dell’appellato.
Sono inammissibili, per difetto di autosufficienza, e comunque infondati i motivi dal nono all’undicesimo, che possono essere esaminati congiuntamente, ruotando tutti intorno alla medesima questione: la CGT avrebbe errato nel qualificare l’accertamento come analitico -induttivo trattandosi invece di accertamento fondato sugli studi di settore, per il quale era necessario lo svolgimento di apposito contraddittorio endoprocedimentale con la contribuente.
5.1. Difetta la completa trascrizione dell’avviso di accertamento e lo stralcio riportato non conferma l’assunto censorio. Secondo quanto riportato in ricorso, l’avviso riferiva che « i verbalizzanti hanno proceduto a ricostruire i ricavi sulla base del numero dei coperti presuntivamente serviti a seguito dell’utilizzo dei tovaglioli…Tuttavia, valutato che tale risultato poteva essere stato influenzato da diverse variabili, che non potevano essere prese appieno in considerazione (p. es mancanza dei tovaglioli tra le rimanenze di magazzino,
partecipazione al ‘langer Donnerstag’ durante il periodo estivo etc.) i verbalizzanti hanno ritenuto più opportuno effettuare un’ulteriore ricostruzione analitico/induttiva dei ricavi, ovvero sulla base dello studio di settore rielaborato…Pertanto…si è provveduto a rielaborare lo studio di settore presentato dalla società verificata unitamente all’Unico SC/2015, modificando i dati relativi alla percentuale di lavoro prestata dai soci, al numero dei posti a sedere ed al prezzo massimo del menu. L’esito dello studio di settore ha evidenziato la non congruità dei ricavi dichiarati e quantificato maggiori ricavi in euro 59.315,00 » (v. pag. 4 dell’avviso di accertamento).
5.2. Non emerge che l’accertamento sia stato fondato esclusivamente sullo studio di settore ma pare, invece, che lo studio sia stato utilizzato nei limiti in cui confermava e validava il c.d. ‘tovagliometro’ (il cui utilizzo è legittimo, Cass. n. 8822 del 2019): come si ricava dalle precisazioni della controricorrente, « i maggiori ricavi determinati con metodo analitico induttivo erano pari ad euro 169.893,20 (827.859,20 accertati meno i dichiarati 657.966) mentre quelli quantificati rielaborando lo studio di settore erano pari ad euro 59.315» e furono posti a base dell’accertamento. Non vi è stato, quindi, alcun travisamento dei fatti da parte della CGT laddove ha osservato che l’accertamento aveva un impianto analitico induttivo ed era stato giustificato da « anomalie » estranee allo studio di settore e non dallo scostamento dei redditi dichiarati rispetto a quelli risultanti dal metodo standardizzato: « il reddito della legale rappresentante era del tutto incongruo per soddisfare le esigenze di una famiglia comprendente anche dei figli in tenera età, considerato che il marito lavorava nell’azienda e non percepiva ufficialmente alcun emolumento; – il tenore di vita della famiglia era di molto superiore al reddito dichiarato – in molteplici occasioni, a fronte di pagamenti elettronici, non erano stati emessi i relativi documenti fiscali».
5.3. Si è trattato, cioè, di un accertamento di tipo analitico induttivo in cui sono confluiti elementi desunti dal metodo standardizzato, metodologia ammessa dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui « l’Amministrazione finanziaria può – ai sensi
dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 -fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili ‘dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta’ sia sugli studi di settore, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente » (Cass. n. 16430 del 2011; Cass. n. 33340 del 2019). Pertanto, non trova applicazione il principio in materia di accertamento basato esclusivamente su studi di settore, secondo cui questi costituiscono meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività e richiedono il contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente (Cass. sez. un. n. 26635 del 2009).
Possono essere esaminati congiuntamente anche il dodicesimo, il tredicesimo e il quattordicesimo motivo, con cui si censura la statuizione del giudice d’appello che ha ritenuto la fondatezza del recupero dei costi per euro 19.992,45 ritenuti indeducibili in quanto risultanti da « fatture carenti dei requisiti di cui all’art. 109, comma 5, del D.P.R. n. 917/86 ». Anche tali motivi vanno disattesi.
6.1. La CGT ha osservato che i costi « in parte, non erano documentati ed in parte erano palesemente privi del requisito dell’inerenza (così, ad esempio, i costi relativi ad un viaggio di svago imputato alla società) »; si tratta di motivazione sintetica che attinge però il c.d. minimo costituzionale rendendo intelligibili le ragioni della decisione, cosicché è infondato il quattordicesimo motivo. Come noto, non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2,
n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022). Questa Corte ha, altresì, precisato che « la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture » (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica in modo da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento).
6.2. E’ inammissibile il tredicesimo motivo, con cui si richiede esplicitamente la rivalutazione di materiale istruttorio e degli argomenti difensivi, questi ultimi da intendersi rinunziati ai sensi dell’art. 56 cit. perché non riproposti (v. par. 4). Invero, la censura di cui al n. 5 dell’art. 360 comma 1 c.p.c. deve riguardare un fatto storico, principale o secondario, ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico- naturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali, che ha costituito oggetto di discussione tra le parti e ha carattere decisivo (Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017), senza che possano considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di
merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio ( ex multis , v. Cass. n. 10525 del 2022; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 5795 del 2017).
6.3. Infine, è inammissibile anche il dodicesimo motivo. In disparte la carenza di autosufficienza della doglianza, formulata in termini estremamente generici, va osservato che attraverso il paradigma della violazione di legge in realtà si richiede una rivalutazione di elementi di fatto, deducendosi che la società contribuente aveva comunque fornito prova (ma non si precisa quale) in ordine alla sussistenza del requisito dell’inerenza dei costi contestati, relativi a spese per indumenti utilizzati dal personale, spese per corsi di aggiornamento, per viaggi ai fini della frequenza di corsi di cucina nonché per « l’acquisto di cuffie e software». In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione ( ex multis Cass., n. 26110 del 2015); ancora si rileva che « Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio
convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione » (Cass. n. 9097 del 2017).
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 26/09/2024.