Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1273 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1273 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28961/2016 R.G. proposto da : COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELL’EMILIA ROMAGNA n. 1562/2016 depositata il 09/06/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal Consigliere COGNOME
Fatti di causa
NOME COGNOME impugnava l’avviso di accertamento mediante il quale l’Agenzia, con riferimento al 2006, sulla base degli studi di settore appurava maggiori ricavi, conseguentemente recuperando importi a titolo di Irpef, Irap e Iva, con irrogazione di sanzioni.
La CTP di Forlì rigettava il ricorso del contribuente, il quale insisteva nell’asserire la natura modesta della propria attività di elettricista, indirizzata per lo più a privati.
Non miglior sorte assisteva l’appello di NOME COGNOME del pari respinto dalla CTR dell’Emilia -Romagna. Il giudice d’appello, nel rigettare l’appello del contribuente, ha evidenziato che: a) dall’esame della contabilità erano emerse discrasie tra quanto dichiarato dal contribuente (attività svolta in favore di privati) e le fatture emesse, per lo più in favore di società commerciali (50 fatture su 51); b) erano riscontrabili anomalie nella fatturazione, con tempi di emissione delle fatture limitati ad alcuni periodi; c) tenuto conto delle anomalie della contabilità, il COGNOME non aveva offerto alcuna prova contraria idonea a contrastare l’assunto erariale.
Il ricorso del contribuente è affidato a tre motivi, illustrati da memoria. L’Agenzia resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 39, co. 2, lett. d, d.P.R. n. 600 del 1973 nonché degli artt. 2697 e 2729 c.c. e -parallelamente -l’omessa considerazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.c. di un fatto decisivo del giudizio e oggetto di discussione tra le parti. In buona sostanza, il contribuente adombra l’assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti per la ricostruzione induttiva del reddito, contestando la validità delle presunzioni poste a base del ragionamento della CTR.
Il COGNOME contesta, sia sotto il profilo della contrarietà a norme di legge, sia sotto l’aspetto del deficit motivazionale, l’avvenuto ricorso all’accertamento analitico -induttivo in considerazione della regolare tenuta della contabilità e della conseguente, disattesa necessità di riscontrare presunzioni gravi, precise e concordati ai fini del ricorso a detto metodo accertativo.
Il motivo è inammissibile.
L’inammissibilità della censura è vistosa nella parte in cui essa adduce l’esistenza di un vizio di motivazione. Giova rammentare, infatti, che ‘ Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ‘ (Cass. n. 5947 del 2023; Cass. n. 26774 del 2016). La divaricazione fra le ragioni sottese alla decisione di primo grado e a quella d’appello non sono state in alcun modo enucleate.
L’inammissibilità è palese anche nella porzione in cui il motivo in esame asserisce la violazione di legge.
La CTR ha, infatti, compiuto uno specifico accertamento di fatto, nell’esercizio del sindacato di merito ad essa riservato, mettendo in risalto un preciso quadro indiziario: ‘ la sussistenza, pressoché per l’intero, di fatture emesse a debito di società commerciali’ , a fronte di un’esposta ‘ dimensione artigianale medio-piccola ‘; la peculiarità dei ‘ tempi delle fatturazioni’ , effettuate ‘ in corrispondenza soltanto di particolari periodi dell’anno ‘; la contraddizione fra l’ostentata clientela ‘medio -piccola’ e la sintomatica evidenza di fatture verso società commerciali.
In sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso (Cass. n. 3541 del 2020).
In altri termini, la violazione delle norme sulle presunzioni è censurabile, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., solo ‘ se risulti che, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice si sia limitato a negare valore indiziario a singoli elementi acquisiti in giudizio, senza accertarne l’effettiva rilevanza in una valutazione di sintesi ‘ (Cass. n. 10973 del 2017).
Con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c., spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso
da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (Cass. n. 22366 del 2021).
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 39, co. 2, lett. d, d.P.R. n. 600 del 1973 e, nel contempo, l’omessa considerazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.c. di un fatto decisivo del giudizio e oggetto di discussione tra le parti. Ad essere stigmatizzati dal contribuente sono i criteri applicati dall’Ufficio per la rideterminazione induttiva del reddito.
Il motivo è inammissibile.
La CTR ha disatteso nel merito le censure avanzate dal contribuente in ambito di criteri impiegati; il COGNOME nell’odierna sede insiste sulla incongruità dei criteri avallati dalla CTR, senza peraltro chiarire neppure la ratio alla base della perorata applicabilità di una ‘ percentuale di sfrido al 31,25% ‘ e trascurando, nel contempo, di illustrare circostanze specifiche a supporto di quanto espone.
A venire in apice è, dunque, l’evidente tentativo del contribuente, esorbitando dai paradigmi dei vizi di cui ai nn. 3 e 5 c.p.c., di addivenire ad una diversa ricostruzione del merito della controversia, preclusa in questa sede.
Mette punto, d’altronde, evidenziare che le circostanze di fatto dedotte dal contribuente -oltre ad essere del tutto prive di autosufficienza e specificità quanto alle fatture -non sono state neppure esaminate dalla CTR.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. art. 39, co. 1, lett. d, d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 62 -sexies d.l. n. 33 del 1993 e dell’art. 2697 c.c.; nel contempo, si censura l’omessa considerazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.c. di un fatto decisivo del giudizio e
oggetto di discussione tra le parti. In buona sostanza, si contesta il ricorso all’accertamento analitico -induttivo pur a fronte di ricavi e corrispettivi ‘ risultati coerenti con gli studi di settore ‘. Il punto di vista del contribuente è teso a rimarcare la sostanziale congruità con gli studi di settore.
Il motivo è infondato.
Esso si fonda, in effetti, su di una circostanza -la congruità con gli studi di settore -manifestamente irrilevante.
Non vi è violazione dalla norma applicata, che è l’art. 39, co. 1, lett. d, d.P.R. n. 600 del 1973.
L’Agenzia ha, infatti, compiuto un giudizio di complessiva o intrinseca inattendibilità delle scritture contabili, ancorché formalmente corrette, conseguentemente procedendo con il metodo analitico-induttivo, che consente valutazioni sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, proprio ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973.
Alla base dell’accertamento è stato posto, alteris verbis , proprio l’evocato art. 39, co. 1, lett. d), che pur consente l’accertamento in rettifica, in presenza di scritture regolarmente tenute e tuttavia contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti.
Come già evidenziato, la CTR ha valorizzato il preciso quadro indiziario, di seguito riassunto: ‘ la sussistenza, pressoché per l’intero, di fatture emesse a debito di società commerciali’ , a fronte di un’esposta ‘ dimensione artigianale medio-piccola ‘; la peculiarità dei ‘ tempi delle fatturazioni’ , effettuate ‘ in corrispondenza soltanto di particolari periodi dell’anno ‘; la contraddizione fra l’ostentata clientela ‘medio -piccola’ e la sintomatica evidenza di fatture verso società commerciali.
Per converso, l’Agenzia non ha proceduto alla rettifica fiscale sensi dell’art. 62 sexies del d.l. 30 agosto 1993 n. 331 (conv., con modif., dalla legge n. 427 del 1993), non essendosi peritata di valorizzare, nell’economia dell’accertamento, l’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’articolo 62-bis del decreto legge or ora citato.
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza sulla base del valore della controversia.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio, che liquida in euro 2.400,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12/09/2024.