Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16097 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16097 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9922-2017 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. prof. NOME COGNOME (pec: EMAILordineavvocatiromaEMAIL) ;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6131/39/2016 della Commissione tributaria regionale del LAZIO, Sezione staccata di LATINA, depositata in data 18
Oggetto:
TRIBUTI – accertamento analiticoinduttivo
ottobre 2016; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del l’11 aprile 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia ha ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso ai sensi degli artt. 41-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 d.P.R. n. 633 del 1972 con cui l’amministrazione finanziaria accertava nei confronti di NOME COGNOME titolare di una ditta esercente l’attività di commercio di elettrodomestici, un maggior reddito d’impresa e maggiori ricavi per l’anno d’imposta 1999 sulla scorta dei dati ricavati dalla documentazione extracontabile (block notes) rinvenuta in sede di verifica e di verifiche delle movimentazioni dei conti correnti intestati al contribuente, compendiati nel processo verbale di constatazione del 5/02/2000 . L’Ufficio ricostruiva il volume di affari della ditta contribuente su base induttiva, considerando le rimanenze iniziali e quelle finali e gli acquisti dei beni destinati alla rivendita, applicando un ricarico medio ponderato del 62,06 per cento.
Il contribuente impugnava l’atto impositivo dinanzi alla CTP di Latina che con la sentenza n. 230 /08/2005 annullava l’atto impositivo e l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate veniva rigettato dalla CTR con sentenza n. 107/40/2007. Il ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle entrate veniva deciso da questa Corte con la sentenza n. 20424 del 26 settembre 2014.
2.1. Si legge in tale sentenza che « Deducendo fra l’altro la nullità dell’avviso per difetto di motivazione, proponeva ricorso il contribuente innanzi alla CTP, che accoglieva la domanda, sia pur respingendo il motivo del difetto di motivazione. Proponevano appello principale l’Ufficio e appello incidentale, relativamente al mancato accoglimento del motivo di nullità per difetto di motivazione, il contribuente. La Commissione Tributaria Regionale del Lazio rigettava
l’appello principale e accoglieva quello incidentale. L’appello principale veniva rigettato sulla base della seguente motivazione: sono state disattese le scritture contabili risultate regolarmente tenute perché si è fatto ricorso all’accertamento induttivo sulla base di presunzioni semplici non aventi i requisiti di legge; la percentuale di ricarico applicato, riprendendo di qui in poi i passi della pronuncia di primo grado, risulta ottenuta prendendo a base soltanto un campione di articoli, calcolando l’incidenza dei prodotti venduti sul fatturato sulla base delle quantità presenti in magazzino all’atto della verifica; sono stati considerati i prezzi di listino, quasi mai applicati, e non sono stati considerati gli sconti; il procedimento ed i risultati sono privi di certezza, precisione e concordanza. L’appello incidentale veniva accolto sulla base del fatto che non risultava specificato nell’avviso di accertamento quale fosse stata la fattispecie (primo o secondo comma dell’art. 39, dpr 600/73) utilizzata ai fini dell’accertamento ».
Con la citata sentenza questa Corte accoglieva tre dei cinque motivi di ricorso proposti dall’Agenzia delle entrate, dichiara ndo inammissibili gli altri due, con cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvio al giudice di merito.
3.1. Nello specifico, questa Corte:
-) accoglieva il primo motivo di ricorso incentrato sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 42 d.p.r. 600/73 e 56 d.p.r. 633/72 ritenendo che per l’integrazione del requisito motivazionale dell’avviso di accertamento non fosse necessaria l’indicazione materiale dell’articolo e del comma di legge violato, essendo sufficiente l’individuazione dei presupposti di fatto e giuridici che giustificano l’atto impositivo, così come risultanti dall’avviso impugnato;
-) accoglieva il terzo motivo di ricorso, incentrato sul difetto di motivazione della sentenza d’appello, rilevando che «il giudice del gravame, ritrascrivendo taluni passaggi della sentenza di primo grado
contenenti apprezzamenti circa la percentuale di ricarico applicata, si è uniformato alle valutazioni del primo giudice, ma non ha fornito le ragioni della detta condivisione. La motivazione è quindi insufficiente perché non dà conto del procedimento logico perseguito dal giudice nel disattendere il motivo di appello»;
-) accoglieva il quarto motivo di ricorso con cui, denunciandosi l’ omessa motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., la ricorrente aveva lamentato che « a fronte delle circostanze di fatto evidenziate nell’atto di appello, ed in particolare l’assenza di riscontro in contabilità delle ingenti movimentazioni bancarie e l’anti-economicità del ricarico nell’anno 1999 nel quale le vendite appaiono sottocosto, la CTR si è limitata ad affermare che la contabilità era regolare, ma soprattutto, senza esaminare le circostanze evidenziate e precisare le ragioni, si è limitata a rilevare che le presunzioni erano prive dei requisiti legali (ed a fare, infine, confuse considerazioni sul metodo di calcolo della percentuale di ricarico) ». Sosteneva questa Corte che « In ordine alla circostanza di fatto costituita dall’assenza di riscontro nella contabilità ufficiale di ingente movimentazione bancaria ed a quella dell’antieconomicità del ricarico nell’anno 1999, il giudice del merito ha omesso di motivare. Né può ritenersi che sulla circostanza il giudice abbia motivato considerando quanto affermato in sentenza, e cioè che “sono state disattese le scritture contabili risultate regolarmente tenute, perché si è fatto ricorso all’accertamento induttivo sulla base di presunzioni semplici non aventi i requisiti di legge”. L’affermazione non fa venir meno la deduzione del vizio di omessa motivazione sia perché il rilievo dell’obliterazione delle scritture contabili non rappresenta una confutazione della circostanza di fatto sopra evidenziata, sia perché l’altro rilievo, secondo cui le presunzioni semplici non avrebbero i requisiti di legge, ha carattere circolare, non
risultando illustrate le ragioni del perché mancherebbero i detti requisiti di legge »;
-) dichiarava inammissibile il secondo motivo di ricorso con cui, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d) d.p.r. 600/73 e 54, comma 2, d.p.r. 633/72, la ricorrente aveva dedotto che « l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui erano state disattese le scritture contabili regolarmente tenute non teneva conto del fatto che le risultanze dei conti bancari ed in genere extracontabili, prive di riscontri nella contabilità ufficiale, costituivano indizi gravi, precisi e concordanti dell’esistenza di un maggior imponibile ». Secondo questa Corte « L’affermazione della sentenza impugnata, citata nel motivo in esame, non coglie in modo completo il passaggio motivazionale. Nella sentenza si afferma infatti che “sono state disattese le scritture contabili risultate regolarmente tenute, perché si è fatto ricorso all’accertamento induttivo sulla base di presunzioni semplici non aventi i requisiti di legge” e perché la percentuale di ricarico risulta ottenuta in modo non corretto. Così ricostruita, in modo completo, la ratio decidendi, la sentenza non appare in violazione della norma che consente l’accertamento induttivo extracontabile dei redditi di impresa, in quanto ciò che il giudice di merito afferma è la non conformità a legge delle presunzioni semplici in concreto adoperate allo scopo di disattendere le scritture contabili e la non correttezza della percentuale di ricarico »;
-) infine, dichiarava inammissibile il quinto motivo, proposto in via subordinata, con cui la ricorrente lamentava « che la CTR, una volta che aveva ritenuta non corretto la percentuale di ricarico, non poteva limitarsi all’annullamento dell’avviso, ma doveva quantificare la pretesa tributaria, in quanto il giudice tributario è giudice del rapporto tributario e, come tale, deve emettere una decisione di
merito sostitutiva dell’accertamento». Sosteneva questa Corte che «Il motivo, oltre che risultare assorbito per il fatto che risultano accolti i motivi proposti in via principale, è anche inammissibile, perché privo di relazione con la sentenza, che ha accolto l’appello incidentale avente ad oggetto il vizio formale del difetto di motivazione dell’avviso di accertamento ».
A seguito di riassunzione della causa ad opera del contribuente, la CTR pronunciava la sentenza in epigrafe indicata con cui accoglieva l’appello dell’Ufficio .
4.1. I giudici di appello, dopo aver premesso:
-) che questa Corte nella sentenza di rinvio aveva rilevato che « la sentenza di II^ grado è viziata perché il giudice di appello ha riportato alcune parti della sentenza di primo grado, condividendole, ma senza esternarne il motivo»; «In particolare, ha evidenziato come il giudice di II^ grado abbia omesso di motivare in ordine ai due profili dell’essenza di riscontro nella contabilità ufficiale di ingente movimentazione bancaria e dell’antieconomicità del ricarico nell’anno 1999 » e « ha sottolineato come il giudice di II^ grado abbia tratto conseguenze errate dalla circostanza che “le scritture contabili sono risultate regolarmente tenute” ed abbia sbagliato nel ritenere che “l’accertamento induttivo si è basato su presunzioni semplici, non aventi i requisiti di legge” »;
-) che non era condivisibile la tesi sostenuta dal contribuente secondo cui dalla dichiarata inammissibilità del secondo e quinto motivo di ricorso per cassazione si potesse desumere la nullità dell’avviso di accertamento in quanto la Suprema Corte, pur avendo ritenuto inammissibili tali motivi, aveva comunque dichiarato che la sentenza impugnata era affetta da carenza assoluta di motivazione ed aveva inoltre rilevato « che “a fronte delle circostanze di fatto evidenziate nell’atto di appello, ed in particolare l’assenza di riscontro
in contabilità delle ingenti movimentazioni bancarie e l’antieconomicità del ricarico nell’anno 1999 nel quale le vendite appaiono sottocosto, la CTR si è limitata ad affermare che la contabilità era regolare, ma soprattutto, senza esaminare le circostanze evidenziate e precisare le ragioni, si è limitata a rilevare che le presunzioni erano prive dei requisiti legali (ed a fare, infine, confuse considerazioni sul metodo dì calcolo della percentuale di ricarico)” »;
-) che la cassazione della (prima) sentenza d’appello per difetto di motivazione (in accoglimento del terzo motivo di ricorso) e per avere la prima CTR, con riferimento « all’assenza di riscontro in contabilità delle ingenti movimentazioni bancarie e nell’antieconomicità del ricarico nell’anno 1999 nel quale le vendite appaiono sottocosto », omesso di « esaminare le circostanze evidenziate e precisare le ragioni, si è limitata a rilevare che le presunzioni erano prive dei requisiti legali (ed a fare, infine, confuse considerazioni sul metodo di calcolo della percentuale di ricarico)” », comportava « la piena titolarità di questo giudice ad esaminare i motivi di appello proposti dall’Agenzia avverso la sentenza di primo grado »;
ha affermato:
-) che la questione, posta dal contribuente, circa il «passaggio in giudicato della sentenza della CTR di Roma, n. 107/40/07, relativamente alla pronuncia di nullità dell’avviso di accertamento per violazione degli artt. 41 bis del d.p.r. n. 600 del 1973 e 54 del d.p.r. n. 633 del 1972», era infondata alla stregua della pronuncia cassatoria di questa Corte, sopra indicata , di rigetto dell’eccezione sollevata in quella sede dal controricorrente Vena;
-) che la questione, posta dal contribuente, circa il difetto di motivazione dell’atto impositivo impugnato per mancata specificazione in esso « di quale fattispecie (dell’art. 39 dpr 600/73-1°
comma o 2° comma) fosse stata utilizzata, ai fini dell’accertamento », era stata superata dalla statuizione resa di questa Corte;
-) che, sulla « sotto-questione » posta dal contribuente circa la legittimità del ricorso dell’Agenzia all’istituto dell’accertamento parziale, di cui agli artt. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, doveva «essere riconosciuta la piena legittimazione dell’Agenzia all’utilizzo di tale strumento» alla stregua della giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 27323/2014; n. 3279/2016, n. 2198/2015);
-) che « la contestata illegittimità dell’avviso di accertamento, in quanto fondato su presunzioni semplici» era infondata in quanto, alla stregua dei principi affermati da questa Corte nelle pronunce n. 6949/2006, n. 11459/2001 e n.17817/2007, « ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett b) del DPR 600/73 e dell’art. 54, comma 2, del DPR 633/72, costituiscono indizi gravi precisi e concordanti della sussistenza di maggiori redditi e maggiori operazioni imponibili i dati rinvenuti nella documentazione extracontabile (block notes e assegni) rinvenuta in sede di verifica della Guardia di Finanza e le risultanze dei conti correnti bancari del titolare della ditta »;
-) che « nonostante la regolarità formale della predetta contabilità», erano «emersi due rilevanti elementi fattuali, dei quali non sono state fornite adeguate spiegazioni. Il primo elemento è costituito dalla rilevante movimentazione bancaria intestata al titolare della ditta; il secondo dalla documentazione extracontabile rinvenuta in sede di verifica. Tali fatti costituiscono senz’altro indizi gravi, precisi e concordanti per fondare una presunzione di occultamento di utili aziendali. A tali elementi, inoltre, si affianca anche la rilevazione di una percentuale di ricarico poco remunerativa o addirittura in perdita per una annualità »;
-) che anche il motivo di appello proposto con riferimento alla
quantificazione del reddito accertato era infondato.
4.1.1. Al riguardo, precisa la CTR:
-) che « Dalle operazioni di verifica fiscale si evince che gli accertatori avevano ricostruito il reddito sulla base delle giacenze iniziali, degli acquisti effettuati e delle rimanenze finali, risultanti dalla documentazione contabile. Tali dati erano serviti per quantificare il costo del venduto (senza ricarico). In particolare, era emerso che, dalla differenza tra il costo del venduto (pari a lire 286.406.623 per il 1997; lire 307.561.300 per il 1998 e lire 521.387.498 per il 1999) ed i ricavi dichiarati desunti dalle vendite (lire 335.583.054per il 1997; lire 362.202.391 per il 1998 e lire 358.256.254 per il 1999), era stata applicata la percentuale di ricarico del 17,05% per il 1997, del 6% per il 1998, mentre nel 1999 le vendite erano risultate sottocosto di lire 163.131.244. Considerato che tali percentuali di ricarico erano apparse non remunerative, la Guardia di Finanza aveva proceduto al calcolo della percentuale di ricarico secondo la media ponderata dei beni più significativi, per i quali era stata calcolata anche la percentuale di incidenza del costo totale dei singoli prodotti rispetto al costo complessivo »;
-) che, alla stregua dei principi affermati da Cass. n. 1839/2014, secondo cui l’applicazione da parte del contribuente di «una percentuale di ricarico molto bassa rispetto alla media di settore, costituisce un grave indizio di evasione e rende pienamente legittimo il ricorso all’accertamento analitico-induttivo», senza che in tal caso il contribuente possa invocare la correttezza delle scritture contabili, «essendo invece tenuto a contestare punto su punto la nuova ricostruzione della materia imponibile effettuata dall’ufficio», nonché da Cass. n. 12285/2015, secondo cui «Il criterio del ricarico medio percentuale degli anni precedenti è inidoneo a fondare l’accertamento presuntivo, allorquando si verifichino eventi particolarmente
significativi nell’esercizio dell’impresa, quali la liquidazione dei beni e la successiva cessione dell’azienda, i quali risultano idonei a giustificare una percentuale di ricarico sensibilmente inferiore alla media», nel caso di specie il contribuente , su cui gravava l’onere di provare una diversa percentuale di ricarico, non essendo sufficiente « la generica affermazione che la prassi commerciale consenta di praticare sconti al cliente, ma occorre indicare specificamente in quali casi siano stati effettuati sconti », non aveva rappresentato « circostanze dalle quali si potesse desumere un fenomeno di liquidazione delia merce ».
Avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati con memoria, cui non replica l’Agenzia intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la «violazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 cod.civ. oltre agli artt. 327 c.p.c. e 51, comma 1 del d.lgs. n. 546/1992 (art. 360, n.3 c.p.c.) per aver i giudici della CTR Roma in sede di riassunzione disatteso l’eccezione sul passaggio in giudicato della sentenza della CTR Roma n. 107/40/07 relativamente alla pronuncia di nullità dell’avviso di accertamento per violazione degli artt. 41 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 non sussistendo nel caso di specie i requisiti fissati per tale tipologia di accertamento ed essendo tale accertamento coperto da un giudicato implicito».
1.1. Sostiene il ricorrente che l’Agenzia delle entrate nel proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 107/40/2007 della CTR del Lazio non aveva impugnato la statuizione, pure in essa contenuta, di illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione delle norme relative all’accertamento cd. parziale e che, pertanto, aveva errato il giudice d’appello, in sede di rinvio operato da questa Corte con la
sentenza n. 20424/ 2014, a rigettare l’eccezione di giudicato riproposta in sede di riassunzione.
1.2. Il motivo è manifestamente infondato in quanto omette di considerare, pur citandone il passaggio, che questa Corte nella sentenza sopra indicata , esaminando l’eccezione «di passaggio in giudicato della sentenza impugnata relativamente alla pronuncia di nullità dell’avviso di accertamento per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54» proposta dal controricorrente nel ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della CTR n. 107 /4072007, l’aveva rigettata sul rilievo che la sentenza d’appello era stata impugnata «anche sotto tale aspetto, come si evince dal primo motivo di impugnazione».
Con il secondo motivo viene dedotta la «violazione degli artt. 41 bis del d.P.R. n.600 del 1973 e 54 del d.P.R. n.633 del 1972 (art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.) per aver i giudici della CTR Roma in sede di riassunzione ritenuto legittimamente posto in essere l’accertamento basato solo su elementi presuntivi di maggiori imposte con una modalità riconducibile a quella di cui agli artt. 39, comma 1 lettera d) del d.P.R. n.600 del 1973 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972. Violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.) da parte della CTR Roma per non aver valutato la legittimità del metodo di accertamento ex art. 41-bis del d.P.R. n.600/1973 dichiarato dall’Ufficio nell’avviso di accertamento avendo invece limitato l’oggetto della decisione alla constatazione dell’avvenuta applicazione del diverso metodo ex artt. 39, comma 1, lettera d) del d.P.R. n.600/1973 e 54 del d.P.R. n.633/1972».
2.1. I due profili di censura prospettati nel motivo in esame sono entrambi infondati.
2.2. I giudici di appello, diversamente da quanto si sostiene nel motivo in esame con riferimento alla violazione dell’art. 112 cod. proc.
civ., hanno esaminato quella che hanno definito una « sottoquestione » (par. 6.1.2. della sentenza impugnata) proposta nell’ambito del profilo relativo « alla individuazione della norma utilizzata per l’accertamento » ed hanno espressamente pronunciato sul punto affermando che doveva « essere riconosciuta la piena legittimazione dell’Agenzia all’utilizzo di tale strumento » alla stregua della giurisprudenza di questa Corte.
2.3. Al riguardo hanno richiamato le pronunce di questa Corte n. 27323/2014, n. 3279/2016 e n. 21984/2015 (erroneamente indicata come n. 2198/2015) e, quest’ultima, in particolare, afferma che «L’accertamento parziale, che è uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del d.P.R. n.633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole, per cui può basarsi senza limiti anche sul metodo induttivo e il relativo avviso può essere emesso pur in presenza di una contabilità tenuta in modo regolare».
2.4. Tale principio è stato ribadito da Cass., Sez. 5, ordinanza n. 28681 del 07/11/2019, Rv. 655548 – 01) mentre in Cass., Sez. 6 – 5, ordinanza n. 8406 del 04/04/2018 (Rv. 647574 – 01) si è affermato che «L’accertamento parziale non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto a quello previsto dagli artt. 38 e 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del d.P.R. n.633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le medesime regole, sicché il relativo oggetto non è circoscritto ad alcune categorie di redditi e la prova può essere raggiunta anche in via presuntiva: ne deriva che non assume rilievo alcuno il fatto che nel relativo avviso ci si riferisca erroneamente al predetto art. 39 anziché all’art. 41-bis del d.P.R. n. 600 del 1973».
2.5. A ciò aggiungasi che, per orientamento altrettanto consolidato di questa Corte (Cass. 28/10/2015, n. 21992; 23/12/2014, n. 27323; 05/03/2020, n. 6243), cui deve darsi continuità, nell’art. 41 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 non vi è «alcun appiglio testuale che lasci intendere che l’amministrazione non possa emettere un avviso parziale allorché disponga di elementi tali da consentire di procedere uno actu ad un accertamento unitario e globale della posizione del contribuente», essendo «ininfluente la circostanza che l’amministrazione possa procedere con un accertamento parziale solo se la segnalazione provenga da un soggetto ad essa estraneo».
2.6. Come si sostiene in Cass. n. 6243 del 05/03/2020, citata, «L’accertamento parziale è dunque uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, laddove le attività istruttorie diano contezza della sussistenza a qualsiasi titolo di attendibili posizioni debitorie e non richiedano perciò, in ragione della loro oggettiva consistenza, l’esercizio di un ufficio valutativo ulteriore rispetto a quello che si risolve nel recepire e fare proprio il contenuto della segnalazione. Da qui la Corte ha tratto la convinzione, a cui il Collegio ritiene di dover dare continuità, che l’accertamento parziale, normativamente distinto dall’accertamento integrativo, possa basarsi anche su una verifica generale, in quanto “la segnalazione costituisce solo l’atto di comunicazione che consente l’accertamento, distinto dall’attività istruttoria, anche se di modestissima entità, da esso necessariamente presupposta” (Cass. n. 21992 del 2015, cit.; Cass. 13/11/2013, n. 25481; Cass. 26/05/2010, n. 12919; Cass. 05/02/2009, n. 2761). Il ricorso all’accertamento parziale previsto dall’art. 41 bis rappresenta, dunque, uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, ove le attività istruttorie diano contezza della sussistenza
di attendibili posizioni debitorie; esso può essere legittimamente adottato anche su iniziativa propria dell’ufficio titolare del potere di accertamento generale, essendo irrilevante che la segnalazione provenga da un soggetto estraneo all’amministrazione o da fonti ad essa interne (cfr. Cass., 23685/2018; Cass. 28061/2017; Cass. 27323/2014)».
2.7. Va, dunque, rigettata, perché palesemente contraria ai sopra enunciati principi giurisprudenziali, anche la seconda censura prospettata nel motivo in esame, con cui il ricorrente sostiene che « in caso di elementi probatori acquisti per mezzo di una verifica, di indagini bancarie e finanziarie, di inviti a comparire o di questionari, l’Ufficio è tenuto a selezionare e utilizzare solo quelli da cui con certezza si desuma l’esistenza di un reddito non dichiarato; al contrario, l’Ente accertatore deve ricorrere all’accertamento ordinario ogni qual volta le rettifiche si basino su elementi probatori presuntivi o su prove indirette », senza neppure spiegare la ragione per la quale un accertamento parziale non possa considerarsi anch’esso «accertamento ordinario» ed inammissibilmente omettendo di indicare il concreto pregiudizio che avrebbe subito per avere l’amministrazione finanziar ia utilizzato una modalità di accertamento piuttosto che un’altra (Cass., Sez. 5, n. 2872 del 03/02/2017 Rv. 642889 – 01).
2.8. I principi sopra enunciati, diversamente da quanto sostiene il ricorrente nella memoria illustrativa, non sono smentiti dalle pronunce ivi richiamate, ma anzi ribaditi, affermandosi in esse che gli elementi su cui si fonda l’accertamento parziale possono e ssere desunti anche in via presuntiva purché ‘ idonei a dare contezza della sussistenza, a qualsiasi titolo, di attendibili posizioni debitorie ‘. Tanto, ad esempio, si afferma in Cass. n. 771/2022 citata dal ricorrente che, sul punto richiama, «tra le tante: Cass., Sez. 6^-5, 4 aprile 2018, n.
8406; Cass., Sez. 5^, 7 novembre 2019, n. 28681; Cass., Sez. 5^, 4 settembre 2020, n. 18398; Cass., Sez. 5^, 4 dicembre 2020, n. 27788; Cass., Sez. 5^, 10 giugno 2021, n. 16474».
2.9. Non pertinente alla fattispecie concreta e, comunque, nuova ed apoditticamente dedotta, con conseguente inammissibilità della stessa, è la questione posta dal ricorrente nella memoria illustrativa con riferimento al principio di unitarietà dell’accertament o, che nella specie non risulta violato, avendo l’amministrazione finanziaria proceduto soltanto con accertamento parziale ai sensi del più volte citato art. 41-bis, non risultando e non essendo stata nemmeno dedotta la sussistenza di un successivo accertamento fondato sui medesimi elementi posti a base di quello impugnato.
Con il terzo articolato mezzo di cassazione il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la « Non conformità a legge delle circostanze adoperate dall’agenzia delle entrate e condivise dalla ctr per la rideterminazione dei maggiori redditi e per disattendere le scritture contabili alla stregua di presunzioni semplici; illegittimità dell’utilizzo delle percentuali di ricarico utilizzate per la quantificazione dei maggiori ricavi; violazione e falsa applicazione degli artt.39, comma 1, lettera d) del d.p.r. n.600/1973 e 54, comma 2 del d.p.r. n.633/1972 ».
3.1. Pare opportuno premettere che secondo un orientamento giurisprudenziale, cui va dato continuità, «la denuncia del mancato rispetto da parte del giudice di rinvio del decisum della sentenza di cassazione concreta denuncia di error in procedendo (art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c.) per aver operato il giudice stesso in ambito eccedente i confini assegnati dalla legge ai suoi poteri di decisione, per la cui verifica la Corte di cassazione ha tutti i poteri del giudice del fatto in relazione alla ricostruzione dei contenuti della sentenza rescindente, la quale va equiparata al giudicato, partecipando della
qualità dei comandi giuridici, con la conseguenza che la sua interpretazione deve essere assimilata, per l’intrinseca natura e per gli effetti che produce, all’interpretazione delle norme giuridiche» (Cass. 6 ottobre 2005, n. 19417; Cass. 30 settembre 2005, n. 19212; Cass. 26 luglio 2005, n. 15647; Cass. 25 marzo 2005, n. 6461; Cass. 1° settembre 2004, n. 17564; Cass. 5 marzo 2019, n. 6344).
3.2. Al riguardo deve ancora osservarsi che, secondo un orientamento assolutamente consolidato, confortato da una recente pronuncia nomofilattica delle Sezioni unite (sentenza n. 18303 del 03/09/2020), il sindacato di questa Corte sulla sentenza del giudice di rinvio, gravata di ricorso per infedele esecuzione dei compiti affidati con la precedente pronunzia di annullamento, si risolve nel controllo dei poteri propri di detto giudice per effetto di tale affidamento, e dell’osservanza dei relativi limiti, la cui estensione varia a seconda che l’annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto, ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi della controversia. Nella prima ipotesi, infatti, egli è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., primo comma, al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nella seconda, invece, la sentenza rescindente, indicando i punti specifici di carenza o di contraddittorietà, non limita il potere del giudice di rinvio all’esame dei soli punti specificati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento, anche se, nel rinnovare il giudizio, egli è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della
coerenza logica del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati (cfr. Cass. sez. un., 28/10/1997, n. 10598; Cass. 14/06/2000, n. 8125; Cass. 16/05/2003, n. 7635; Cass. 15/07/2005 n. 15027; Cass. 23/02/2006 n. 4018; Cass.22/04/2009 n. 9617; Cass 04/04/2013, n. 8225; Cass. 24/10/2019, n. 27337; Cass. 14/01/2020, n. 448 e, più recentemente, Cass. 15/06/2023, n. 17240).
3.3. Ciò precisato, con riferimento al motivo in esame, il ricorrente con una prima censura sostiene che «La Corte di Cassazione con la sentenza n. 20424 del 26 settembre 2014 (all. n. 6 cit.) aveva dichiarato inammissibile il motivo del ricorso in Cassazione promosso dall’Avvocatura con cui veniva denunciata la violazione e la falsa applicazione da parte dei giudici della CTR Lazio degli artt. 39, comma 1, lettera d) del d.p.r. n. 600 del 1973 e 54, comma 2 del d.p.r. n. 633 del 1972. In particolare nel motivare l’inammissibilità del motivo di impugnazione i giudici di legittimità avevano affermato che la ratio decidendi della sentenza di secondo grado ‘ non appare in violazione della norma che consente l’accertamento induttivoextracontabile dei redditi d’impresa, in quanto ciò che il giudice di merito afferma è la non conformità a legge delle presunzioni semplici in concreto adoperate allo scopo di disattendere le scritture contabili e la non correttezza della percentuale di ricarico ‘ » e che, pertanto, si doveva ritenere « definitiva la statuizione secondo cui per l’anno 1999 l’Agenzia delle Entrate abbia violato il disposto degli artt. 39, comma 1, lettera d) del d.p.r. n. 600 del 1973 e 54, comma 2 del d.p.r. n. 633 del 1972 utilizzando elementi di fatto privi delle caratteristiche proprie delle presunzioni semplici ».
4. La censura è infondata.
4.1. Questa Corte nella sentenza cassatoria, dichiarando l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso per non avere la difesa erariale colto esattamente la portata della sentenza d’appello, ha affermato che questa non si poneva in violazione della norma che consente l’accertamento induttivo -extracontabile dei redditi di impresa, come invece erroneamente si sosteneva nel motivo esaminato, ma aveva invece affermato che non erano conformi a legge le presunzioni semplici utilizzate dall’amministrazione finanziaria per disattendere le scritture contabili della ditta verificata, formalmente regolari, e non erano corrette le modalità di determinazione della percentuale di ricarico applicata dall’amministrazione finanziaria .
4.2. Pertanto, alla stregua di tali considerazioni e dei suesposti principi giurisprudenziali, deve affermarsi che nel giudizio di rinvio non era più contestabile la legittimità del ricorso dell’Agenzia delle entrate all’accertamento analitico -extracontabile anche in presenza di scritture contabili formalmente regolari.
4.3. D’altro canto, è ben evidente che la tesi contraria prospettata dal l’odierno ricorrente nella censura in esame si pone in insanabile contrasto con l’accoglimento da parte di questa Corte, con la richiamata pronuncia, del terzo e quarto motivo di ricorso erariale, incentrati entrambi sul grave difetto di motivazione della prima sentenza d’appello proprio in ordine alle questioni poste con riferimento alla percentuale di ricarico (terzo motivo) e alle presunzioni utilizzate per disattendere la contabilità ufficiale della ditta verificata (quarto motivo); questioni che, peraltro, presuppongono la correttezza del metodo accertativo utilizzato dall’amministrazione finanziaria, che è profilo non utilmente contestabile per carenza di interesse posto che, come affermato da Cass. n. 26035/2024, in motivazione, è riservata alla sede giudiziale
l’accertamento dell’effettiva incidenza delle irregolarità riscontrate nella contabilità della parte contribuente sulla rideterminazione del reddito d’impresa, ai fini della verifica della legittimità (non più del metodo utilizzato per l’accertamento ma) d ella pretesa tributaria risultante dall’atto impositivo.
Deduce, inoltre, il ricorrente l ‘ irrilevanza delle movimentazioni bancarie utilizzate dai verificatori.
5.1. Sostiene che l’Ufficio non aveva tratto dall’esistenza di conti correnti bancari intestati al contribuente «implicazioni sotto il profilo fiscale nell’ottica di una rideterminazione presuntiva di maggiori ricavi sulla base delle risultanze bancarie».
5.2. La CTR tra le ragioni che avevano indotto l’amministrazione finanziaria a operare le rettifiche dei redditi e dei ricavi, espresse nella motivazione dell’atto impositivo, indica il « riscontro effettuato dai verbalizzanti tra la documentazione bancaria e le scritture contabili » da cui emergeva che « non vi alcuna traccia dei succitati conti», da cui emergevano versamenti e prelevamenti per somme complessivamente ingenti, superiori a 300.000 euro, in quanto «la contabilità tenuta dalla ditta rileva solo movimentazioni finanziarie transitate per Cassa». In ragione di ciò la G.d.F. aveva proceduto alla rideterminazione dell’effettivo volume d’affari, tenendo conto dei dati disponibili ».
5.3. Ciò rende evidente l’infondatezza della censura in esame con riferimento alla valenza presuntiva delle risultanze delle movimentazioni bancarie verificate, come tali idonee a giustificare l’accertamento analitico -induttivo effettuato dall’amministrazione finanziaria in quanto incidenti sulla complessiva attendibilità, invero solo formale, delle scritture contabili della ditta contribuente, non essendo richiesto, a tal fine, che l’amministrazione finanziaria utilizzi necessariamente quelle risultanze per rideterminare il reddito
d’impresa, che è questione di cui, peraltro, il ricorrente non è neppure interessato a dolersi.
Quanto appena detto rende inammissibile la censura formulata in termini sostanzialmente analoghi con riferimento alla documentazione extracontabile rinvenuta in sede di verifica.
6.1. Sostiene il ricorrente che il rinvenimento di tale documentazione, senza che l’amministrazione finanziaria avesse dimos trato e la CTR accertato l’incidenza che tale documentazione aveva avuto in termini di maggiori ricavi e, quindi, sulla complessiva attendibilità della contabilità tenuta dal contribuente, non giustificava il ricorso all’accertamento ex art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973.
6.2. Orbene, al riguardo deve osservarsi che quanto appena sopra detto, in relazione all’accertata esistenza di movimentazioni bancarie del tutto pretermesse nella contabilità aziendale, tale da renderla inattendibile e da giustificare, quindi, il ricorso dell’amministrazione finanziaria all’accertamento analitico -induttivo, rende all’evidenza superflua la verifica della sussistenza sub specie di ulteriori elementi di inattendibilità della contabilità del contribuente.
6.3. Peraltro, la censura in esame è anche inammissibile perché si pone in insanabile contrasto con il quinto motivo di ricorso con cui il ricorrente censura la sentenza impugnata sostenendo che la documentazione extracontabile era stata utilizzata per determinare « una quota di imponibile ‘aggiuntiva’ che per l’anno 199 9 darebbe luogo ad un maggior imponibile di lire 41.555.000 » (ricorso, pag. 50), sicché vi era stata una duplicazione d’imposta.
6.4. In sostanza, il ricorrente ha lamentato, in maniera contraddittoria, da un lato, che la documentazione extracontabile non aveva avuto alcuna incidenza sulla determinazione dei maggiori ricavi accertati, sicché non poteva assurgere ad elemento presuntivo di inattendibilità della contabilità e giustificare, quindi, il ricorso
dall’accertamento analitico -induttivo, e, dall’altro, che i dati restituiti dalla verifica di quella documentazione aveva comportato una duplicazione d’imposta.
6.5. Le considerazioni sopra svolte non sono scalfite dai precedenti giurisprudenziali citati dal ricorrente nella memoria in atti.
6.6. Invero, la piena valenza presuntiva che deve riconoscersi alla mancata annotazione in contabilità degli ingenti importi emersi dalla verifica delle movimentazioni bancarie e alla documentazione extracontabile, incidendo sull’attendibilità complessiva della contabilità tenuta dal contribuente, legittima il ricorso da parte dell’amministrazione finanziaria all’accertamento ex art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, sicché nella fattispecie non vi è stata alcuna violazione da parte dei giudici di appello dei principi affermati da queta Corte e citati dal ricorrente a pag. 3 della memoria con riguardo al « discrimine tra l’accertamento condotto con metodo analitico extracontabile (art. 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 600/1973) e l’accertamento condotto con metodo induttivo puro (art. 39, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973 ed art. 55, comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973 in materia di imposte indirette) ». E nemmeno dei principi giurisprudenziali, pure citati in memoria dal ricorrente, sulle modalità di valutazione delle prove presuntive.
6.7. E’ poi errata l’affermazione che il ricorrente fa nella memoria, là dove sostiene che «Nella fattispecie in esame il requisito dell’inattendibilità della contabilità non può dirsi sussistente in ragione del fatto che la rideterminazione del maggior imponibile, basata sulla quantificazione del costo del venduto e le relative percentuali di ricarico, si è incentrata ‘ sulle giacenze iniziali, gli acquisti effettuati e le rimanenze finali risultanti dalla documentazione contabile ‘, così come affermato dagl i stessi giudici della CTR Latina». L’inattendibilità della contabilità, come pure molto chiaramente emerge dalla sentenza
d’appello, è stata desunta dagli elementi sopra indicati (movimentazioni bancarie non annotate per importi ingenti e rinvenimento di documentazione extracontabile) e la percentuale di ricarico è stata utilizzata ai fini della quantificazione del maggior reddito evaso.
6.8. Nuova, e come tale inammissibile, è la deduzione fatta dal ricorrente nella memoria con riferimento «all’obbligo in capo all’Ente impositore di allegazione all’avviso di accertamento della documentazione extracontabile posta a base dell’atto impositivo, in modo da renderla disponibile all’organo giudicante».
Con un ulteriore profilo di censura il ricorrente contesta la modalità con cui l’amministrazione finanziaria aveva determinato la percentuale di ricarico, con il conseguente venir meno del loro valore presuntivo ai fini della rideterminazione dei ricavi, sostenendo:
-l’errata l’individuazione del prezzo di vendita su cui calcolare la predetta percentuale perché effettuato con riferimento alla categoria di prodotti presenti in misura maggiore nel magazzino (nella specie, i lampadari che erano 32 su 96 prodotti complessivamente rinvenuti nel magazzino, riconducibili alle cinque categorie merceologiche accertate);
la mancata specificazione del prezzo di vendita e l’ omessa considerazione di una serie di elementi incidenti sullo stesso, tra cui l ‘eventuale sconto applicato.
7.1. Orbene, la censura in esame risulta inammissibile siccome contraddittoria nella parte in cui lamenta, da un lato, l’errata individuazione del prezzo di vendita e, dall’altra, la mancata indicazione di tale prezzo. La censura in esame tende, inoltre, ad un’ inammissibile (Cass., Sez. 3, 1.6.2021, n. 15276, Rv. 661628-01) richiesta a questo giudice di legittimità di rivalutazione del meritus causae in ordine alle modalità di determinazione della percentuale di
ricarico applicata dall’amministrazione finanziaria peraltro omettendo, in violazione del principio di necessaria specificità del ricorso per cassazione, di riportare gli elementi che nel p.v.c. allegato al ricorso si sostiene essere stati analiticamente indicati in due processi verbali giornalieri specificamente individuati.
7.2. In ogni caso, con riferimento alla determinazione in via presuntiva della percentuale di ricarico effettiva sul prezzo della merce venduta, in sede di accertamento induttivo, la consolidata giurisprudenza di legittimità afferma che questa deve avvenire adottando un criterio che sia: a) coerente con la natura e le caratteristiche dei beni presi in esame; b) applicato ad un campione di beni scelti in modo appropriato; c) fondato su una media aritmetica o ponderale, scelta in base alla composizione del campione di beni; tale modalità di determinazione della reale percentuale di ricarico prescinde del tutto dalla circostanza che la contabilità dell’imprenditore risulti formalmente regolare (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 30276 del 15/12/2017, Rv. 646984 – 01; conforme, Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 736 del 19/01/2021, Rv. 660296 -01; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11717 del 12/04/2022, Rv. 664491 -01).
7.3. La CTR si è attenuta a tale principio e, prima di essa, gli stessi organi accertatori, con la conseguenza che la censura in esame è anche infondata e tale conclusione non è scalfita dalle considerazioni svolte e dalla giurisprudenza citata dal ricorrente nella memoria illustrativa.
Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto inammissibile il motivo con cui in sede di riassunzione aveva eccepito il corretto adempimento dell’obbligo di motivazione, ancorché per relationem alla sentenza della CTP di Roma, da parte
della prima sentenza d’appello (n. 106/40/2017 della CTR del Lazio, Sezione staccata di Latina).
8.1. Il motivo è manifestamente inammissibile in quanto, per come si è detto sopra, nella parte relativa allo svolgimento del fatto riassumendo le statuizioni della sentenza cassatoria di questa Corte, ad aver dichiarato la prima sentenza d’appello priva di adeguata motivazione è stata proprio questa Corte con la sentenza n. 20424/2014, e non certo la sentenza d’appello oggetto del presente giudizio. E la CTR in sede di giudizio di rinvio non aveva alcun potere di rivalutare sul punto il decisum di questa Corte e, pertanto, correttamente i giudici di appello hanno evidenziato « l’inutilità di voler dimostrare il contrario » da parte del contribuente.
8.2. Sono, quindi, privi di pertinenza al caso i riferimenti giurisprudenziali citati dal ricorrente nella memoria illustrativa.
Con il quinto motivo di ricorso vien dedotta la « violazione dell’art. 13 del d.P.R. n.917 del 1986 e degli artt. 39 del d.P.R. n.600 del 1973 e 54 del d.P.R. n.633 del 1972 (art.360, n. 3 c.p.c.) per aver i giudici della CTR Roma in sede di riassunzione escluso la violazione del divieto di doppia imposiz ione commessa dall’Agenzia delle Entrate di Formia nella rideterminazione delle maggiori imposte dell’avviso di accertamento n. RC3010200347 a causa del concorrente utilizzo di elementi diversi ed alternativi fra loro nella determinazione della base imponibile. Omessa pronuncia sul punto da parte dei giudici della CTR Roma in violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360, n.3 c.p.c.) ».
9.1. Il motivo, anche a voler prescindere dal rilievo di inammissibilità per l’intrinseca contraddittorietà che la connota, avendo il ricorrente dedotto un’omessa pronuncia ex art. 112 cod. proc. civ. e contestualmente censurato la statuizione invece contenuta nella sentenza d’appello, non si sottrae ad ulteriori rilievi di inammissibilità.
9.2. Innanzitutto, il motivo è inammissibile perché, come già si è detto esaminando il terzo motivo di ricorso, si pone in insanabile contrasto con la censura posta in quel motivo, in cui il ricorrente ha dedotto che l’amministrazione finanziaria non aveva dimostrato e la CTR non aveva accertato l’incidenza sull’accertamento di maggiori ricavi a carico del contribuente, della documentazione extracontabile rinvenuta in sede di accesso. In sostanza, il ricorrente ha lamentato, da un lato, che la documentazione extracontabile non aveva avuto alcuna incidenza sulla determinazione dei maggiori ricavi accertati, sicché non poteva assurgere ad elemento presuntivo di inattendibilità della contabilità e giustificare, quindi, il ricorso dall’accertamento analiticoinduttivo, e dall’altro, nel motivo in esame, ha contraddittoriamente sostenuto che i dati restituiti dalla verifica di quella documentazione aveva comportato una duplicazione d’imposta.
9.3. Inoltre, il motivo è inammissibile perché prospettato con riferimento a quanto risultava dal processo verbale di constatazione della G.d.F. (nel ricorso si fa espresso rinvio alle pagine 5 e 12 del predetto p.v.c.) e non dall’avviso di accertamento , allegato al ricorso, in relazione al quale non si evidenzia la contestazione di maggiori redditi e ricavi ‘aggiuntivi’ rispetto a quelli determinati induttivamente.
In estrema sintesi, il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese processuali, che liquida in euro 5.900,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma in data 11 aprile 2025