Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27118 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 27118 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 09/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 9521/2024, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , in persona del liquidatore pro tempore NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale posta in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni nel corso del procedimento al proprio indirizzo di posta elettronica certificata;
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 5869/2023 della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Campania, depositata il 25 ottobre 2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23 settembre 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Amministrazione finanziaria riprese a tassazione maggiori redditi di RAGIONE_SOCIALE a fini Irap, Ires e Iva per l’anno di imposta 2018, con ricorso ad accertamento di tipo analitico-induttivo ex artt. 39, comma primo, del d.P.R. n. 600/1973 e 54, commi secondo e terzo, del d.P.R. n. 633/1972.
La rettifica della base imponibile traeva origine da un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza nel gennaio del 2020 e relativo al quinquennio d’imposta precedente, che aveva condotto al rilievo, in seno alla contabilità sociale, di numerose fatture attive e passive per operazioni soggettivamente inesistenti, significative di rapporti con imprese cd. ‘cartiere’, prive di reale operatività, di dipendenti e di beni, donde era dato ritenere la falsità e l’incompletezza delle scrittur e contabili.
A fronte di tale rilievo, in particolare, l’Ufficio sosteneva che RAGIONE_SOCIALE avesse incassato, quale provento illecito, un importo pari al 20% del fatturato inesistente, nonché omesso di contabilizzare maggiori ricavi per complessivi € 2.922.274,00.
L’atto impositivo, impugnato dalla contribuente innanzi alla C.T.P. di Napoli, venne parzialmente annullato.
La sentenza fu oggetto di appello principale dell’Ufficio e di appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE
La Corte di giustizia tributaria della Campania accolse -con la sentenza indicata in epigrafe – il gravame della contribuente per la parte concernente la determinazione dei maggiori ricavi (con riflesso sulla determinazione delle sanzioni).
Osservò, in proposito, che l’Ufficio aveva contestato l’omessa dichiarazione di redditi per un importo pari alla differenza tra il valore delle fatture di vendita emesse, riportato nei Registri Iva, e la somma risultante dalle dichiarazioni ai fini Ires e Irap, e ritenne che tale computo fosse errato, perché il diminuendo era rappresentato dal fatturato -ossia dalla somma degli importi delle fatture emesse nell’anno, incassate o meno -e non dai ricavi effettivi.
La pretesa impositiva, per contro, andava confermata quanto al mancato riconoscimento della detrazione Iva sugli acquisti, essendo stato dimostrato dall’Ufficio che le fatture d’acquisto provenivano da società cd. cartiere, e che di tale meccanismo fraudolento la società era consapevole.
L’appello incidentale dell’Agenzia venne invece rigettato.
La Corte di giustizia condivise l’argomento dei primi giudici, secondo i quali la pretesa erariale si fondava su un’ipotesi di praesumptum de praesumpto , «in quanto, a fronte della ipotesi teorica del percepimento di un compenso illecito per l’emissione di fatture soggettivamente inesistenti (prima presunzione), è stato calcolato e quantificato il predetto compenso in un ammontare pari al 20% del totale fatturato (seconda presunzione)».
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate sulla base di cinque motivi.
La contribuente, nel frattempo posta in liquidazione, ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale affidato a due motivi.
Considerato che:
Il primo motivo del ricorso principale è rubricato «violazione e falsa applicazione artt. 54 del DPR 633/72, 39 e 41 del DPR 600/73; 2727, 2729 e 2697 del cod. civ., 14, comma 4, legge n. 537/1993 e 36 del D.lgs. n. 546/1992».
Secondo l’Ufficio, i giudici regionali avrebbero errato nel disconoscere la rideterminazione analitico-induttiva dei maggiori ricavi della contribuente, argomentando a partire dalla diversità fra il totale dei ricavi e il volume d’affari.
Così statuendo, infatti, essi avevano trascurato di considerare il rilievo di numerose circostanze documentate, quali l’utilizzo, da parte di GTE, di fatture per operazioni inesistenti, la discordanza dei dati Iva, la trasmissione di una dichiarazione Iva incompleta e senza importi e il rinvio a giudizio del suo rappresentante legale nel procedimento penale relativo al reato di cui all’art. 4 del d. lgs. n. 74/2000 per il periodo d’imposta 2018; circostanze, tutte queste, che palesavano come inattendibile la contabilità della società, così giustificando il ricorso all’accertamento con metodo analitico -induttivo.
Inoltre, la quantificazione dei proventi illeciti imputati alla società era dipesa dal calcolo dell’Iva sulle fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti, riconosciute come sussistenti anche dai giudici di merito; trattandosi di proventi derivanti da fatti illeciti, era corretta la loro imputazione alla contribuente come redditi diversi.
Con il secondo motivo, deducendo la violazione delle stesse norme di cui alla prima censura, l’Agenzia ricorrente assume che i giudici d’appello avrebbero «interpretativamente abrogato, nel caso concreto», l’art. 39 del d.P.R. n. 600/1973, nella parte i n cui prevede che le riprese fiscali quali quella di specie si fondino su una presunzione che il contribuente deve superare.
Con il terzo mezzo, denunciando la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., l’Agenzia ricorrente lamenta l’omesso esame, da parte della Corte di giustizia, del motivo di appello con il quale criticava la decisione di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto illegittima per «difetto di motivazione» la ripresa concernente parte dei profitti derivanti da reato.
Il quarto motivo incide sul medesimo punto della statuizione.
Con esso l’Agenzia delle entrate, deducendo la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., denunzia, per l’ipotesi di mancato accoglimento della censura precedente, la sussistenza di una motivazione meramente apparente.
Il quinto motivo, infine, prospetta identica ipotesi di nullità per il diverso capo della sentenza impugnata con il quale è stato ritenuto che i ricavi per l’anno 2018 fossero, in realtà, imputabili al periodo d’imposta precedente.
Il primo motivo del ricorso incidentale denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 1, e 54 del d.P.R. n. 633/1972, 2697, 2727 e 2729 cod. civ.
Si sostiene che i giudici regionali, a fronte di una contestazione di indebita detrazione di Iva su fatture emesse da fornitori privi di struttura organizzativa, in relazione ad operazioni soggettivamente inesistenti, avrebbero posto erroneamente a carico della contribuente l’onere di provare di non avere conosciuto, né potuto conoscere, il meccanismo fraudolento che, invece, era l’Ufficio a dover dimostrare.
Il secondo motivo del ricorso incidentale denunzia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Secondo la contribuente, la Corte di giustizia avrebbe trascurato di pronunziarsi sul motivo di appello con il quale essa aveva lamentato l’omessa considerazione di un pagamento parziale da lei effettuato in relazione ad una detrazione d’imposta ritenuta i llegittima.
I primi quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi; tutti, infatti, concernono la decisione d’appello nella parte in cui non ha condiviso le modalità adottate dall’Ufficio per determinare i maggiori ricavi della contribuente, che viene censurata sia per i profili che attengono alla metodica propria dell’accertamento
analitico-induttivo, sia per il regime probatorio connesso a tale forma di accertamento.
8.1. Sono fondate le prime tre censure.
Invero, in tema di accertamento analitico-induttivo, questa Corte, con orientamento consolidato, ha affermato che l’incompletezza, falsità o inesattezza dei dati contenuti nelle scritture contabili, che giustifica il ricorso a tale metodica accertativa, co nsente all’Ufficio di completare le lacune riscontrate utilizzando, ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’art. 2729 cod. civ.
Tali ultime, peraltro, non devono essere necessariamente più d’una; il convincimento del giudice si può fondare anche su un elemento unico, preciso e grave, con la conseguenza che l’onere della prova viene a spostarsi sul contribuente (cfr., fra le altre, Cass. n. 30985/2021; Cass. n. 22184/2020; Cass. n. 33604/2019).
8.2. Posta tale premessa, occorre poi rilevare che l’Ufficio, ai fini della determinazione dei maggiori ricavi, ha offerto una pluralità di elementi, significativi dell’esistenza di maggiori componenti positive di reddito.
Di tali elementi i giudici d’appello non hanno mostrato di aver tenuto adeguata considerazione.
La sentenza impugnata, infatti, si fonda interamente sul rilievo di una criticità ravvisata nella metodica di determinazione dei ricavi, ma non tiene conto delle diverse circostanze evidenziate in giudizio dall’Amministrazione, tra le quali, in particolare, l’esistenza di fatture emesse per operazioni inesistenti e il rilievo di profitti derivanti da reato; elementi, tutti questi, dei quali non si rinviene alcuna menzione nella motivazione.
Né, del pari, i giudici regionali risultano essersi soffermati sull’assolvimento o meno, da parte della società contribuente, dell’onere probatorio che sulla stessa gravava.
Nella ricognizione del materiale probatorio, pertanto, la sentenza impugnata si è discostata dai principi elaborati da questa Corte.
8.3. Le considerazioni che precedono conducono ad accogliere i primi tre motivi di ricorso.
Per converso, va dichiarato infondato il quarto motivo, con il quale l’Amministrazione ha dedotto la nullità per motivazione apparente della sentenza impugnata, poiché -proprio per le ragioni esposte -i giudici regionali hanno illustrato con sufficiente chiarezza l’iter logico seguito per approdare alla loro decisione.
Anche il quinto motivo del ricorso principale non è fondato.
La ricorrente erra, all’evidenza, nell’interpretare il dictum della C.T.R.
La sentenza impugnata, infatti, colloca il tema della riferibilità dei ricavi determinati a diversa annualità nella parte in cui richiama le difese della contribuente, ma ritiene non provata la pretesa impositiva per una ragione tutt’affatto diversa, ovver o per il fatto -già indicato -che il diminuendo individuato, corrispondendo al fatturato, non appariva significativo di ricavi effettivi.
Passando allo scrutinio del ricorso incidentale, il primo motivo, per come proposto, non è fondato.
10.1. La contribuente, denunziando la suddetta violazione di legge, assume che i giudici regionali avrebbero errato nel ritenere dimostrata la sussistenza di una fattispecie di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, essendosi limitati ad apprezzare, in tal senso, il dato dell’inesistenza dei s oggetti emittenti le fatture, senza ulteriormente indagare sul profilo soggettivo della consapevole partecipazione.
Ciò avrebbe determinato, secondo la società, un’illegittima inversione dell’onere della prova a suo danno.
10.2. In realtà, la sentenza d’appello (pag. 6) dà testualmente atto del fatto che l’Amministrazione finanziaria aveva «fornito in giudizio plurimi elementi di forte spessore indiziario e presuntivo circa l’esistenza di un meccanismo fraudolento teso non s olo a dimostrare l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta», negli stessi termini ritenuti dai giudici di primo grado.
La statuizione impugnata, pertanto, non è affetta dal vizio denunziato.
Il secondo motivo non supera il vaglio di ammissibilità.
La società contribuente, infatti, afferma di aver allegato innanzi ai giudici di primo grado la circostanza del proprio pagamento parziale, ma non ha riportato, né richiamato, il motivo di gravame o la controdeduzione nel quale tale allegazione sarebbe stata specificamente svolta.
Il motivo risulta, pertanto, articolato in violazione del principio di necessaria specificità.
In conclusione, vanno accolti i primi tre motivi del ricorso principale, con rigetto dei restanti e del ricorso incidentale.
La sentenza d’appello è cassata con rinvio al giudice a quo , il quale, in diversa composizione, provvederà al riesame della vicenda conformandosi a detto principio: «In tema di accertamento analiticoinduttivo, a fronte dell’incompletezza, falsità o inesattezza dei dati contenuti nelle scritture contabili, l’amministrazione finanziaria può completare le lacune riscontrate utilizzando, ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici, aventi i requisiti di cui all’art. 2729 c.c., con la conseguenza che l’onere della prova si sposta sul contribuente».
Al giudice del rinvio è rimessa anche la regolazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale in relazione ai primi tre motivi, respinti i restanti; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Campania.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte Suprema di cassazione, il 23 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME