Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8999 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8999 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/04/2025
Avviso di accertamento – meodo analitico- induttivo – questionario
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23867/2016 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso dagli Avv. NOME
COGNOME e NOME COGNOME,
-ricorrente –
contro
AGENZIA RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dal l’Avvocatura generale dello Stato,
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. SICILIA, SEZIONE STACCATA DI MESSINA n. 3845/2015, depositata il 14/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate, in data 21 Febbraio 2006, notificava a NOME COGNOME , esercente l’attività di ristoratore, avviso di accertamento con il quale rettificava, per l’anno d’imposta 2002 , con metodo analitico-induttivo, i redditi da quest’ultimo dichiarati nel modello unico 2003 e recuperava maggiori Irpef Irap ed Iva.
Il contribuente impugnava l’atto impositivo innanzi alla C.t.p. di Messina che accoglieva parzialmente il ricorso. Il giudice del primo grado, in particolare, confermava l’accertamento quanto al l’ indeducibilità dei costi e degli ammortamenti ma rideterminava in senso favorevole al contribuente i maggiori ricavi accertati dall’U fficio.
Avverso detta sentenza frapponeva appello l’ Agenzia delle entrate e la C.t.r., con la sentenza di cui all’epigrafe, in riform a della sentenza di primo grado, accertava la legittimità dell’avviso di accertamento .
Avverso detta ultima ricorre NOME COGNOME e l ‘Agenzia delle entrate resiste a mezzo controricorso.
Il contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e, in relazione al l’ art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 36 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 per motivazione apparente.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui – dopo aver premesso che il ricorso al metodo induttivo è ammissibile anche in presenza di una contabilità formalmente regolare – ha ritenuto legittimo l’accertamento osservando che il contribuente aveva omesso
di rispondere al questionario e non aveva dato riscontro alla richiesta di esibizione, così impedendo, o comunque ostacolando, la verifica dei redditi e rendendo, di conseguenza, inattendibili le scritture e grave la presunzione di attività non dichiarate desumibile dal raffronto tra le percentuali di ricarico applicate e quelle medie del settore. Assume che la C.t.r. non ha tenuto conto che, in data 24 novembre 2004, aveva consegnato la risposta al questionario inviatogli dall’A genzia, con allegata la documentazione, e che di tanto si dava atto nell’avviso di accertamento. Evidenzia che la pacifica sussistenza e rilevanza delle dette circostanze, documentalmente provate, era suscettibile di determinare una diversa decisione. Aggiunge che la mancata collaborazione era smentita anche dal comportamento tenuto in occasione dell’istanza di accertamento con adesione. Per l’effetto, conclude evidenziando che non sussisteva il presupposto della contabilità inattendibile, che il giudice di appello aveva posto a fondamento della legittimità dell’accertamen to analitico induttivo mediante presunzione, e che, per tale ragione, la motivazione della sentenza era meramente apparente.
Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 39 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 54 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 ed il vizio di apparente motivazione ex art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992.
Censura la sentenza impugnata per non aver spiegato in base a quali circostanze fosse legittimo l’accertamento con metodo analiticoinduttivo come conseguenza della grave inattendibilità – peraltro rimasta indimostrata – delle scritture contabili trasmesse. Ribadisce che la sentenza non contiene alcuna specifica motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti previsti dalla norma al fine del legittimo
esercizio del potere accertativo finalizzato alla rettifica induttiva del reddito.
Con il terzo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 54 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dell’art. 2729 cod. civ. e l’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Censura la sentenza impugnata per essersi basata sulla metodologia di accertamento di cui alla circolare numero 3/E del 2001 e per non aver considerato che quest’ultima è solo un atto di parte non vincolante nemmeno per gli uffici. Aggiunge che il parametro utilizzato dall’U fficio, nella specie il consumo medio di vino, al fine di dimostrare la presunta evasione doveva essere corroborato da altri indizi che nella fattispecie non erano stati riscontrati.
Il primo ed il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi sono infondati.
4.1. Il contribuente assume che la C.t.r. avrebbe errato nel porre a fondamento della decisione la mancata risposta al questionario ed il mancato invio della documentazione richiesta, trattandosi di fatti non veri come risultante dallo stesso avviso di accertamento e non avrebbe spiegato le ragioni del ricorso all’accertamento analitico -induttivo come conseguenza di una grave inattendibilità delle scritture, rimasta indimostrata, così disattendendo la disposizione di cui all’art. 39, primo comma, lett. d) cit.
4.2. La C.t.r. ha rilevato che nell’avviso di accertamento si era attestato che le risposte date al questionario erano incomplete e che il contribuente non aveva fornito un quadro delle rimanenze iniziali e finali, limitandosi a fornire fatture relative ad approvvigionamenti di materie prime che risultavano incongruenti con le fatture fiscali emesse. Di qui ha ritenuto corretto il ricorso al metodo induttivo
evidenziando che il contribuente aveva impedito, o quanto meno ostacolato, la verifica dei redditi prodotti, restando integrato il presupposto di cui all’art.39, comma 1, lett. d) d.P.R. n. 600 del 1973 Infine, ha esposto le ragioni per le quali doveva ritenersi legittimo il recupero a tassazione di ricavi occulti facendo riferimento alle statistiche in materia di consumo di pane, riso e vino ed ai risultati che apparivano coerenti con lo spazio a disposizione dei clienti, con il numero dei coperti, con il costo medio dei pasti serviti.
4.3. Tale motivazione, diversamente da quanto sostenuto con entrambi i motivi in esame, è del tutto idonea ad esplicitare la ratio decidendi de lla decisione e l’iter logico seguito per giungere alla conclusione del corretto ricorso all’accertamento analitico -induttivo ed alla legittimità dell’accertamento.
Va rammentato che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54. legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, nel senso che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile»; è esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 e 8054).
4.4. Pure è infondata la censura formulata nel primo motivo sul presupposto che la C.t.r. avrebbe omesso di esaminare il questionario consegnato e la documentazione allegata.
Dette circostanze, al contrario, sono state oggetto di espressa considerazione da parte della C.t.r. che, al contrario, ha evidenziato come le risposte al questionario fossero incomplete e come il contribuente non avesse fornito il quadro delle rimanenze inziali e finali avendo solo esibito fatture relative all’approvvigionamento di materie di prime incongruenti con le fatture emesse.
4.5. Infine, non vi è nemmeno la violazione di legge censurata con il secondo motivo. La decisione resa è conforme alla giurisprudenza di questa Corte la quale ha chiarito che nell’accertamento delle imposte sui redditi, il comportamento del contribuente che ometta di rispondere ai questionari previsti dal l’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 e non ottemperi alla richiesta di esibizione di documenti e libri contabili relativi all’impresa esercitata, impedendo in tal modo, o comunque ostacolando, la verifica dei redditi prodotti da parte dell’Ufficio, vale di per sè solo ad ingenerare un sospetto sull’attendibilità di dette scritture, rendendo grave la presunzione di attività non dichiarate desumibile dal raffronto tra le percentuali di ricarico applicate e quelle medie del settore, e, conseguentemente, legittimo l’accertamento induttivo emesso ex art. 39, lett d) d.P.R. cit.
In particolare, costituisce presupposto per procedere col metodo analitico induttivo la complessiva inattendibilità della contabilità, da valutarsi sulla base di presunzioni ex art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600, del 1973, alla stregua di criteri di ragionevolezza, ancorché le scritture contabili siano formalmente corrette; dette presunzioni non devono essere necessariamente plurime, potendosi il convincimento del giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave (Cass. 14/10/2020 n. 22184).
Inoltre, per procedere all’accertamento con metodo analiticoinduttivo è comunque sufficiente anche una parziale inattendibilità dei dati risultanti dalle scritt ure contabili, nel senso che l’ incompletezza, falsità od inesattezza degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere del tutto dalle scritture contabili, potendo però l’Ufficio utilizzare, ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’art. 2729 cod. civ. (cfr. Cass. 18/12/2019 n. 33604).
Va aggiunto che il discrimine tra l’accertamento con metodo analitico-induttivo cui è ricorso l’Ufficio nella fattispecie in esame – e quello con metodo induttivo puro sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, l ‘i ncompletezza, falsità o inesattezza degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, in quanto l’Ufficio accertatore può solo completare le lacune riscontrate, utilizzando ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’art. 2729 cod. civ. nel secondo caso, invece, le omissioni o le false od inesatte indicazioni sono così gravi, numerose e ripetute da inficiare l’attendibilità – e dunque l’utilizzabilità, ai fini dell’accertamento – anche degli altri dati contabili (apparentemente regolari), sicché l’Amministrazione finanziaria può prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 cod. civ.
4.6. La C.t.r. si è attenuta a questi principi. Infatti, se pure è pacifico che il contribuente ottemperò formalmente all’invito di cui al questionario producendo documentazione, è, altresì, incontestato che l’Ufficio rilevò che tale produzione non era pertinente e idonea a fornire
i chiarimenti richiesti, tanto da concretizzarsi in una sostanziale omissione di esibizione. Tale argomentazione è stata fatta propria dal Giudice di appello il quale, come già esposto, ha ritenuto in definitiva, che l’inidoneità della documentazione esibita rendesse legittimo il ricorso al metodo induttivo.
A ciò deve aggiungersi che il giudizio espresso (sulla carenza di idoneità e di pertinenza della documentazione prodotta) è frutto dell’accertamento in fatto riservato al Giudice di merito e, nella specie, tale accertamento non è stato idoneamente attinto con il mezzo di impugnazione (Cfr. Cass. 07/09/2018, n. 21823).
Il terzo motivo è anch’esso infondato.
5.1. IL motivo non si confronta con la sentenza impugnata.
Il ricorrente assume che la CRAGIONE_SOCIALE. avrebbe considerato legittima la determinazione del reddito in via induttiva facendo riferimento alla metodologia accertativa di cui circolare 3/E del 2001 che conterrebbe «valutazione e calcoli statistici di provenienza qualificata». Trattasi, tuttavia, di argomentazione che, così come riportata, non si rinviene nel testo della sentenza.
5.2. Il giudice d’appello ha fatto riferimento al raffronto tra le percentuali di ricarico e quelle medie del settore; di seguito, ha condiviso il calcolo sotteso all’accertamento, fondato sulle statistiche relative al consumo di riso, pasta, pane e vino ed ha motivato sull’inattendibilità della ricostruzione del contribuente , che si fondava su una diversa ricostruzione dei consumi medi pro capite, rapportando il tutto al numero dei coperti in ragione dello spazio disponibile ed al costo medio dei pasti serviti, escluso il c.d. autoconsumo.
Tale motivazione è in linea con la giurisprudenza di legittimità secondo la quale a norma dell’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973, legittimamente l’Amministrazione finanziaria determina il reddito sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua
conoscenza, tra i quali è compresa la redditività media del settore specifico in cui opera l’imp resa sottoposta ad accertamento (cfr. Cass. 07/10/2024, n. 26178).
5.3. Piuttosto deve rilevarsi che il ricorrente, pur deducendo apparentemente, una violazione di norme di legge, mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 04/07/ 2017, n. 8758). Oggetto del giudizio che si vorrebbe demandare a questa Corte non è l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla valutazione del giudice di merito (Cass. 13/05/2022, n. 17744, Cass. 05/02/ 2019, n. 3340; Cass. 14/01/ 2019, n. 640; Cass. 13/10/ 2017, n. 24155; Cass. 04/04/ 2013, n. 8315).
6 Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Alla soccombenza segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, oltre quelle prenotate a debito.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di l egittimità, che liquida in euro 4.100,00 a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto
Così deciso in Roma, il 5 marzo 2025.