Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32032 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32032 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20231/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in LECCE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della CORTE di GIUSTIZIA TRIBUTARIA di secondo grado della PUGLIA, n. 1842/2023 depositata il 19/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/10/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia ( hinc: CGT), con sentenza n. 1842/2023 depositata in data 19/06/2023, ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 2520/2016, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Taranto, in data 04/11/2016, aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente contro l’avviso di accertamento n. TVP01I30216/2015 emesso nei confronti dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE Stranieri Giuseppe.
La CGT, ritenendo di confermare la sentenza di primo grado, ha evidenziato l’infondatezza della tesi sostenuta dall’amministrazione finanziaria in ordine al fatto che il ricorrente fosse l’effettivo acquirente finale degli oggetti di arte funeraria che gli erano stati consegnati dalla società mandante e documentati dagli scontrini fiscali e non da fattura. Trattandosi di beni che non potevano essere destinati all’uso personale del ricorrente, non potevano che essere oggetto di rivendita a terzi.
2.1. La CGT, al contrario, ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. 29/09/1973, n. 600, ha rilevato che l’accertamento analitico -induttivo presuppone la presenza di scritture contabili regolarmente tenute dal punto di vista formale o, comunque, inficiate da vizi formali di modesta entità, che siano affette da incompletezze, inesattezze e infedeltà, valutate sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti. In ogni caso, l’ufficio, per la legittimità
dell’accertamento deve provare, in modo attendibile, le risultanze dei criteri adottati e degli elementi acquisiti, in modo che la relazione tra fatto noto e fatto non noto sia conseguenza ragionevolmente probabile secondo un criterio di normalità.
2.3. Dall’analisi della documentazione prodotta il processo logico inferenziale si fonda su una serie di elementi non sufficientemente collegati ad alcun elemento fattuale ed è evidente l’artificiosità e la contraddittorietà della ricostruzione dei ricavi da parte dell’ufficio. Diversamente, il contribuente, con una serie di documenti (e-mail, delega sul conto corrente della preponente, estratti degli incassi effettuati per conto della preponente presso Unicredit) ha dimostrato che la vendita certificata da scontrini fiscali è avvenuta direttamente nei confronti del cliente e che l’agente non ha acquistato merce per poi rivenderla con una percentuale di ricarico. Conclude, quindi, rilevando che: « la presenza di un valido contratto di agenzia sottoscritto tra le parti, l’esistenza di resoconti e/o estratti conto relativi alle movimentazioni finanziarie e la sussistenza di regolari fatture e scontrini fiscali sono tutti elementi in grado di provare e saustivamente l’esistenza del mandato di agenzia e l’inesisten za di una presunta parallela attività di compravendita da parte del ricorrente.»
Contro la sentenza della CGT l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in cassazione con due motivi.
Il contribuente ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata contestata la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e art. 118 cod. proc. civ., in relazione anche al l’ art. 36, comma 2, n. 4
d.lgs. 31/12/1991, n. 546. Il riferimento all’art. 118 cod. proc. civ. deve essere inteso all’art. 118 d. att. cod. proc. civ.
1.1. Ad avviso della ricorrente la sentenza impugnata presenta una motivazione meramente apparente, non avendo i giudici di secondo grado esaminato, neppure sommariamente, le specifiche circostanze addotte dall’ufficio a sostegno dell’accertamento e non avendo spiegato l’iter logico giudico seguito per addivenire alla propria decisione.
Con il secondo motivo la ricorrente ha contestato la violazione e falsa applicazione degli artt. 22 d.P.R. 26/10/1972, n. 633, 1, comma 1, d.m. 23/03/1983 e dell’art . 39, primo comma, lett. a), d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
2.1. Ad avviso della ricorrente, infatti, giudici di secondo grado hanno respinto l’appello proposto dall’Ufficio ritenendo non provata la pretesa fiscale sulla base di un’erronea interpretazione della normativa relativa agli obblighi di certificazione dei corrispettivi tramite scontrino fiscale. Difatti, In base al disposto dell’articolo 1, comma 1, legge 26/01/1983, n. 18: « per le cessioni di beni effettuate in locali aperti al pubblico o in spacci interni, per le quali non è obbligatoria l’emissione della fattura, e per le somministrazioni in pubblici esercizi di alimenti e bevande non soggette all’obbligo del rilascio della ricevuta fiscale, è stabilito l’obbligo di rilasciare apposito scontrino fiscale mediante l’uso esclusivo di speciali registratori di cassa o terminali elettronici, o di idonee bilance elettroniche munite di stampante ».
Dal punto di vista soggettivo, secondo quanto previsto dall’articolo 22 d.P.R. n. 633 del 1972, sono obbligati al rilascio dello scontrino fiscale i soggetti passivi IVA che realizzano operazioni imponibili per le quali non è obbligatoria l’emissione della fattura (se non richiesta
dal cliente) e cioè i commercianti al minuto e i soggetti ad essi assimilati.
Le vendite effettuate da imprese produttrici, che non operano in locali aperti al pubblico né in spacci interni, nei confronti dei privati consumatori sono soggette all’obbligo di emissione della fattura. Infatti, secondo la risoluzione ministeriale del 30/07/1992, n. 570772, « per quanto concerne le eventuali vendite effettuate da imprese produttrici nei confronti di privati consumatori, non sussiste l’obbligo di rilascio dello scontrino fiscale non rientrando tali operatori nella previsione legislativa di cui all’art. 22, n. 1, del citato D.P.R. n. 633. Ne consegue che per le cessioni in parola sussiste in ogni caso l’obbligo di emissione della fattura ».
Inoltre, lo scontrino fiscale deve essere rilasciato al soggetto che acquista il bene o utilizza il servizio prestato in quanto certifica il perfezionamento dell’operazione e quindi deve essere emesso nel momento in cui quest’ultima si considera conclusa ai fini IVA. Per le cessioni di beni l’operazione è conclusa nel momento in cui il bene è consegnato o spedito al consumatore finale.
2.2. Di conseguenza, la società RAGIONE_SOCIALE non avrebbe potuto emettere lo scontrino fiscale nelle mani del sig. COGNOME NOME innanzitutto perché costui non era il destinatario finale della merce ma un agente della stessa e, inoltre, perché l’operazione non poteva ancora dirsi conclusa ai fini IVA (solo in questo momento, infatti, sorge l’obbligo, in capo al cedente, di emettere lo scontrino fiscale o altro documento di certificazione del corrispettivo).
Pertanto, sulla base delle precedenti considerazioni, deve concludersi che l’Ufficio abbia operato correttamente quando ha attribuito, in via presuntiva, al ricorrente la qualifica di consumatore
finale della merce perché tale era da considerarsi sulla base della normativa innanzi citata.
2.3. Rileva, poi, come il sig. COGNOME non avesse prodotto alcuna documentazione comprovante la consegna dei beni a terzi in esecuzione di un incarico di agenzia. Di conseguenza, l’unico e ultimo soggetto, a cui era stato possibile attribuire il possesso dei beni la cui cessione era stata documentata da scontrino fiscale, era appunto il signor COGNOME NOME.
Anche la modalità di pagamento in contanti di tali cessioni non aveva consentito di identificare un cliente finale diverso dall’agente, né era stata esibita alcuna documentazione attestante i nominativi di terzi acquirenti che avrebbero consegnato il contante all’agente affinché lo stesso provvedesse a riversarlo alla RAGIONE_SOCIALE. Inoltre, come risultava dalla segnalazione della Direzione provinciale di Parma, la RAGIONE_SOCIALE contabilizza « l’importo de i corrispettivi in dare dell’apposito conto di credito acceso a ciascun agente ed in avere del medesimo conto viene registrato il successivo pagamento da parte degli stessi agenti. Con l’adozione di tale metodo di contabilizzazione è la stessa società mandante a considerare l’agente suo cliente .»
2.4. La modalità di gestione delle operazioni documentate da scontrino fiscale non rispettava gli accordi previsti nella lettera di incarico in quanto al punto 8 ‘Ordini’ era previsto che: « Gli ordini debbano essere redatti chiaramente e contenere, oltre al Suo nome, tutte le indicazioni relative al tipo di merce, al prezzo, alle condizioni di consegna e di pagamento nonché il nome, l’indirizzo e il codice fiscale del cliente, da cui dovranno essere chiaramente sottoscritti per accettazione ».
L’agente non aveva esibito copia degli ordini relativi ai beni oggetto di vendita con scontrino fiscale e, comunque, gli stessi ordini,
rinvenuti presso la RAGIONE_SOCIALE erano privi dell’indicazione dei destinatari dei beni venduti. Né controparte ha esibito la documentazione relativa alla rimessione alla RAGIONE_SOCIALE delle somme incassate, così come previsto dall’articolo 9 della ‘Lettera di incarico’.
Inoltre, al successivo punto 11 ‘Provvigioni’ era previsto che: « La provvigione Le sarà riconosciuta sulla base delle fatture incassate» con ciò escludendo la possibilità di emettere scontrini fiscali in relazione agli ordini intermediati dall’agente. »
2.5. La ricorrente ritiene, quindi, corretta sia la presunzione che il sig. COGNOME fosse l’effettivo acquirente e consegnatario della merce, sia che tali beni -trattandosi di cimeli di arte funeraria che non potevano essere destinati ad uso personale -dovessero essere rivenduti a terzi.
La controricorrente ha contestato l’inammissibilità del primo motivo di ricorso e ha evidenziato che dall’ordinamento è stato espunto il vizio di motivazione, previsto nel testo previgente dello stesso art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio. Tuttavia, resta la possibilità di contestare la nullità della sentenza impugnata, in ragione della mancanza assoluta di motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico oppure di una formulazione della motivazione definibile come apparente, di un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o di una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.
3.1. Anche l’eccezione svolta dalla ricorrente con il secondo motivo di ricorso ad avviso della controricorrente è inammissibile, in quanto , nonostante l’Erario la qualifichi come una falsa applicazione e/o violazione di norme di legge, di fatto, con essa l’Ufficio contesta
il valore probatorio attribuito dalla C.G.T. alle argomentazioni fornite dalla contribuente, a giustificazione della lamentata illegittimità dell’operato dell’Ufficio.
Entrambi i motivi di ricorso sono in parte infondati e in parte inammissibili.
4.1. Il primo motivo di ricorso è infondato nella misura in cui è chiaramente riscontrabile l’iter argomentativo svolto nella sentenza impugnata, dove la CGT richiama, seppure succintamente, le produzioni documentali del contribuente, dalle quali ha tratto il convincimento che quest’ultimo non fosse l’acquirente finale della merce, ritenendo, quindi, infondata la pretesa avanzata dall’amministrazione finanziaria. Il motivo è altresì inammissibile nella misura in cui la ricorrente sollecita una diversa rivalutazione delle risultanze istruttorie in atti.
Tale motivo di inammissibilità lambisce anche il secondo motivo di ricorso, da ritenere, comunque, infondato, dal momento che la violazione fiscale inerente all’emissione dello scontrino in luogo della fattura sarebbe imputabile, in primo luogo, a un soggetto diverso dall’odierna parte controricorrente e non potrebbe, ex se, assumere valore dirimente ed escludente rispetto ad altre risultanze probatorie, espressamente menzionate. La sentenza impugnata richiama non solo la e-mail di cui viene riportato il contenuto nel ricorso, ma anche altri elementi come la delega sul c/c della proponente, gli estratti degli incassi effettuati per conto della preponente in Unicredit, la presenza di un valido contratto di agenzia, l’esistenza di resoconti e/o estratti con to relativi alle movimentazioni finanziarie e la sussistenza di regolari fatture e scontrini fiscali. Da tali elementi è stata esclusa la presenza di un’attività di compravendita da parte del sig. COGNOME con una
valutazione di merito, come tale sottratta al sindacato di legittimità proprio della Corte di cassazione.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Così deciso in Roma, il 22/10/2024.