Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13996 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13996 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/05/2024
ORDINANZA
Sul ricorso n. 7198-2016, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf CODICE_FISCALE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Ricorrente
CONTRO
COGNOME NOME (cf. CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 4863/22/2015 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 17.09.2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21 novembre 2023 dal AVV_NOTAIO,
Rilevato che
Dalla sentenza impugnata si evince che, relativamente all’anno d’imposta 2007, l’RAGIONE_SOCIALE notificò a COGNOME NOME, esercente
Accertamento – Analitico-induttivo
attività di parrucchiere, l’avviso d’accertamento con cui contestò redditi maggiori del dichiarato, valorizzando l’antieconomicità dell’attività svolta e l’inattendibilità della contabilità. A tal fine rilevò la mancata registrazione di ricavi non dichiarati (€ 46.000,00) scoperti di cassa (€ 5.000,00) , l’omessa fatturazione di acquisti (€ 4.000,00) , la deduzione di costi non inerenti (€ 3.000,00 circa).
All’esito negativo del procedimento di accertamento con adesione seguì l’impugnazione dell’atto impositivo dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Rieti, che con sentenza n. 230/01/2013 accolse in parte le ragioni del contribuente, riducendo le pretese erariali. Il COGNOME e l’Amministrazione finanziaria, ciascuna per quanto soccombente, appellarono la decisione dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, che con sentenza n. 4863/22/2015 accolse integralmente le censure del contribuente e parzialmente quelle dell’ufficio.
Il giudice regionale, dopo aver riportato le ragioni difensive RAGIONE_SOCIALE parti e le regole applicabili all’accertamento analitico -induttivo, ha ritenuto che correttamente il contribuente aveva invocato l’illegittimità dell’accertamento, per violazione dell’art. 10, comma 4, della l. n. 146 del 1998, ratione temporis vigente, perché la differenza tra i ricavi dichiarati e quelli accertati era inferiore al 40% e comunque non superiore ad € 50.000,00, presupposti necessari per procedere con accertamento analiticoinduttivo.
In ogni caso, nel merito RAGIONE_SOCIALE pretese erariali, ha esaminato criticamente , tra gli indizi addotti dall’Amministrazione finanziaria al fine di rideterminare il numero di prestazioni rese alla clientela, quello del consumo di acqua ossigenata. Ha quindi evidenziato che il suo maggior peso specifico rispetto all’ossigeno aveva causato un erroneo calcolo RAGIONE_SOCIALE prestazioni rispetto a quelle dichiarate dal contribuente. Da tanto ha ricavato che i risultati finali, cui l’RAGIONE_SOCIALE era pervenuta , fossero frutto di erronea ponderazione della quantità dei prodotti consumati. Ha ritenuto pertanto sufficiente la rilevazione di tale errore a travolgere integralmente la rideterminazione analitico-induttiva dei maggiori ricavi, con conseguente accoglimento RAGIONE_SOCIALE ragioni d’appello del contribuente.
Con riferimento invece all’appello incidentale dell’Amministrazione finanziaria, ha esaminato e accolto quello relativo al disconoscimento di costi
NUMERO_DOCUMENTO AVV_NOTAIO rel. COGNOME
ritenuti non inerenti, rigettando la seconda censura (riferita alla mancata registrazione di ricavi non annotati nel registro Iva, per la somma di € 1.115,00).
La ricorrente ha chiesto la cassazione della sentenza, affidandosi a quattro motivi, cui ha resistito il contribuente con controricorso, ulteriormente illustrando le proprie eccezioni e difese con memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ.
All’esito dell’adunanza camerale del 21 novembre 2023 la causa è stata riservata e decisa.
Considerato che
Con il primo motivo l’RAGIONE_SOCIALE ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 del d.P.R. 29 settembre 1979, n. 600, nonché degli artt. 2697 e 2729, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Il giudice regionale avrebbe erroneamente applicato le regole probatorie riferibili agli accertamenti analitico-induttivi, e nella specie quelle sul vaglio RAGIONE_SOCIALE prove presuntive, per aver valorizzato, tra i vari indizi prospettati dall’Ufficio, esclusivamente quello del peso specifico dell’acqua ossigenata, maggiore de ll’ossigeno, impiegato per la colorazione dei capelli, così pervenendo ad un errato calcolo del numero di prestazioni professionali offerte alla clientela.
Con il secondo motivo l’Amministrazione finanziaria ha lamentato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. Si duole l’ufficio dell’errato calcolo del consumo d’ossigeno, perché le difese del contribuente, in ordine al peso specifico del prodotto impiegato, erano state tratte dal documento riferito al prodotto commercializzato dall’azienda ‘RAGIONE_SOCIALE‘, laddove l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE av eva ben evidenziato, nelle controdeduzioni d’appello, l’utilizzo preponderante di a ltri prodotti, contenenti ossigeno in quantità maggiori rispetto ai preparati de L ‘RAGIONE_SOCIALE .
I due motivi, pur afferendo a censure distinte per parametri di critica avverso la sentenza impugnata, vanno trattati congiuntamente perché entrambi indirizzati ad evidenziare i vizi della pronuncia, sia sotto il profilo dell’errore di diritto, sia sotto quello della omissione motivazionale. Essi sono infondati.
Nel proporre le critiche sulle modalità accertative del reddito del contribuente, l’RAGIONE_SOCIALE non ha colto nel segno. Essa infatti non si è avveduta che l’accoglimento RAGIONE_SOCIALE ragioni del COGNOME vertevano sulla ritenuta inapplicabilità del metodo d ‘accertamento analitico -induttivo, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, mancando i presupposti all’epoca richiesti dall’art. 10 della l. 146 del 1998.
La disciplina dettata in materia di studi di settore dall’art. 10 cit., all’epoca vigente, prevedeva infatti che « Le rettifiche sulla base di presunzioni semplici di cui all’articolo 39, primo comma, lettera d), secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54, secondo comma, ultimo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, non possono essere effettuate nei confronti dei contribuenti che dichiarino, anche per effetto dell’adeguamento, ricavi o compensi pari o superiori al livello della congruità, ai fini dell’applicazione degli studi di settore di cui all’articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, tenuto altresì conto dei valori di coerenza risultanti dagli specifici indicatori, di cui all’articolo 10bis, comma 2, della presente legge, qualora l’ammontare RAGIONE_SOCIALE attività non dichiarate, con un massimo di 50.000 euro, sia pari o inferiore al 40 per cento dei ricavi o compensi dichiarati . ».
È sul richiamo a questa disciplina, già invocata dalla difesa del contribuente, che si è principalmente fondata la motivazione della sentenza.
Tale ragione, a prescindere dalla sua correttezza, non è stata oggetto di censura da parte della difesa erariale, così che si rende del tutto inutile la critica rivolta alla condivisione manifestata dal giudice regionale in ordine alla erroneità dei calcol i eseguiti dall’Amministrazione finanziaria, ricavati dal consumo presunto del prodotto di fissaggio RAGIONE_SOCIALE colorazioni dei capelli (sia esso l’ossigeno o l’acqua ossigenata o altri prodotti specifici menzionati in ricorso).
I motivi vanno pertanto rigettati.
Al rigetto dei primi due motivi segue il rigetto anche del quarto, con il quale l’RAGIONE_SOCIALE ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché con la decisione assunta il giudice
regionale avrebbe travolto integralmente il recupero ad imposta di ricavi non dichiarati, laddove avrebbe dovuto limitarsi a rideterminare le pretese erariali sulla base di operazioni di calcolo ritenute più corrette.
A parte che l’atto impositivo non risulta del tutto travolto, come sarà a breve chiarito, se si è ritenuto che mancavano i presupposti per ricorrere a tale metodo, l’atto impositivo non poteva subire sorte diversa quanto alla parte dei maggiori ricavi emersi con l’accertamento analitico -induttivo.
Con il terzo motivo l’RAGIONE_SOCIALE si è doluta della violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. Il giudice regionale avrebbe omesso di pronunciarsi sul secondo motivo d’appello incidentale, afferente il disconoscimento del recupero ad iva di ricavi non annotati nel relativo registro. Il giudice regionale cioè, nel pronunciarsi sui motivi d ‘appello incidentale dell’ufficio, avrebbe esaminato solo quello relativo alla detrazione di costi non inerenti all’attività d’impresa.
Il motivo non trova fondamento per come formulato. Con esso la ricorrente ha denunciato l’omessa pronuncia, non anche l’apparente motivazione. Sennonché il parametro di censura scelto non coglie nel segno anche in questo caso.
Nell’esame dell’appello incidentale , infatti il giudice regionale fa mostra di aver esaminato anche le ragioni addotte dall’ufficio relativamente agli importi RAGIONE_SOCIALE operazioni assoggettabili ad iva e non registrate. Il tenore del passaggio motivazionale, laddove si afferma che «passando all’ esame dell’appello incidentale, esso va accolto limitatamente al primo motivo….», inequivocamente lascia intendere, sebbene in modo sintetico, o anche criptico, il rigetto del secondo. Ne deriva che non vi è stata omessa pronuncia.
In definitiva il ricorso va rigettato.
Le spese di causa seguono la soccombenza e vanno liquidate nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore del contribuente RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in €
7.000,00 per competenze, € 200,00 per esborsi, oltre spese generali, nella misura forfettaria del 15% RAGIONE_SOCIALE competenze, e accessori come per legge. Così deciso in Roma, il giorno 21 novembre 2023