Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23646 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23646 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/09/2024
Oggetto: accertamento analitico induttivo – studi di settore
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7481/2018 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, n.3534/8/2017 depositata in data 7/9/2017, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 24 aprile 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia veniva rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano n. 4982/3/16, che aveva solo parzialmente accolto il ricorso introduttivo del contribuente volto ad ottenere l’annullamento dell ‘avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO emesso per l’anno di imposta 2009.
Con tale atto impositivo, preceduto dall’invio di questionario e d all’ invito al deposito di documentazione, l’Agenzia contestava in primo luogo la fatturazione di operazioni da parte di società appartenenti al medesimo gruppo al solo scopo di ridurre il carico fiscale. In secondo luogo, veniva contestata la mancanza di congruità della dichiarazione rispetto alle risultanze degli studi di settore applicabili conducendo ad una ricostruzione del reddito d’impresa ex art.39 comma 1 lett. d) d.P.R. n.600/73. Una terza contestazione riguardava l’effettività e inerenza dei costi relative a spese di viaggi. I rilievi conducevano all’accertamento in capo alla società di maggiori redditi non dichiarati e, in particolare, di una maggiore IRES, IRAP e IVA oltre sanzioni e interessi.
Il giudice di prime cure accoglieva parzialmente la prospettazione della contribuente, confermando la riduzione del maggior reddito imponibile già accordata dall’Ufficio nel proprio atto di costituzione nel giudizio di primo grado, e rigettando nel resto le doglianze proposte dalla società. La decisione veniva confermata integralmente dal giudice d’appello.
Avverso la sentenza d’appello propone ricorso per cassazione la contribuente, affidato a sette motivi, cui l’Agenzia replica con controricorso.
Considerato che:
Con il primo e il secondo motivo di ricorso la ricorrente, in relazione all’art. 360, comma 1. n. 3, cod. proc. civ., si lamenta, rispettivamente, della violazione e falsa applicazione dell’art. 10, co. 3-bis della l. n. 146/1998 e dell’articolo 5 del d.lgs. n. 218 del 1997 (primo motivo), nonché dell’art. 41, commi 1 e 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e dell’art. 12 della l. n. 212/2000 (secondo motivo) in quanto l’avviso di accertamento non è stato preceduto dalla preventiva instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale.
Il sesto motivo prospetta, con riferimento alla medesima questione del contraddittorio, anche la nullità della sentenza in rapporto all’art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ. e l’error in procedendo in relazione al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, perché la CTR non ha caducato la sentenza di primo grado che non si è pronunciata sulla questione.
I suddetti mezzi di impugnazione, connessi, non sono inammissibili per difetto di specificità come eccepito in controricorso, in quanto il pertinente capo della sentenza impugnata è comunque sintetizzato nell’incipit del ricorso, ma non possono trovare ingresso perché la questione relativa contraddittorio e affrontata secondo diverse angolazioni dalle tre censure in disamina è da rigettare funditus .
3.1. Le Sezioni Unite, con la sentenza 29 luglio 2013 n. 18184, hanno statuito con riferimento ai diritti e alle garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, che l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 dev ‘ essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività,
della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale. Questo assunto costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio.
3.2. Ulteriore chiave interpretativa è stata poi fornita per i controlli cd. a tavolino dalla sentenza 9 dicembre 2015 n. 24823, secondo la quale, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino” . La medesima decisione ha inoltre sancito la necessità di operare, per i tributi armonizzati, una “prova di resistenza” ai fini della valutazione del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, in determinati casi. Infatti, in tal caso l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”. Al contrario, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito.
3.3. Sulla base di tali caposaldi, la Corte ha poi affermato che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 (cd. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, opera una valutazione ex ante in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso ante tempus , anche nell’ipotesi di tributi “armonizzati”. Pertanto, ai fini della relativa declaratoria non dev’ essere effettuata la prova di “resistenza”, invece necessaria, per i soli tributi “armonizzati”, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione ex post sul rispetto del contraddittorio (Cass. Sez. 5, n. 701 del 15/01/2019; conforme, Cass. Sez. 5, n. 22644 del 11/09/2019).
3.4. Sulla base del quadro che precede, il Collegio osserva che la sentenza impugnata a pag.3 della parte motiva accerta che il contenzioso trae origine da una verifica e che il 16.11.2012 è stato notificato un processo verbale di constatazione. Orbene, visto che l’atto impositivo è stato notificato il 21.11.2014 il compendio normativo sopra richiamato è stato rispettato.
Ma anche a voler ritenere che si verta in un caso di cd. controlli a tavolino, come sembrano dedurre entrambe le parti, si deve concludere che proprio per tale ragione non trova applicazione l’art.12 comma 7 cit. né vi è obbligo, nel quadro temporale ratione temporis vigente, di instaurare il contraddittorio anteriormente all’adozione dell’atto impositivo. Per la ripresa IVA, in caso di controlli a tavolino si pone in astratto un problema di rispetto del principio del contraddittorio discendente dal quadro normativo europeo applicabile, profilo critico che, tuttavia, non si risolve in una declaratoria di invalidità dell’avviso . A tale conclusione giunge anche la sentenza impugnata ed è confermata dal Collegio, in quanto la prova di resistenza è solo
genericamente prospettata dalla contribuente. Né è idonea l’affermazione a pag.14 del ricorso secondo cui sarebbe stato possibile evidenziare il modesto scostamento dagli studi di settore, dal momento che nella fattispecie la ripresa è fondata non solo su tale profilo bensì su di una pluralità di elementi di prova, nel quadro di un più ampio accertamento analitico induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d, del d.P.R. n. 600 del 1973 e, dunque, non è affatto dimostrato che l’allegazione avrebbe inciso sull’adozione dell’atto impositivo.
Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art.19 del d.P.R. n.633/1972, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, che non subordina la detrazione dell’IVA connessa al corrispettivo delle prestazioni di servizi infragruppo ricevute, al rispetto del criterio del valore normale individuato dall’art.9 del d.P.R. n.917/1986, per non aver la CTR pronunciato su uno specifico motivo di appello a riguardo sollevato dalla società, secondo cui in ambito IVA non vi sarebbero norme che consentono di limitare la detraibilità dei costi sulla base della pretesa eccessività rispetto ad un valore ritenuto normale.
Il quinto motivo prospetta, con riferimento alla medesima questione, anche la nullità della sentenza in relazione all’art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ. e l ‘error in procedendo in relazione al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
I motivi sono connessi e, per tale ragione, di trattazione congiunta, e sono affetti da concorrenti profili di inammissibilità e di infondatezza.
6.1. In primo luogo, non sussiste l’omessa pronuncia perché a pag.2 della motivazione il giudice da espressamente atto del pertinente motivo di appello («illegittimità dell’accertamento IVA atteso che la base imponibile è costituita dal prezzo pagato») e, dal momento che la sentenza ha rigettato l’appello, il giudice si è implicitamente pronunciato anche su tale questione.
6.2. In secondo luogo, la questione è anche manifestamente infondata e perciò inammissibile poiché parte ricorrente non tiene conto
della giurisprudenza di Sezione (Cass. Sez. 5, n. 10420 del 19/04/2023) secondo la quale in tema di accertamento analiticoinduttivo ex art. 39, comma 1, lett. d, del d.P.R. n. 600 del 1973, ai fini della determinazione del reddito di impresa per omessa contabilizzazione di ricavi e IVA relativa ad operazione commerciale tra società del medesimo gruppo, aventi sede in Italia, per l’individuazione del valore da attribuire ad una prestazione di servizi, lo scostamento dal “valore normale” può assumere rilievo quale parametro indiziario dell’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione. Ciò esula dal normale margine di errore di valutazione anche dell’inerenza della destinazione del bene o servizio, così da giustificare l’accertamento, con conseguente onere di prova contraria a carico del contribuente. Inoltre, siffatto iter logico non determina neppure la violazione del criterio della neutralità del tributo armonizzato, né della norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 147 del 2015, che è diretta ad escludere l’applicazione dell’art. 110 TUIR al transfer pricing interno e non a limitare la portata logico-giuridica dell’art. 9 TUIR.
Con il quarto motivo di ricorso la contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 62-bis e 62-sexies, co, 3, del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla legge del 29 ottobre 1993 n. 427, ai fini dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. in relazione ai requisiti di applicabilità degli studi di settore alla fattispecie.
Con il settimo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 11, comma 6, Cost., dell’art. 132, comma 2, n. 4) cod. proc. civ. ed all’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. per motivazione apparente della sentenza della CTR circa l’assenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore atte ad integrazione delle presunzioni semplici, gravi, precise e concordanti previste dall’art. 39, comma l, lett. d) del d.P.R. 600/73.
Le censure, connesse in quanto, seppure da angolazioni diverse, relative al medesimo capo della sentenza impugnata, sono di trattazione congiunta e non possono trovare ingresso.
9.1. In applicazione dell’art. 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993, gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lettera d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62-bis del presente decreto.
9.2. Il presupposto della “grave incongruenza” di cui all’art. 62 sexies, comma 3, del d.l. n. 331 del 1993 – che la contribuente contesta per negare l’applicabilità dello studio di settore alla fattispecie – non tiene conto del fatto che è pacifica la circostanza secondo la quale le contestazioni riguardano, come si legge nello stesso ricorso a pag.36, non semplicemente lo scostamento tra ricavi dichiarati e presunti in base allo studio di settore. Al contrario, lo scostamento è messo in relazione alla rideterminazione analitico induttiva del reddito d’impresa effettuata ex art. 39, comma 1, lett. d, del d.P.R. n. 600 del 1973.
9.3. Infatti, l’accertamento non è stato condotto con esclusivo riguardo alle risultanze degli studi di settore, bensì con riferimento anche alla documentazione contabile ed extracontabile della società, e questo compendio di elementi ha confermato gli esiti degli studi di settore. Di ciò il giudice ha logicamente tenuto conto in un’ampia argomentazione alle pagg.3 e 4 della parte motiva con precisi ancoraggi al quadro istruttorio e fattuale della fattispecie concreta che rispetta il minimo costituzionale (Cass. Sez. Un. n.8053/2014). Né, del resto, questa motivazione del giudice è stata utilmente censurata dalla ricorrente prospettando un eventuale omissione di fatto decisivo o vizio logico argomentativo decisivo ai fini dell’art.360 primo comma n.5 cod. proc. civ., e non è ammessa in Cassazione la mera
rivalutazione di un argomentato apprezzamento di merito del giudice.
10. Alla luce di quanto precede il ricorso va complessivamente rigettato e le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna parte ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese di lite, liquidate in euro 5.800 oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso il 24.4.2024