Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22922 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22922 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19314/2016 R.G. proposto da :
ARREDAMENTI RAGIONE_SOCIALE LA COGNOME, DI BARI NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOMENOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende -controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della PUGLIA, sez. dist. FOGGIA, n. 68/2016 depositata il 19/01/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/06/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. dist. Foggia ( hinc: CTR), con la sentenza n. 68/2016 depositata in data 19/01/2016, ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE nonché da COGNOME NOME e NOME COGNOME contro la sentenza n. 226/2012 della Commissione tributaria provinciale di Foggia, che aveva respinto i ricorsi dei contribuenti contro gli avvisi di accertamento, emessi nei confronti della società in relazione agli anni di imposta 2006 e 2007, nei confronti della socia Di Bari per gli anni 2006 e 2007 e nei confronti del socio RAGIONE_SOCIALE per l’anno 2006.
La CTR ha ritenuto che:
il maggior reddito di impresa è stato accertato tenendo conto della rimuneratività minima conseguibile in termini di salario figurativo e prendendo a base il salario corrisposto al dipendente più qualificato, con la conseguenza che il riferimento allo studio di settore indica solamente che è stato usato come punto di partenza per rilevare l’incongruità dei ricavi dichiarati, al fine di perve nire alla rideterminazione presuntiva del reddito ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973;
-l’ufficio ha evidenziato una serie di anomalie della gestione dell’attività d’impresa, rispetto alle quali i contribuenti hanno fornito solo sterili giustificazioni;
-l’ufficio, oltre all’uso dello studio di settore, ha svolto un esame dell’attività svolta dalla società, fornendo una valutazione critica, evidenziando la presenza di finanziamenti incongruenti rispetto ai
redditi dei soci, considerati anche gli acquisti patrimoniali dei due soci (v. contratto preliminare relativo a un immobile posto in Ferrara);
-l’antieconomicità della gestione imprenditoriale supporta la ripresa a tassazione dei maggiori ricavi e il ricorso all’accertamento analiticoinduttivo del reddito di impresa ai sensi dell’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973.
2.1. La CTR ha, poi , rilevato che l’atto impositivo redatto anche per relationem si configura come una semplice provocatio ad opponendum , la cui funzione è quella di porre il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e di poterne contestare an e quantum , delimitando nel contempo l’ambito delle ragioni adducibili dall’ufficio. Se è vero che la prova dei fatti dedotti a sostegno della pretesa tributaria deve essere fornita dall’amministrazione , è altrettanto vero che il contribuente che intende contestare quei fatti o sostenere l’esistenza di circostanze modificative ed estintive deve, a sua volta, dimostrare gli elementi sui quali tali eccezioni si fondano.
2.2. Infine, in relazione alla contestazione dei contribuenti in ordine al fatto che, per l’anno d’imposta 2007 , dovessero essere emessi due avvisi di accertamento, in ragione della trasformazione della società contribuente da società di capitali in società di persone, la CTR ha ritenuto corretto l’operato dell’ufficio, data l’esiguità del periodo di attività.
Contro la sentenza della CTR i contribuenti hanno proposto ricorso in cassazione con quattro motivi.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
1.1. Con tale motivo di ricorso viene denunciato il vizio di motivazione apparente della sentenza impugnata, poiché composta da enunciati che non indicano gli elementi dai quali il collegio ha tratto il proprio convincimento. I ricorrenti nell’illustrazione del motivo di ricorso ripercorrono i contenuti della motivazione, evidenziando che si tratta nella prima parte dell’elencazione delle stesse ragioni addotte a fondamento dell’avviso di accertamento e che è, addirittura, inconciliabile l’affermazione relativa all’incoerenza degli apporti finanziari erogati dai soci nel 2007 rispetto all’acquisto immobiliare avvenuto nel 2008. Non viene, poi, rilevato alcunché in ordine all’entità dei redditi dichiarati dai soci che sono stati elevati, sia nel 2006 che nel 2007.
1.2. I ricorrenti hanno , infine, censurato l’affermazione relativa all’anno d’imposta 2007, secondo la quale l’esiguità del periodo di attività non avrebbe richiesto l’emissione di un duplice avviso di accertamento.
1.3. Il motivo di ricorso è infondato, in quanto la motivazione non è apparente, ma meramente non condivisa dai ricorrenti. Questa Corte, da oltre un decennio, ha ormai affermato che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
Con riferimento all’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992 è stato affermato, poi, che, in tema di processo tributario, è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare “per relationem” alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, atteso che, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame (Cass., 26/06/2017, n. 15884).
Nel caso di specie la sentenza impugnata richiama ed esamina le censure svolte dai contribuenti contro la sentenza appellata e rende motivazioni idonee a ricostruire l’iter logico seguito dal giudice d’appello per giungere alla decisione.
Con il secondo motivo è stata denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ. , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
2.1. I ricorrenti evidenziano che il collegio di appello non ha affrontato la portata presuntiva degli elementi su cui si basano gli avvisi di accertamento, limitandosi a recepire le tesi sostenute dall’amministrazione finanziaria. Tuttavia, i ricorrenti rilevano che:
è infondata la contestazione relativa al mantenimento da parte dei due soci di un proprio nucleo familiare, di una propria abitazione e
una propria autovettura, l’acquisto di distinti immobili, dal momento che si è in presenza di una sola famiglia e di una sola abitazione;
i finanziamenti infruttiferi eseguiti a favore della società da parte dei due soci, nel 2006 e 2007, sono inadeguati a sostenere la presunzione di distribuzione di utili extracontabili a loro favore. I due soci hanno, infatti, dichiarato utili consistenti, perfino nelle annualità in cui la società ha chiuso in perdita. I ricorrenti riportano, quindi, un prospetto a pag. 8-9 del ricorso in cassazione.
L’unico elemento idoneo a fondare il giudizio di antieconomicità è il risultato negativo registrato dalla società. Tale elemento è, tuttavia, insufficiente a legittimare la determinazione induttiva del reddito. Peraltro, la presenza di risultati economici negativi è tutt’altro che contraria ai canoni di economicità aziendale, considerati gli interventi di ammodernamento che hanno reso necessari i finanziamenti dei due soci.
I ricorrenti rilevano di aver, poi, contestato la metodologia usata per determinare i maggiori ricavi, in ragione dell’astrattezza e genericità del metodo del cd. salario figurativo, rilevando che lo stipendio pagato al dipendente più qualificato è inadatto a rappresentare le condizioni reali (località, dimensioni, concorrenza, volume d’affari, settore economico ecc….) in cui opera l’impresa. Nonostante le diverse condizioni tale metodo conduce a redditi accertabili pressoché identici. In ambito commerciale, infatti, il salario erogato al dipendente non può considerarsi direttamente correlato alla produzione dei ricavi. Lo stesso studio di settore prevede per il commercio ipotesi di congruità dei ricavi, in presenza di un indice del personale incoerente.
2.2. Il motivo di ricorso è inammissibile, in quanto la censura relativa alla violazione dell’art. 2729 cod. civ. veicola, in realtà, una richiesta di rivalutazione dei fatti. È stato, infatti, precisato che il
ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., 22/11/2023, n. 32505).
Inoltre, con riferimento alla violazione dell’art. 2729 cod. civ. è stato precisato che, in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che
la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass., 21/03/2022, n. 9054). Nel caso di specie, invero, gli elementi posti alla base del convincimento del giudice di seconde cure non presentano tratti di indeterminatezza (rilevanti ai fini del requisito della precisione ), né di mancanza di gravità (posto che la stessa indicazione dei redditi nel prospetto a pag. 8-9 del ricorso in cassazione evidenzia che proprio negli anni d’imposta 2006 sussisteva un reddito di Euro 27.623 a fronte di finanziamenti erogati in favore della società pari 38.317,19, mentre nel 2007 i redditi familiari erano pari a Euro 23.600,00 a fronte di finanziamenti pari a Euro 104.407 in favore della società; parimenti nonostante il riferimento agli acquisti patrimoniali dei due soci la sentenza impugnata precisa che si tratta di un contratto preliminare relativo all’acquisto di un immobile, tenendo quindi presente l’unicità del nucleo familiare, diversamente da quanto censurato dai ricorrenti).
Con il terzo motivo di ricorso è stata denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
3.1. Con tale motivo di ricorso viene censurata l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui: « In ordine alle
modalità di determinazione del reddito per l’anno 2007, dove la parte ritiene dovessero essere emessi due avvisi di accertamento, sia in ordine alla tipologia degli accertamenti emessi, codesto Collegio ritiene corretto l’operato dell’Ufficio dato dall’esi guità del periodo di attività».
I ricorrenti evidenziano che, nel corso dell’esercizio 2007, la società ricorrente si è trasformata da soggetto IRPEF (s.n.c.) a soggetto IRES (s.r.l.). L’ufficio ha notificato gli accertamenti alla società e ai suoi due soci come se per l’intero periodo si trovasse a fronte di un soggetto IRES, cioè a una s.r.l. La società, a seguito della sua trasformazione, ha presentato due distinte dichiarazioni dei redditi: il mod. 750 (relativo al periodo intercorrente dall’inizio dell’anno al momento della trasformazione) e il mod. 760 (relativo al periodo intercorrente dalla trasformazione alla fine dell’esercizio).
3.2. La controricorrente rileva (pag. 29 del controricorso) che la società contribuente aveva presentato una dichiarazione integrativa in data 01/10/2007 quale s.n.c., per il periodo di un mese dal 01/01/2007 al 06/02/2007, con un’indicazione errata dell’a nno d’imposta 2006, per cui tale dichiarazione risultava modificativa di quella originariamente presentata per il 2006 e non era valevole per il 2007.
3.3. Il motivo di ricorso è inammissibile per carenza di interesse e per difetto di specificità.
Sotto il primo profilo (carenza di interesse), i ricorrenti non indicano se la qualificazione come società di capitali si sia riverberata in chiave negativa sull’accertamento delle maggiori imposte dovute : i ricorrenti si limitano ad assumere che « la trasformazione non può non avere ripercussioni sull’apparato motivazion ale degli avvisi impugnati per il 2007 » , puntando sull’incongruenza della ripartizione
degli utili nella misura di almeno il 40%, a fronte della tassazione in capo ai soci dell’intero ammontare degli utili prodotti della società. Irrilevante è poi l’obiezione concernente la notificazione degli atti con riguardo alla s.n.c., posto che la società, sia pure erroneamente indicata nella ragione sociale, ha partecipato al giudizio; né il suddetto errore ha ingenerato nel destinatario un’incertezza assoluta sull’esatta identificazione della società (arg. da Cass. 04/05/2012, n. 6803).
Per quanto il profilo inerente appena evidenziato sia, in sé, dirimente, occorre evidenziare anche come, con riferimento al secondo profilo (difetto di specificità), i ricorrenti non indicano se è stato presentato o meno il bilancio infrannuale (limitandosi a far riferimento alle dichiarazioni dei redditi presentate). Secondo questa Corte, infatti, in caso di cd. trasformazione omogenea progressiva, che si verifica quando una società di persone si trasforma in società di capitali, oppure, nell’ipotesi inversa, in caso di cd. trasformazione omogenea regressiva, muta il sistema tributario applicabile, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 170, comma 2, t.u.i.r., occorre predisporre – a fini fiscali – due bilanci infrannuali per determinare il reddito tassabile del periodo antecedente e di quello successivo alla trasformazione e l’imposizione va calcolata separatamente in relazione ai due periodi, in considerazione del modello societario proprio della persona giuridica nella frazione di anno (Cass. 30/06/2021, n. 18483).
Il bilancio è la base per la determinazione del reddito ex art. 83 t.u.i.r., che si calcola facendo leva sul conto economico e sulla perdita o utile che viene aumentato o diminuito secondo le regole del d.P.R. n. 917 del 1986. Non è stato, peraltro, allegato da parte dei ricorrenti il ricorso a regimi di determinazione forfettizzata del reddito d’impresa.
La questione relativa alla presentazione del cd. bilancio infrannuale assume maggior rilievo se si considera che la controricorrente rileva che la dichiarazione integrativa presentata dalla società contribuente con riferimento al periodo 01/01/200706/02/2007 recava l’erronea indica zione dell’anno d’imposta 2006 (v. supra, sub 3.2.).
Con il quarto motivo di ricorso è stata denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 109, comma 4, lett. b), d.P.R. n. 917 del 1986, nonché degli artt. 3 e 53 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
4.1. I ricorrenti rilevano che la CTR ha completamente sorvolato su un fatto decisivo, cioè sull’omessa decurtazione dei costi extracontabili strettamente correlati alla produzione dei maggiori ricavi accertati. Richiama a tal fine quanto dedotto nelle pag. 5-9 dell’atto d’appello. Rileva, quindi, che in caso di accoglimento di tale questione il carico erariale avrebbe subito un notevole ridimensionamento, sul versante delle imposte sul reddito e sulle relative sanzioni e interessi.
4.2. Il motivo -anche prescindendo dai profili di inammissibilità inerenti alla cd. doppia conforme, considerata la soccombenza dei contribuenti in entrambi i gradi di giudizio -è, comunque, infondato, perché l’accertamento , in base alla sentenza impugnata, non è stato induttivo puro, come si assume in ricorso, bensì analitico-induttivo. E la stessa norma invocata dai ricorrenti stabilisce che « le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e gli altri proventi, che pur non risultando imputati al conto economico concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi», con onere di allegazione e prova a carico dei contribuenti.
D’altronde, l’accertamento è nato non già dall’applicazione di una presunzione legale, ma dal rilievo della sproporzione dei costi
rispetto ai ricavi, con la conseguenza che i secondi sono ricostruiti partendo dai primi , di modo che non c’è spazio per l’applicazione di C. cost. n. 10 del 2023, secondo cui a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi ‘occulti’, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre, anche in caso di accertamento analitico-induttivo, opporre la prova presuntiva contraria e in particolare possa eccepire la « incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati ».
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.
…
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.900,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 12/06/2025.