Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6709 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6709 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29028/2021 R.G. proposto da NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. COGNOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. COGNOME COGNOME (domicilio digitale: EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA CAMPANIA, SEZIONE STACCATA DI SALERNO, n. 5297/2021 depositata il 28 giugno 2021
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 22 gennaio 2025 dal Consigliere COGNOME NOME
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale di Salerno dell’Agenzia delle Entrate notificava a NOME COGNOME titolare dell’omonima ditta individuale
esercente attività di commercio al dettaglio di ferramenta, un avviso di accertamento con il quale determinava con metodo analiticoinduttivo, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600 del 1973, il reddito d’impresa e il valore della produzione netta da assoggettare a tassazione ai fini dell’IRPEF e dell’IRAP per l’anno 2012, operando le conseguenti riprese fiscali.
La contribuente impugnava l’avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Salerno, la quale accoglieva il suo ricorso, annullando l’atto impositivo.
La decisione veniva, però, successivamente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, che con sentenza n. 5297/2021 del 28 giugno 2021 accoglieva l’appello principale dell’Amministrazione Finanziaria e dichiarava inammissibile quello incidentale spiegato dalla COGNOME, respingendo l’originario ricorso della contribuente.
Avverso tale sentenza la parte privata soccombente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5) c.p.c., sono denunciate l’omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso e la violazione degli artt. 132 c.p.c. e 36 del D. Lgs. n. 546 del 1992.
1.1 Si rimprovera alla CTR di aver omesso di esaminare la questione, sollevata dalla Milito con il ricorso introduttivo della lite e dalla stessa riproposta in appello, attinente all’eccepita illegittimità dell’impugnato avviso di accertamento per violazione del combinato disposto degli artt. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973, 57 del D.P.R. n. 633 del 1972 e 10, commi da 9 a 13, del D.L. n. 201
del 2011, convertito in L. n. 214 del 2011, in base al quale i contribuenti soggetti ad accertamento fondato sugli studi di settore, ai sensi dell’art. 10 della L. n. 146 del 1998, che dichiarano, anche per effetto dell’adeguamento, ricavi o compensi pari o superiori a quelli risultanti dell’applicazione degli studi medesimi, sono ammessi a un regime premiale prevedente: (a)la preclusione di accertamenti basati su presunzioni semplici ex artt. 39, comma 1, lettera d), secondo periodo, del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54, comma 2, ultimo periodo, del D.P.R. n. 633 del 1972; (b)la riduzione di un anno dei termini di decadenza per l’attività di accertamento previsti dall’art. 43, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973 e dall’art. 57, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972.
1.2 Viene, al riguardo, posto in evidenza che, qualora la cennata questione fosse stata debitamente presa in esame dal collegio regionale, si sarebbero dovute rilevare: (1)l’intervenuta decadenza dell’Amministrazione Finanziaria dall’esercizio del potere impositivo, emergendo «ex actis» che l’avviso di accertamento oggetto di causa era stato notificato dopo la scadenza del termine di cui all’art. 43, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973, ridotto di un anno per effetto dell’applicabilità del suddetto regime premiale; (2)la non assoggettabilità della contribuente ad accertamento analiticoinduttivo.
1.3 Si soggiunge che nel caso di specie non risultava contestata la sussistenza delle condizioni richieste dal citato art. 10 del D.L. n. 201 del 2011 per l’ammissione al regime premiale in discorso.
1.4 Con un distinto profilo di censura viene lamentata la nullità della gravata sentenza, , con particolare riferimento all’indicazione degli elementi in base ai quali è stata ritenuta la fondatezza dell’accertamento tributario.
1.5 Il motivo è inammissibile nella parte in cui risulta strutturato
sulla vecchia formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., non più operante a sèguito delle modifiche apportate dall’art. 54, comma 1, lettera b), del D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, applicabili anche ai ricorsi per cassazione avverso le sentenze delle Commissioni Tributarie Regionali, ora Corti di giustizia tributaria di secondo grado (cfr. Cass. Sez. Un. n. 8053/2014).
1.6 Peraltro, i temi prospettati (preclusione di accertamenti di tipo analiticoinduttivo; riduzione di un anno del termine di cui all’art. 43, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973) non costituiscono «quaestiones facti» , bensì «quaestiones iuris» , il cui omesso esame non potrebbe essere denunciato nemmeno in base all’attuale versione dell’art. 360, comma 1, numero 5) c.p.c., come da costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex permultis , Cass. Sez. Un. n. 5745/2015, Cass. n. 22397/2019, Cass. n. 16705/2024).
1.7 Fermo quanto precede, anche a voler riqualificare «in parte qua» la lagnanza in scrutinio, riconducendola al pertinente paradigma di cui al n. 4) dello stesso comma, va comunque notato che la CTR ha dichiarato inammissibile, per difetto di specificità, l’appello incidentale della Milito.
1.8 Appare, allora, evidente come i giudici regionali si siano motivatamente astenuti dal pronunciare nel merito delle questioni anzidette, in ragione della rilevata esistenza di un vizio processuale ostativo al loro esame.
1.9 A fronte di una simile statuizione, la ricorrente avrebbe semmai dovuto criticare la decisione assunta dalla CTR sotto il diverso profilo della violazione dell’art. 53, comma 1, del D. Lgs. n. 546 del 1992, sull’onere di specificità dei motivi di appello, o dell’ «error iuris» eventualmente commesso dai giudici «a quibus» nel reputare necessaria la proposizione di un’impugnazione incidentale per poter veicolare in secondo grado le questioni non accolte dai primi
giudici; non avendolo fatto, la censura va ritenuta inammissibile.
1.10 Quanto, poi, alla dedotta violazione degli artt. 132 c.p.c. e 36 del D. Lgs. n. 546 del 1992 -vizio inquadrabile nello schema del n. 4) dell’art. 360, comma 1, c.p.c., entro il quale va correttamente sussunto-, deve escludersi che la sentenza sia mancante di motivazione, avendo il collegio regionale indicato le ragioni che, a suo avviso, giustificavano il ricorso da parte dell’Ufficio a un accertamento di tipo analitico-induttivo ( «costo del dipendente superiore al ricavo conseguito dall’imprenditore» ; «mancata annotazione nei registri Iva, come contestata con riferimento alle merci rimanenti» ; «gestione non remunerativa» ; «incongruenze formali e sostanziali riscontrate» ).
1.11 D’altro canto, eventuali carenze argomentative riscontrabili nel ragionamento dei giudici di merito, anche sul piano della valutazione del materiale probatorio acquisito al processo, non sono più sindacabili in sede di legittimità nel vigore del nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c..
1.12 Per questa parte il motivo è, quindi, privo di fondamento.
Con il secondo mezzo, pure proposto a norma dell’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5) c.p.c., sono prospettate la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2729 c.c. e 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600 del 1973 e l’omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso.
2.1 Si contesta alla CTR di aver erroneamente riconosciuto la legittimità dell’accertamento tributario , in quanto fondato su elementi asseritamente indicativi di una gestione antieconomica, sebbene gli stessi fossero .
2.2 Viene soggiunto che .
2.3 Il motivo non può trovare ingresso.
2.4 Per giurisprudenza di questa Corte, la presunzione di inattendibilità delle scritture contabili dovuta all’antieconomicità della gestione aziendale e alla discrepanza fra costi e ricavi dichiarati legittima l’Ufficio a ricorrere al metodo di accertamento analiticoinduttivo previsto dall’art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600 del 1973 (cfr. Cass. n. 18489/2024, Cass. n. 28036/2022, Cass. n. 4149/2020).
2.5 È, inoltre, consolidato l’insegnamento di legittimità secondo il quale la valutazione della ricorrenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c. e l’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali requisiti a dimostrare i fatti ignoti da provare costituisce attività riservata in via esclusiva al giudice di merito (cfr. Cass. n. 15385/2024, Cass. n. 27266/2023, Cass. n. 12002/2017).
2.6 Ciò posto, si è già detto che la CTR ha ritenuto antieconomica la gestione dell’impresa sottoposta a verifica, sulla scorta di taluni indici rivelatori rappresentati dal costo del dipendente, superiore al ricavo conseguito dall’imprenditore, e dalla mancata annotazione delle merci rimanenti nei registri IVA.
2.7 Ora, lungi dall’evidenziare in quale modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie concreta e con l’interpretazione offertane dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, la censura in disamina si risolve in una critica alla valutazione delle risultanze processuali operata dai giudici regionali e nella non consentita richiesta di un diverso apprezzamento di merito.
2.8 Di qui l’inammissibilità della doglianza.
Conclusivamente, il ricorso va respinto.
Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Stante l’esito dell’impugnazione, deve essere resa nei confronti della ricorrente l’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 5.600 euro, oltre ad eventuali oneri prenotati a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione