Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24665 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24665 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25138/2016 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA SICILIA n. 860/2016 depositata il 07/03/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/06/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE veniva raggiunta da avviso di accertamento relativo all’anno 2006, in quanto, nella sua attività di costruzione di edifici residenziali e non residenziali, aveva dichiarato un reddito di soli euro 686,00, derivante dalla differenza fra il totale dei costi di euro 221.243,00 e il totale dei ricavi di euro 222.337,00. Nella prospettazione erariale detta situazione, difficilmente giustificabile in relazione al settore in cui operava l’impresa, postulava una gestione antieconomica, considerato che negli anni immediatamente precedenti, ossia il 2004 e il 2005, la società aveva portato perdite rispettivamente pari a euro 2.993,00 e 2378,00. La CTR di Siracusa accoglieva il ricorso della contribuente. La CTR della Sicilia, per converso, ha accolto l’appello dell’Agenzia. La contribuente si affida ora a cinque motivi di ricorso; resiste l’Agenzia con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 47 carta dei principi fondamentali UE e degli artt. 6 e 12 L. n. 212 del 2000 nonché dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, per avere la CTR erroneamente asserito che l’applicazione del principio del contraddittorio preventivo con il contribuente fosse discrezionale anziché obbligatoria.
Con il secondo motivo di ricorso si censura la violazione dell’art. 2697 e 2629 c.c. nonché dell’art. 39, co. 1, d.P.R. n. 600 del 1973, per avere la CTR incongruamente ritenuto che pur in presenza di una contabilità formalmente regolare, l’Ufficio fosse legittimato ad operare l’accertamento analitico induttivo.
Con il terzo motivo di ricorso si contesta, avuto riguardo all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, degli artt. 7, 10, 12, L. n. 212 del 2000, dell’art. 47 Principi Fondamentali UE e dell’art. 97 Cost., essendo stato l’avviso di accertamento emesso senza assicurare il contraddittorio preventivo.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta la motivazione omessa, insufficiente, contraddittoria, nonché la violazione dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 7 L. n. 212 del 2000 e dei Principi Fondamentali UE nella parte in cui la sentenza della CTR sostiene che la percentuale del 70% non è l’applicazione di medie aritmetiche semplici.
Con il quinto motivo si contesta la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere l’ufficio trascurato di tener conto di quanto eccepito dal contribuente circa il fatto dell’avvenuto svolgimento di un’effettiva attività in un solo esercizio, ossia nel 2006.
Il primo motivo e il terzo motivo di ricorso si prestano a trattazione unitaria, per intima connessione. Entrambi sono infondati e vanno respinti.
Invero, nella specie non vi è stata attività di verifica nella sede del contribuente, essendo stato svolto un accertamento per tabulas , quindi di matrice meramente documentale e cartolare.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il diritto nazionale, differentemente dal diritto dell’Unione europea, allo stato della legislazione non pone in capo all’Amministrazione fiscale, che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto,
sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito. Al contrario, in tema di tributi armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e sempre che l’opposizione di dette ragioni, valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio, si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto (Cass., 14 ottobre 2022, n. 30211).
Segnatamente, quanto alla mancata attivazione del contraddittorio per l’accertamento relativo a IVA, va ribadito che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è tenuta a rispettare, anche nell’ambito delle indagini cd. “a tavolino” effettuate nei confronti di terzi, il contraddittorio endoprocedimentale ove l’accertamento attenga a tributi “armonizzati”, ma la violazione di tale obbligo comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere -non adempiuto nella fattispecie -di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (Cass., 19 luglio 2021, n. 20436; v., sul tema, anche la recentissima Cass. sez. un. n. 21271 del 2025).
Non sussiste, dunque, un obbligo generalizzato di attivare un contraddittorio endoprocedimentale, in quanto in tema di procedimento tributario, l’obbligatorietà del detto contraddittorio,
codificato dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali della U.E., pur costituendo un diritto fondamentale del contribuente e principio fondamentale dell’ordinamento europeo, in quanto espressione del diritto di difesa e finalizzato a consentire al contribuente di manifestare preventivamente il suo punto di vista in ordine agli elementi su cui l’Amministrazione intende fondare la propria decisione, non è assunto dalla giurisprudenza della CGUE in termini assoluti e formali, ma può soggiacere a restrizioni che rispondano, con criterio di effettività e proporzionalità, a obiettivi di interesse generale, sicché, nell’ambito tributario, non investe l’attività di indagine e di acquisizione di elementi probatori, svolta dall’Amministrazione fiscale (Cass., 9 luglio 2020, 14628).
Mette conto rilevare che, la Corte Costituzionale, di recente, con la sentenza 21 marzo 2023, n. 47, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, affermando che in materia di contraddittorio endoprocedimentale, di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali, il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al contraddittorio con i contribuenti. Va, pertanto, dichiarata inammissibile, in quanto il superamento dei dubbi di legittimità esige un intervento di sistema del legislatore, che garantisca l’estensione del contraddittorio.
Anche il secondo motivo è infondato.
La CTR si è posta sul crinale nomofilattico in base al quale ‘ In materia di IVA, l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d),
del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni ‘ (Cass. n. 35713 del 2022; Cass. n. 26036 del 2015). A fronte di un accertamento di fatto che svaluta l’incidenza delle giustificazioni rese dalla contribuente a sostegno della gestione antieconomica, la contribuente stessa aspira a ottenere una rivisitazione del merito della controversia, adombrando una difformità rispetto alla fattispecie giuridica che in realtà non si riscontra. La censura, pertanto, traligna il recinto del vizio di violazione di legge per risolversi nell’aspirazione all’ottenimento di un nuovo, più appagante, eppure in questa sede precluso sindacato di merito.
Il quarto motivo non coglie nel segno e va disatteso.
La scelta del diverso calcolo della percentuale di ricarico applicata sui generi venduti, mediante “media aritmetica semplice” (comparazione tra prezzi di acquisito e di vendita di alcuni generi merceologici) ovvero mediante “media aritmetica ponderata” (comparazione tra prezzi di acquisto e vendita relativi a gruppi merceologici omogenei concernenti i beni commercializzati dalla impresa), non costituisce oggetto di specifica previsione legislativa, rimanendo pertanto escluso che la scelta di uno piuttosto che dell’altro possa integrare una violazione di norme di diritto (cfr. Cass. Sez. 5 n. 14576 del 20.11.2001: Sez. 5 n. 26312 del 16.12.2009). Il ricorso al criterio della “media aritmetica semplice”, in luogo della “media ponderale”, è ammessa quando risulti l’omogeneità della merce (cfr. Cass. n. 979 del 2003; Cass. n. 14328 del 2009; Cass. n. 23096 del 2012). Ancor più di recente questa Corte ha, d’altronde, ribadito che ‘ In tema di accertamento
induttivo fondato sulle percentuali di ricarico della merce venduta, il ricorso alla media aritmetica semplice è consentito quando risulti l’omogeneità della merce, dovendosi invece fare ricorso alla media ponderale quando, tra i vari tipi di merce, esiste una notevole differenza di valore e i tipi più venduti presentano una percentuale di ricarico inferiore a quella risultante dal ricarico medio ‘ (Cass. n. 33458 del 2018; Cass. n. 24017 del 2018).
Nella specie, la censura della ricorrente inciampa in un vistoso deficit di specificità e autosufficienza nella misura in cui neppure chiarisce se constasse la disomogeneità della merce venduta (nella specie, autovetture), né quale ne fosse il contenuto. La censura trascura pure di precisare se sussistesse e in cosa consistesse la differenza di valore fra i tipi di merce commercializzati.
Il quinto motivo è inammissibile.
La censura trascende il perimetro della violazione di legge, mirando a sollecitare una riedizione del sindacato riservato al giudice di merito.
Come chiarito ancora di recente da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 6774 del 2022; Cass. n. 1229 del 2019).
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno anche osservato che in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma,
abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020).
Mette in conto rilevare che, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n 2572 del 2021).
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza nella misura esplicitata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.900,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 25/06/2025.