Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 29576 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 29576 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 2861/2018 R.G.) proposto da:
n. 2861/2018 R.G.
COGNOME.
Rep.
A.C. 8 luglio 2025
OGGETTO : IRPEF, IVA e IRAP – Reddito d’impresa – Art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973.
COGNOME NOME (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, unitamente all ‘ AVV_NOTAIO che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità (indirizzo p.e.c. del difensore : ‘ EMAIL ‘);
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE), in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall ‘ Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata presso gli uffici di quest ‘ ultima, in Roma, INDIRIZZO (indirizzo p.e.c.: ‘ EMAIL ‘);
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 105/33/2017, pubblicata il 10 gennaio 2017;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio dell ‘ 8 luglio 2025, dal AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
1.- In punto di fatto e limitando l ‘ esposizione alle sole circostanze rilevanti in questa sede, si osserva che il contribuente COGNOME NOME proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento dell ‘ RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE relativo all’ anno di imposta 2008 con cui quest’ultima , in base ai criteri dell’art. 39, primo comma, lettera d), d.P.R. n. 600 del 1973, avendo rilevato una sproporzione tra i ricavi di €. 90.772,00 (euro novantamilasettecentosettantadue/00) e un reddito di impresa dichiarato di €. 18.268,00 (euro diciottomiladuecentosessantotto/00), aveva rideterminato i maggiori ricavi per €. 41.231,00 (euro quarantunomiladuecentotrentuno/00), con conseguente rettifica del reddito di impresa, del volume di affari IVA e del valore della produzione IRAP, liquidando maggiori imposte ai fini IRPEF, IVA e IRAP, per complessivi €. 28.284,00 (euro ventottomiladuecentottantaquattro/00), contributi previdenziali per €. 8.433,00 (euro ottomilaquattrocentotrentatre/00) e irrogando sanzioni nella misura di € . 23.923,50 (euro ventitremilanovecentoventitre/50).
Nel ricorso introduttivo, il ricorrente lamentava la nullità della notificazione dell’atto impositivo, il metodo utilizzato dall’ufficio per la ricostruzione dei ricavi omessi, nonché il difetto e la carenza di motivazione dell’atto, contestando i presupposti giuridici sui quali si era basata l ‘amministrazione finanziaria per procedere all’emanazione dell’avviso di accertamento.
Il giudice di prime cure accoglieva parzialmente il ricorso riducendo ad €. 15.228,00 (euro quindicimiladuecentoventotto/00) i maggiori ricavi accertati, compensando le spese.
In particolare, riteneva eccessivo l’importo di €. 41.231,00 (euro quarantunomiladuecentotrentuno/00) per maggiori ricavi accertati e, non condividendo la procedura seguita dall ‘amministrazione finanziaria ,
rideterminava la remunerazione figurativa del titolare , il costo del venduto ed il costo del personale .
2.- Il contribuente proponeva appello ribadendo, sostanzialmente, le medesime argomentazioni evidenziate nel corso del giudizio di primo grado.
La CTR della Campania, con la sentenza impugnata, rigettava l’appello del contribuente osservando che: « l’Ufficio ha accertato un maggior reddito d’impresa, ricostruendo i ricavi ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d) del dPR 600/73, dopo aver rilevato una sproporzione tra i ricavi di € 90.772,00 e un reddito di impresa dichiarato di E 18.268,00 ritenendo tali importi assolutamente non proporzionali all’impegno profuso e poco plausibile in relazione alle ordinarie esigenze per il sostentamento. Ha rilevato, altresì, dall’analisi dei dati dichiarati per i periodi d’imposta precedenti e successivi una reiterata incongruenza ai fini degli studi di settore, tutti elementi sintomatici di una condotta antieconomica non giustificabile. L’Ufficio, quindi, ha rilevato che le predette circostanze evidenziano un comportamento di tipo ‘ antieconomico ‘ posto in essere nella gestione dell’attività laddove l’impresa dovrebbe essere mirata alla massimizzazione del profitto, attraverso l’ottimizzazione dell’impiego RAGIONE_SOCIALE risorse. Sulla base dei predetti rilievi l’Ufficio ha ritenuto sussistenti gravi e numerosi indizi presuntivi di inattendibilità RAGIONE_SOCIALE risultanze contabili che lo hanno determinato ad emettere un accertamento di tipo analitico-induttivo, ai sensi dell’art. 39, 1 comma, lett. d), dPR 600/73, sulla base dei dati contabili dichiarati dal contribuente stesso che evidenziano un palese comportamento antieconomico. L’accertamento scaturisce, quindi, dall’antieconomicità della gestione dell’attività commerciale svolta dal contribuente, circostanza che legittima il ricorso all’accertamento analiticoinduttivo anche in presenza di scritture contabili regolari e per il quale non fa onere all’amministrazione di instaurare un contraddittorio preventivo
con il contribuente. La Suprema Corte, con riferimento alla gestione antieconomica dell’attività svolta dal contribuente, ha precisato che nel giudizio tributario, una volta contestata dall’erario l’antieconomicità di un comportamento posto in essere dal contribuente, poiché assolutamente contrario ai canoni dell’economia, incombe sul medesimo l’onere di fornire, al riguardo, le necessarie spiegazioni, essendo – in difetto -pienamente legittimo il ricorso all’accertamento induttivo da parte dell’amministrazione, ai sensi degli artt. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 (Cassazione civile sez. trib. 20/03/2013 n.6918). Pertanto, in presenza di una condotta antieconomica non è sufficiente per il contribuente opporre la formale regolarità della contabilità per giustificare la propria condotta antieconomica. Nella presente vicenda processuale, conformemente a quanto ritenuto dai giudici di primo grado, si ritiene che l’accertamento dell’ufficio si sia basato su gravi e plurimi indizi di inattendibilità RAGIONE_SOCIALE risultanze contabili, come sopra specificato, che costituiscono anomalie inspiegabili alla luce dei criteri di ragionevolezza e dei principi di economicità che devono assistere qualsiasi attività. Nel caso di specie l’accertamento non si basa esclusivamente sugli studi di settore, con lo scostamento riscontrato tra i dati dichiarati e quelli accertati con la semplice applicazione dei relativi parametri, ma risulta supportato, come sopra precisato, da ulteriori presunzioni aventi i requisiti della gravità, precisione e concordanza e non sussiste, pertanto, l’obbligo di attivare preventivamente il contraddittorio a pena di nullità dell’accertamento. Tuttavia, come correttamente deciso dai giudici di primo grado, la misura dell’accertamento va ridotta ad E 15.228,00 in quanto ritenuto eccessivo l’importo di € 41.231,00 per maggiori ricavi accertati con rideterminazione della remunerazione figurativa del titolare (in curo 24.000,00), il costo dei venduto (in euro 43.000,00) ed il costo del personale (in euro 39.000,00). Pertanto, rimanendo assorbite tutte le restanti eccezioni, l’appello va rigettato e le spese del giudizio, per la complessità RAGIONE_SOCIALE questioni
interpretative affrontate, come già ritenuto anche dai Giudici di primo grado, possono essere compensate. ».
3.- Avverso la menzionata sentenza d ‘ appello, il contribuente COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
4.- L ‘ RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) e n. 5), c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e la nullità della sentenza e del procedimento.
Assume che la CTR avrebbe omesso totalmente di esaminare due doglianze sollevate in appello e, cioè: 1) la collocazione del contribuente nel cosiddetto ‘intervallo di confidenza’ del risultato degli studi di settore e prevalenza degli stessi rispetto alle presunzioni semplici di cui all’art. 39, comma 1, lettera d), d.P.R. n. 600 del 1973; 2) l’applicabilità della sentenza n. 37 del 2015 della Corte cost.
2.- La censura è inammissibile e infondata.
È senz’altro i nammissibile sotto il profilo del vizio denunciato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., trattandosi di censura formulata in violazione del disposto di cui all’art. 348 -ter c.p.c., ora art. 360, comma 4, c.p.c., vertendosi, nella specie, in ipotesi di doppia pronuncia di merito conforme in relazione alle censure dedotte, peraltro senza che il ricorrente si sia minimamente premurato di assolvere all’onere di indicare i profili di divergenza tra le ragioni di fatto a base della decisione di primo grado e quelle a base del rigetto dell’appello, com’era invece necessario per dar ingresso alla censura proposta (cfr. Cass. civ., Sez. 1, sentenza n. 26774 del 22 dicembre 2016; Cass. civ., Sez. 2, sentenza n. 5528 del 10 marzo 2014 e, più recentemente, Cass. civ., Sez. 3, ordinanza n. 5947 del 28 febbraio 2023).
Non v’è, poi, evidenza alcuna di precisi fatti storici la cui valutazione sarebbe stata omessa, ma, semmai, di argomentazioni e tesi sviluppate
dal ricorrente, in particolare circa la collocazione del contribuente nel cosiddetto ‘intervallo di confidenza’ del risultato degli studi di settore e circa e la prevalenza degli stessi rispetto alle presunzioni semplici di cui all’art. 39, comma 1, lettera d), d.P.R. n. 600 del 1973, nonché in ordine al l’applicabilità della sentenza n. 37 del 2015 della Corte cost. .
La censura di cui al l’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c. risulta, invece, palesemente infondata con riguardo al primo dei suddetti profili, giacché la CTR ha ben chiarito come, nella specie, l’ accertamento fosse scaturito, non soltanto sugli studi di settore, con lo scostamento riscontrato tra i dati dichiarati e quelli accertati attraverso la semplice applicazione dei relativi parametri, ma altresì da ulteriori presunzioni aventi i requisiti della gravità, precisione e concordanza, cosicché non era sussistente l’obbligo di attivare preventivamente il contraddittorio a pena di nullità dell’accertamento. In particolare, al riguardo, il ragionamento della CTR risulta in linea col principio secondo cui « l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza RAGIONE_SOCIALE proprie dichiarazioni. » (cfr., in tal senso, Cass. civ., Sez. 6-5, ordinanza n. 35713 del 5 dicembre 2022).
Quanto, infine, alla pretesa applicabilità, all’avviso di accertamento di cui si tratta, della sentenza n. 37 del 2015 della Corte cost., è appena il caso di evidenziare come, secondo quanto chiarito sempre da questa Corte regolatrice, « In tema di accertamento tributario, ai sensi dell’art. 42, primo e terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di
accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, cioè da un funzionario di area terza di cui al contratto del RAGIONE_SOCIALE per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito dalla l. n. 44 del 2012. » (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 5177 del 26 febbraio 2020) .
3.- Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., giacché , sia in primo grado che in appello, egli avrebbe contestato l’erroneità del calcolo dell’IVA, senza che la CTR si sia pronunciata con riguardo a tale profilo.
Deduce, al riguardo, come, sia nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (alla fine di pag. 17), che in quello d ‘appello (alla fine di pag. 15 e inizio pag. 16) era stato contestato il profilo concernente l’erroneo calcolo dell’IVA , affermando che: « Si rileva e si contesta, inoltre, l’erronea quantificazione della maggiore imposta sul valore aggiunto, atteso che l’RAGIONE_SOCIALE ha determinato in euro 8.247,00 la maggiore IVA dovuta, applicando l’aliquota ordinaria del 20% ai maggiori ricavi/corrispettivi di euro 41.231,00. Ebbene, come risulta dalla dichiarazione IVA e dallo stesso avviso di accertamento (pag. n. 10), il ricorrente aveva, nel 2008, effettuato operazioni imponibili al 10 e al 20 per cento, per un’ali quota media pari al 13,35% (12.125,00 diviso 90.772,00 x 100), talché, comunque e in ogni caso, i maggiori corrispettivi non potevano essere assoggettati interamente all’aliquota ordinaria, ma tassati mediante l’applicazione della predetta aliquota IVA media del 13,35% ».
4.- La censura è fondata, giacché nella sentenza impugnata non è possibile rinvenire, nemmeno sotto il profilo strettamente grafico, alcuna considerazione in ordine all’erroneo calcolo dell’aliquota IVA suscettibile di trovare applicazione con riguardo al contribuente, sebbene tale profilo –
come ben chiarito nel ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità -avesse formato oggetto di specifica censura proposta sia mediante l’originario ricorso avverso l’atto impositivo, che mediante l’impugnazione della sentenza di primo grado .
5.- Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 12 l. n. 212 del 2000, nonché degli artt. 41, 47 e 48 della CEDU, per mancata attivazione del contraddittorio preventivo.
Sostiene, al riguardo, che sia nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado che in quello d’appello era stata dedotta l’omessa attivazione del contraddittorio preventivo , in violazione di precisi ed ineludibili principi comunitari e costituzionali, « precludendo al contribuente di spiegare, preventivamente, le specificità della propria azienda, come disposto dalla normativa comunitaria ».
6.- La censura , oltre a presentare profili d’inammissibilità, è senz’altro infondata.
Ed invero, come recentemente chiarito in sede nomofilattica, « In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche RAGIONE_SOCIALE c.d. ‘ a tavolino ‘ , nella disciplina applicabile prima dell’entrata in vigore dell’art. 6-bis della l. n. 212 del 2000 (introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. e, del d.lgs. n. 219 del 2023, a sua volta richiamato e interpretato ex artt. 7 e 7-bis del d.l. n. 39 del 2024, convertito con modd. dalla l. n. 67 del 2024), l’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale vige, quanto ai tributi cd. non armonizzati, solo se espressamente previsto, mentre ha valenza generalizzata per soli tributi cd. armonizzati, comportando la relativa violazione l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto gli elementi in fatto che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, fittizia o strumentale, tale essendo quella non idonea a determinare un risultato diverso del procedimento impositivo, secondo una valutazione probabilistica ex ante spettante al giudice di merito. » (Cass. civ., Sez. U,
sentenza n. 21271 del 25 luglio 2025; cfr., altresì, Cass. civ., Sez. U, sentenza n. 24823 del 9 dicembre 2015, secondo cui « In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche RAGIONE_SOCIALE, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito. »).
Orbene, con espresso riguardo alla fattispecie in esame, il contribuente, pur avendo evidenziato la violazione dell’obbligo di contraddittorio preventivo da parte dell’amministrazione finanziaria, non ha in alcun modo assolto all’onere di indicare in concreto quali fossero gli elementi in fatto e le ragioni che avrebbe potuto far valere. Al riguardo, infatti, nell’ambito del ricorso introduttivo del presente procedimento viene fatto riferimento solo ed esclusivamente ad una preclusione subita dal contribuente circa la possibilità di spiegare, preventivamente, una non meglio chiarita specificità della propria azienda.
Né, del resto e diversamente da quanto opinato dal ricorrente, può assumere rilevanza alcuna la questione relativa all’erronea determinazione dell’aliquota IVA e la riduzione, operata dal giudice di prime cure, con riguardo ai corrispettivi accertati dall’amministrazione finanziaria, atteso che il contribuente – a carico del quale gravava il relativo onere – non ha fornito elementi valevoli a comprovare che proprio tali contestazioni fossero le ragioni che erano state dedotte, in primo grado e mediante l’originaria impugnazione dell’atto impositivo, quali elementi suscettibili di essere fatti valere ove il contraddittorio preventivo fosse stato correttamente attivato ad opera dell’amministrazione finanziaria.
È appena il caso di evidenziare, poi, come la questione relativa alla violazione dell’obbligo di contraddittorio preventivo , previsto a carico dell’amministrazione finanziaria non risulti, in alcun modo, essere stata trattata nell’ambito della sentenza impugnata, sicché la censura in esame presenta altresì un indubbio profilo d’inammissibilità alla stregua del consolidato orientamento secondo cui nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo e alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito RAGIONE_SOCIALE questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi argomenti di fatto dedotti (cfr., in tal senso, Cass. civ., Sez. U, ordinanza n. 19874 del 26 luglio 2018). Pertanto, nel caso in cui il ricorrente per cassazione proponga una determinata questione giuridica che implichi un accertamento in fatto e che non risulti in alcun modo trattata nella sentenza impugnata, al fine di evitare una statuizione d ‘ inammissibilità per novità della censura deve denunciarne l’omessa pronuncia indicando, in conformità con il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in quale atto del giudizio di merito abbia già dedotto tale questione, per dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità e la ritualità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la relativa censura ( cfr., in tal senso ed ‘ ex permultis ‘, Cass. civ., Sez. L, ordinanza n. 21480 del 31 luglio 2024).
7.- Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) e n. 4), c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 d.P.R. n. 633 del 1972, nonché degli artt. 2697 e 2729 c.c. e degli artt. 36 d.lgs. n. 546 del 1992, 53 e 111 Cost., 115 e 132 c.p.c., per insussistenza della condotta antieconomica. Denuncia, altresì, il difetto motivazionale dell’atto impositivo e della sentenza impugnata.
Al riguardo, il ricorrente contesta la sussistenza dei « gravi e plurimi indizi di inattendibilità RAGIONE_SOCIALE risultanze contabili » che avrebbero indotto il giudice d’appello a reputare integrata una condotta antieconomica del contribuente con conseguente possibilità per l’Amministrazione finanziaria di poter ricorrere all’accertamento analitico -induttivo di cui all’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973.
Sostiene, ancora, che, nella specie, l’antieconomicità della propria condotta sarebbe confutata anche dalla percentuale di redditività ravvisabile in suo favore e pari al 20,12% (venti virgola dodici percento) e contesta, per il resto, la sussistenza degli elementi presuntivi valevoli a giustificare il ricorso all’accertamento previsto dall’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973 e dall’art. 54 d.P.R. n. 633 del 1972 .
Infine, afferma l’esistenza di un difetto di motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui quest’ultima avrebbe confermato « pedissequamente » quella di prime cure, senza alcuna ed ulteriore spiegazione.
8.- La censura è inammissibile e infondata.
Ed invero, con riguardo al profilo attinente al concetto di antieconomicità ed alla valutazione degli elementi presuntivi valevoli a giustificare il ricorso all’accertamento di cui a gli artt. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 d.P.R. n. 633 del 1972, la censura presenta un indubbio profilo d’inammissibilità giacché trattasi di accertamenti in fatto la cui valutazione resta preclusa in sede di legittimità.
Al riguardo, è appena il caso di ricordare il consolidato orientamento di questa Corte regolatrice in base al quale « Le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice de l caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella
negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo RAGIONE_SOCIALE risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità. » (Cass. civ., Sez. 1, ordinanza n. 640 del 14 gennaio 2019; conf. Cass. civ., Sez. 3, sentenza n. 7187 del 4 marzo 2022; cfr., altresì, in epoca recente, Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 25182 del 19 settembre 2024, secondo cui in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica, pertanto, un problema interpretativo di quest’ultima, laddove l’allegazione di un’erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è mediata dalla contestata valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze di causa ed inerisce, pertanto, alla tipica valutazione del giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione).
In altri termini, in tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel
suo insieme (Cass. civ., ordinanza n. 10927 del 23 aprile 2024). E ciò, in quanto il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 32505 del 22 novembre 2023, Rv. 669412-01).
S enz’altro priva di fondamento risulta, inoltre, la doglianza relativa alla motivazione della sentenza impugnata, dovendosi dare atto quest’ultima non è né insufficiente o mancante, né contraddittoria e tanto meno apparente, atteso che, per come dato atto nella parte relativa allo svolgimento del processo, essa risulta congrua, logicamente argomentata ed effettiva sia dal punto di vista grafico che contenutistico (Cass. civ., Sez. U., sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014), ponendosi ben al di sopra del minimo costituzionale di cui all’art. 111, comma 6, Cost.
Nella specie, i giudici d’appello hanno chiarito come l’accertamento fosse scaturito dall’ antieconomicità della gestione dell’attività commerciale svolta dal contribuente, desunta: 1) dalla notevole sproporzione tra i ricavi e il reddito d’impresa dichiarati; 2) dall’analisi dei dati dichiarati per i periodi d’imposta precedenti e successivi, con una reiterata incongruenza ai fini degli studi di settore; 3) dalla conseguente inattendibilità RAGIONE_SOCIALE scritture contabili. Inoltre, hanno precisato come, a fronte degli elementi presuntivi sopra indicati, il contribuente (ed odierno ricorrente) COGNOME NOME, a carico del quale gravava il relativo
onere, non avesse fornito, al riguardo, elementi di prova di segno contrario.
9.- In conclusione, va accolto il secondo motivo del ricorso, rigettati i restanti, con cassazione con rinvio della sentenza impugnata, nei limiti del motivo accolto, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, la quale procederà a un nuovo esame della controversia uniformandosi ai principi di diritto sopra richiamati e provvedendo, altresì, a statuire sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 8 luglio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME