Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21953 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21953 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/07/2025
Oggetto: II.DD. -IVA -avviso di accertamento -accertamento analiticoinduttivo
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9792/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO e presso gli indrizzi PEC EMAIL e EMAIL ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore legale rappresentante pro tempore;
-intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 8899/48/2016, depositata il 12.10.2016 e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 24 aprile 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 8899/48/2016, depositata il 12.10.2016 veniva rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli n. 14289/2/2015 avente ad oggetto due avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate per II.DD. e IVA, interessi e sanzioni relativamente ai periodi d’imposta 2010 e 2011.
Le riprese ad imposizione traevano origine da un accertamento ex art.39, comma 1, lett. d), d.P.R. n.600/73, nell’ambito del quale veniva applicato lo studio di settore di cui agli artt.62 e ss. l.331/1993, da cui emergeva l’incongruenza con le dichiarazioni e l’applicazione del metodo di accertamento analitico-induttivo in presenza di contabilità solo apparentemente regolare.
Il giudice di prime cure e quello di appello disattendevano le questioni preliminari e, nel merito, confermavano interamente le riprese.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per Cassazione il contribuente deducendo cinque motivi, che illustra con memoria ex art.380-bis.1. cod. proc. civ., mentre l’Agenzia dell’Entrate non ha svolto difese.
Considerato che:
Con il primo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 cod. proc. civ., 36 del d.lgs n. 546/1992 e 42 del d.P.R. n. 600/73 per avere il giudice di seconde cure ritenuto
che, derivando l’accertamento da comportamenti antieconomici del contribuente, non vi fosse l’obbligo di instaurare il contraddittorio preventivo «in quanto ai sensi dell’art. 10 comma 4 bis della Legge 146/1998 tale obbligo rileva solo per gli accertamenti standard fondati unicamente sullo scostamento dei dati dichiarati da quelli desumibili dagli studi di settore» (cfr. p. 7 della sentenza impugnata).
2. Il motivo è infondato.
2.1 La doglianza della ricorrente fa riferimento alla pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 19667/2014, nella quale è stato affermato -anteriormente alla riforma fiscale introdotta allo Statuto del contribuente dall’art.1, comma 1, lett. e) d.lgs. n.219/2023 -il principio secondo il quale l’Amministrazione è tenuta ad attivare un contraddittorio preventivo generalizzato con il contribuente, superato dalla giurisprudenza successiva.
Già con la sentenza delle Sezioni Unite n. 24823/2015, che peraltro è stata richiamata anche nel ricorso per cassazione, questa Corte ha precisato che, in assenza di una specifica disposizione normativa, il diritto nazionale non pone in capo all’ Amministrazione fiscale, che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto . Questa disciplina è invece prevista per i tributi armonizzati, purché il contribuente assolva in giudizio l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato.
2.2. Va premesso che nel caso di specie l’accertamento a differenza di come prospetta il motivo non è fondato sugli studi di settore, ma è di tipo analitico-induttivo «in base all’art.39, comma 1, lett. d) d.P.R. n.600/73» (così si legge a p.2 della sentenza impugnata) e lo studio di settore è stato usato solo come parametro per quantificare l’entità delle riprese ad imposizione, da quanto risulta dagli atti, ed era onere di parte ricorrente riprodurre l’avvis o di accertamento ove avesse inteso utilmente contestare tale qualificazione.
La lamentata violazione è infondata sia con riferimento alle imposte dirette, non essendovi un obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale, sia per quanto riguarda l’IVA, in ordine alla quale, come riconosciuto dalle Sezioni Unite da ultimo citate e dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia, a partire dalla sentenza del 3 luglio 2014, nelle cause C-129 e 130/13, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE é n, poi sempre confermata, vige il principio di derivazione comunitaria del rispetto dell’interlocuzione con il contribuente anteriormente all’adozione dell’atto impositivo. Nondimeno, la sua violazione determina la nullità dello stesso solo se il contribuente dimostri che avrebbe potuto produrre in tale sede elementi difensivi, dovendo il contribuente enunciare in concreto le ragioni, non puramente pretestuose, che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato.
L’onere non è stato assolto dalla ricorrente, la quale si è limitata a contestare genericamente che il contraddittorio «doveva essere considerato un momento significativamente importante del procedimento in quanto avrebbe consentito di verificare l’inesistenza delle deduzioni poste a base dell’accertamento induttivo» (cfr. p. 9 del ricorso). Tuttavia, la ricorrente non ha indicato in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere in opposizione all’accertamento induttivo, da valutarsi con riferimento al momento del mancato contraddittorio, e ha concluso il motivo di ricorso asserendo laconicamente che « un’attività di controllo sistematicamente incentrata sul contraddittorio preventivo con il contribuente, da un lato rende la pretesa tributaria più credibile e sostenibile, dall’altro elimina la possibilità di recuperi non adeguatamente supportati e motivati in quanto non preceduti da un effettivo controllo» ( ibidem , p. 9.).
Con il secondo motivo la ricorrente censura, in rapporto all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 39 del d.P.R. n. 600/1973 e 54, comma 5, del d.P.R. 633/72
per avere il giudice d’appello erroneamente ritenuto configurabili i presupposti per procedere all’accertamento induttivo.
Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 39 del d.P.R. n. 600/1973 e 56 del d.P.R. 633/72 per avere la CTR ritenuto legittimo l’accertamento nonostante l’omessa indicazione della modalità accertativa utilizzata.
I motivi sono esaminati congiuntamente in quanto connessi e sono affetti da concorrenti profili di inammissibilità e infondatezza.
5.1. In tema di rideterminazione del reddito con metodo analiticoinduttivo questa Corte ha ripetutamente affermato (da ultimo cfr. Cass. Ordinanza n. 21531 del 31.07.2024 e giurisprudenza ivi citata) che nel giudizio tributario, una volta contestata dall’erario l’antieconomicità di un comportamento posto in essere dal contribuente, poiché assolutamente contrario ai canoni dell’economia, incombe sul medesimo l’onere di fornire, al riguardo, le necessarie spiegazioni, essendo – in difetto – pienamente legittimo il ricorso all’accertamento induttivo da parte dell’amministrazione, ai sensi degli artt. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972. È vero anche che rappresenta un principio consolidato quello per cui, in materia di IVA, l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via analitico-induttiva, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni.
5.2. Il giudice di seconde cure, con motivazione ampia e articolata, ha confermato la legittimità del ricorso da parte dell’Amministrazione
alla tipologia di accertamento analitico-induttivo, avendo rilevato che « l’ufficio, nell’emettere l’atto di accertamento, ha fatto riferimento corretto al settore di attività del contribuente, onde non vi è contestazione sullo standard; (…) ha indicato come motivazione non solo il responso fornito dai c.d. parametri, che tra l’altro tengono conto anche della realtà geografica in cui opera l’impresa, ma altresì di ulteriori percorsi logico-giuridici che hanno condotto alla revisione dell’origi naria pretesa, argomentando sulle incongruenze reiterate nel tempo dei ricavi e della redditività dell’impresa operante con criteri di antieconomicità non senza rimarcare anche che il reddito dichiarato per gli anni di accertamento risultava poco plausibile, elementi questi tutti che avevano concorso a dimostrare che il reddito complessivo era stato verosimilmente superiore a quello dichiarato; sono stati quindi compiutamente spiegati i criteri adottati per la rideterminazione della base imponibile, chiarendo che i maggiori ricavi erano stati ricostruiti tenuto conto dell’incidenza sul reddito del costo della produzione dichiarato dal contribuente e applicando a questo la percentuale media di ricarico per le imprese del settore nella stessa regione. La revisione aveva dato luogo ad una differenza tra il ricavo dichiarato e quello di riferimento» (cfr. p. 3 della sentenza impugnata).
5.3 Nella motivazione della sentenza della CTR è, altresì, chiaramente indicata la modalità accertativa utilizzata, avendo il giudice di seconde cure rilevato che «nella specie, la modalità di accertamento adottata dall’Ufficio nell’atto impositivo impugnato risulta fondata su dati (il costo della produzione) desunti proprio dalle scritture aziendali e quindi non soggiace alla disciplina del d.P.R. n. 600 del 1973 art. 39, comma 2, e d.P.R. n. 633 del 1973 art. 55, bensì a quella del d.P.R. n. 600 del 1973 art. 39 comma 1 e d.P.R. n. 633 del 1973 art. 54; si tratta cioè di accertamento analitico-induttivo e non di accertamento induttivo extracontabile» ( ibidem , p. 4). Inoltre, in sentenza si chiarisce che l’ Amministrazione ha desunto l’esistenza di
maggiori ricavi non dichiarati derivanti dall’attività economica esercitata dalla società contribuente «dalle gravi incongruenze riscontrate nella dichiarazione presentata che, contro ogni logica di mercato e in disprezzo di ogni criterio di economicità, operava con un costo del lavoro che superava di gran lunga la redditività dichiarata» ( ibidem , p. 4).
5.4 A fonte del l’argomentato accertamento fattuale condotto dal giudice di seconde cure con precisi addentellati nel quadro istruttorio ed entro il perimetro della pertinente giurisprudenza di legittimità, la ricorrente, si limita a criticare l’operato dell’ufficio piuttosto che contrastare la pronuncia d’appello . La ricorrente ripropone sostanzialmente quanto dedotto nel secondo grado di merito e neppure riproduce gli avvisi di accertamento impugnati, in palese violazione del principio di autosufficienza del ricorso, chiedendo a questa Corte, in definitiva, una rivalutazione delle risultanze istruttorie che esulano dal giudizio di legittimità.
Con il quarto motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600/1973 per il fatto che né negli avvisi di accertamento né nella motivazione della sentenza impugnata sarebbero indicate le presunzioni gravi, precise e concordanti che avrebbero giustificato il ricorso all’accer tamento analitico induttivo. La censura prospetta anche l’omesso esame di un punto decsivo della controversia oggetto di discussione tra le parti e la nullità della sentenza.
Il motivo è inammissibile.
7.1 Il riferimento al paradigma del prospettato vizio motivazionale non può trovare ingresso in questa sede a fronte del doppio rigetto della prospettazione di parte contribuente sia in primo sia in secondo grado. Infatti, l’abrogazione dell’art. 348-ter cod. proc. civ., già prevista dalla legge delega n.206/2021 attuata per quanto qui interessa dal d.lgs. n.149/2022, ha comportato il collocamento all’interno dell’art. 360 cod. proc. civ. di un terzo comma, con il connesso adeguamento dei richiami, il quale ripropone la disposizione dei commi
quarto e quinto dell’articolo abrogato e prevede l’inammissibilità del ricorso per cassazione per il motivo previsto dal n. 5 dell’art. 360 citato, ossia per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
7.2 Il giudice di seconde cure, rilevando che in sede d’appello la ricorrente si è limitata a ribadire le argomentazioni svolte davanti alla Commissione di primo grado senza indicare ulteriori ragioni a sostegno della richiesta riforma della sentenza appellata, ha affermato che «la decisione dei primi giudici, le cui motivazioni logiche ed esaustive questa Commissione fa proprie e richiama quale parte integrante del presente provvedimento, ha correttamente interpretato le doglianze dell’odierno appellato e si è pronunciata, coerentemente, sulla metodologia di accertamento, utilizzata dall’Agenzia delle Entrate» (cfr. pp. 2-3 della sentenza impugnata).
A fronte di tale motivazione, la ricorrente non ha dimostrato che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello sono state tra loro diverse. La nullità della sentenza è dunque solo dedotta, ma non dimostrata.
8. La ricorrente prospetta, infine, alle pagg.37 e ss. del ricorso, come quinto motivo, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., che sarebbe in contrasto con gli articoli 3, 24, 97 e 111 della Costituzione, perché presenterebbe rilevanti profili di irragionevolezza, incoerenza logica, contrarietà al diritto di difesa e ai principi di buona amministrazione e del giusto processo. La questione è ulteriormente elaborata nella memoria illustrativa.
La questione è manifestamente infondata.
La ricorrente si duole, in sostanza, della lettura restrittiva dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. da parte della giurisprudenza delle Sezioni Unite, la cui interpretazione sarebbe, a suo dire, assolutamente irragionevole.
Deve rammentarsi che la scelta ermeneutica di questa Corte, operata già con la sentenza delle Sezioni Unite n.8053/2014, è stata quella di contemperare il controllo sulla motivazione con una risposta che fosse coerente con la riforma legislativa. La motivazione, che continua ad operare quale strumento di controllo dell’operato del giudice di merito a garanzia del diritto di difesa delle parti processuali, deve essere contenuta entro i limiti del sindacato riconducibile al cd. minimo costituzionale, in tal modo contemperando la salvaguardia della funzione di legittimità della Suprema Corte con il controllo sulle ragioni che hanno determinato la decisione.
A seguito della riforma del 2012 viene meno il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma rimane sia il controllo sull’esistenza, sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza, sia quello sulla coerenza, sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e illogicità manifesta, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata. Il controllo previsto dal testo applicabile del primo comma, n. 5, dell’art. 360 cod. proc. civ., che introduce nell’ordinamento un vizio specifico, concerne invece l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione ed abbia carattere decisivo. Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.
Il vizio logico della motivazione, la lacuna o l’aporia che si assume possa inficiarla sino al punto da renderne apparente il supporto argomentativo, devono dunque essere desumibili dallo stesso tessuto argomentativo attraverso cui essa si sviluppa e devono comunque
essere attinenti ad una quaestio facti . In coerenza con la natura di questo controllo il vizio afferente alla motivazione, sotto i profili della inesistenza, manifesta e irriducibile contraddittorietà o della mera apparenza, deve pertanto risultare dal testo del provvedimento impugnato.
In sintesi, deve ribadirsi anche in questa sede che al compito assegnato a questa Suprema Corte dalla Costituzione resta estranea una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti , la quale implichi un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito, che è proprio quello che la ricorrente ha inteso richiedere con il proposto ricorso.
10. In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato e, in assenza di costituzione dell’intimata, nessun provvedimento dev’essere adottato sulle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 24.4.2025