Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19622 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19622 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11042/2022 R.G. proposto da :
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato ;
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia n. 2927/2021, depositata il 5 novembre 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Guardia di Finanza -Tenenza di Mola di Bari, con processo verbale di constatazione datato 22 gennaio 2015, riscontrava, nei confronti della impresa individuale COGNOME NOME, esercente l’attività di gestione di farmacia, l’omessa regolarizzazione di
prestazioni di lavoro temporaneo, effettuate per 25 giornate di lavoro da una lavoratrice non regolarmente assunta, tale NOME COGNOME
A seguito di tale accertamento, l’Ufficio, mediante successiva attività di controllo fiscale, provvedeva a notificare: i) avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2014, con il quale venivano accertati maggiori Irpef, Iva e Addizionale comunale e regionale; avviso di accertamento, relativo al medesimo anno, con il quale venivano recuperate le ritenute non operate e non versate sui compensi corrisposti alla lavoratrice non assunta regolarmente.
1.1. I predetti atti venivano impugnati dal contribuente, con distinti ricorsi, dinanzi alla CTP di Bari che, riuniti i giudizi, con decisione parzialmente favorevole al ricorrente, annullava l’atto impositivo relativo ai maggiori redditi accertati per l’anno 2014 e rigettava il ricorso relativo all’avviso di accertamento concernente le ritenute sui compensi corrisposti alla suddetta lavoratrice.
L’Ufficio impugnava tale sentenza dinanzi alla CTR della Puglia e il contribuente proponeva appello incidentale.
I giudici di seconde cure, rigettando entrambi gli appelli con la sentenza indicata in epigrafe, confermavano la decisione assunta in primo grado.
Avverso la predetta sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, a cui ha resistito con controricorso NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, rubricato «Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Dlgs n. 546/1992; dell’art. 132 c.p.c.; dell’art. 118 disp. Att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360 n 4 c.p.c. Motivazione apparente , l’Amministrazione finanziaria denuncia la totale carenza e/o contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata.
Lamenta la ricorrente che i giudici di appello, per avendo riconosciuto la sussistenza della attività lavorativa svolta ‘in n ero’ e confermato la legittimità dell’avviso di accertamento riguardante le ritenute Irpef non applicate e non versate sui compensi alla lavoratrice irregolare, abbiano annullato l’avviso di accertamento relativo al maggior reddito d’impresa, innescato dal medesimo rilievo, senza fornire una plausibile spiegazione al riguardo.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. L’assenza della motivazione, la sua mera apparenza, o ancora la sua intrinseca illogicità, implicano una violazione di legge costituzionalmente rilevante e, pertanto, danno luogo ad un error in procedendo , la cui denuncia è ammissibile dinanzi al giudice di legittimità ai sensi del n. 4 dell’art. 360, ponendosi come violazione delle norme poste a presidio dell’obbligo motivazionale (Cass. S.U. sentenze 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054). In sostanza, il vizio di motivazione che solo può dar luogo alla cassazione della sentenza è quello che attinge il nucleo fondamentale della sentenza, il cosiddetto minimo costituzionale di esplicitazione delle ragioni poste a base della sentenza.
1.3. Va ancora rammentato che ‘La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.’ (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053, cit.; Cass. Sez. 1, 03/03/2022 n. 7090).
1.4. Nel caso in esame dalla lettura del motivo di ricorso nessuna di tali censure viene mosse al Giudice di appello del quale si contesta, nella sostanza, la interpretazione della normativa applicabile in materia di accertamento induttivo, laddove la CTR ha ritenuto che l ‘unico indizio consistente nell a presenza della lavoratrice ‘ in nero ‘ non fosse sufficiente ad integrare la presunzione che giustifica il ricorso a tale modalità di accertamento. Per il resto, il motivo denuncia una mera insufficienza motivazionale, ex se non più ammissibile in sede di ricorso per cassazione.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce la Violazione dell’art. 39, comma 1, lett. d) del DPR 600/73, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. .
L’Ufficio rappresenta che il giudice di appello avrebbe disatteso il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui è ritenuta legittima la ricostruzione induttiva del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del DPR 600/73, basata sulla presenza di un dipendente non regolarmente assunto. Tale circostanza sarebbe, infatti, sufficiente per presupporre l’esistenza di ricavi non contabilizzati, la cui ricostruzione può essere effettuata utilizzando parametri riferiti alla qualifica e alle mansioni del lavoratore irregolare. In assenza di una prova contraria fornita da parte del contribuente, tale presunzione deve essere ritenuta valida.
L ‘ Agenzia ricorrente soggiunge che, anche in presenza di scritture contabili formalmente regolari, è legittimo procedere ad un accertamento analitico-induttivo, utilizzando i dati forniti dal contribuente. In tal caso, è possibile ricorrere alle presunzioni, a condizione che queste siano caratterizzate dai requisiti di gravità, precisione e concordanza stabiliti dall’art. 2729 c.c., per dimostrare
l’inesattezza o l’incompletezza di una o più voci delle suddette scritture contabili. A fronte di un accertamento, fondato su presunzioni dotate dei requisiti di cui sopra, che attesta l’esistenza di ricavi non dichiarati, correlati a fattori produttivi non dichiarati (nel caso specifico, l’assunzione irregolare di un lavoratore ), il giudice di merito ha omesso di considerare che il contribuente, per contrastare tale accertamento, avrebbe dovuto fornire prove idonee a superare la presunzione di maggiori ricavi in nero. Di conseguenza, risulterebbe violato il principio di ripartizione dell’onere della prova previsto dall’art. 2697 c.c., che impone al contribuente di confutare con prove idonee le presunzioni avanzate dall’Amministrazione.
Con il terzo motivo, viene prospettata la: Violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. , per asserita omessa pronuncia della CTR su una questione rilevante sollevata durante il giudizio.
In sede di appello l’Ufficio aveva evidenziato come la CTP avesse erroneamente ritenuto che l’avviso di accertamento fosse stato emesso ai sensi dell’art. 39, comma 2, del DPR 600/73, relativo all’accertamento induttivo puro, e non ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d) del medesimo decreto, che invece regola l’accertamento analitico induttivo. Sebbene fosse stata sollevata tale eccezione, la CTR non si è pronunciata su di essa, limitandosi semplicemente a confermare la decisione del primo giudice.
Con il quarto motivo, rubricato: Violazione e falsa applicazione degli artt. 39, co. 1, lett. d) e 39 co. 2 del DPR 600/73, nonché degli artt. 54, comma 2 e 55 del DPR 633/72 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. , l ‘ Agenzia sostiene che la Commissione sia incorsa in errore nel non riconoscere che, nel caso de quo , non si versava in un’ipotesi di accertamento induttivo puro, ma di accertamento analitico induttivo, come chiaramente indicato nella motivazione dell’avviso.
Il secondo motivo di ricorso è fondato, con assorbimento dei successivi.
5.1. Questa Corte, con giurisprudenza costante, ha affermato che l’accertamento analitico-induttivo non è escluso in presenza di scritture contabili formalmente corrette quando la contabilità si presenti complessivamente inattendibile alla stregua di criteri di ragionevolezza (cfr. Cass. 14/10/2020, n. 22184 resa in un caso in cui l’unica presunzione posta a fondamento dell’avviso di accertamento ex art 39 cit. era costituita dal consumo di energia elettrica, presunzione dalla quale l’Ufficio era risalito alla quantificazione dei redditi di un’impresa di autolavaggio).
Nella stessa direzione si è precisato che l’accertamento con metodo analiticoinduttivo è consentito, ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d) d.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata, sicché essa possa essere considerata, nel suo complesso, inattendibile (Cass. 24/09/2014, n. 20060).
In tema di presunzioni semplici, la Corte ha ritenuto che gli elementi assunti a fonte di prova non devono essere necessariamente più di uno, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su di un solo elemento, purché grave e preciso, dovendo il requisito della «concordanza» ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non indispensabile, concorso di più elementi presuntivi (Cass. n. 15754 del 2009; Cass. n. 17474 del 2009; Cass. 26/09/2018, n. 23153; Cass. 29/01/2019, n. 2482). Nello stesso senso si è osservato -nel campo fiscale – che gli elementi assunti a fonte di presunzione non debbono essere necessariamente plurimi -benché l’art. 2729 cod. civ., l’art. 38, comma 4, d.P.R. n. 600 del
1973, e l’art. 38, comma 4, d.P.R. n. 633 del 1972, si esprimano al plurale -potendosi il convincimento del giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave (Cass. 15/01/2014, n. 656; Cass. 26/09/2018, n. 23153; Cass. 13/11/2023, n. 31583).
5.2. La CTR si è discostata dai principi ora richiamati, negando in via di principio l’idoneità, in ambito fiscale, di un unico elemento ad assurgere a fonte di presunzione.
In conclusione, accolto il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo ed assorbiti i restanti, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nel rispetto dei principi sopra illustrati, oltre a provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbiti i restanti.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame, oltre a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 giugno 2025.