Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25138 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25138 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/09/2025
AVVISO DI ACCERTAMENTO – IRES – IRAP 2007
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15062/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al ricorso,
-ricorrente -contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana n. 2209/2015, depositata il 14 dicembre 2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 maggio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
– Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate dopo aver chiesto ed esaminato documentazione riguardante la contabilità della società,
esercente attività di gestione di apparecchi che distribuiscono vincite in denaro ai sensi dell’art. 110, comma 6, R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) -notificava, in data 23 novembre 2012, alla RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. T8F030101323/2012 , con il quale rettificava il reddito della società ai sensi dell’art. 40 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 , per l’anno 2007 .
Avverso tale avviso di accertamento la società RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Grosseto deducendo diversi profili di illegittimità dell’atto impositivo. L’Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio e chiedeva il rigetto dell’impugnazione. La adìta Commissione, con sentenza n. 115/2014, depositata il 4 aprile 2014, accoglieva il ricorso e annullava l’avviso di accertamento , ravvisando il mancato rispetto del termine a difesa per il contribuente previsto dall’art. 12, comma 7, della l. 27 luglio 2000, n. 212, da concedersi all’esito del processo verbale di constatazione e di chiusura delle operazioni.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso la pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale. La società RAGIONE_SOCIALE si costituiva nel giudizio di secondo chiedendo il rigetto dell’appello. La Commissione Tributaria Regionale della Toscana, con la sentenza n. 2209/2015, pronunciata il 9 novembre 2015 e depositata in segreteria il 14 dicembre 2015, accoglieva l’appello, conferma ndo l’atto di accertamento e condannando la società contribuente al pagamento delle spese di lite.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE sulla base di cinque motivi (ricorso notificato il 10 giugno 2016).
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
6. Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 15 novembre 2024 , all’esito della quale, con ordinanza interlocutoria n. 32878 depositata il 16 dicembre 2014 , è stata disposta l’acquisizione dei fa scicoli di merito.
Con decreto del 14 febbraio 2025 è stata quindi nuovamente fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio del 9 maggio 2025, ai sensi degli artt. 375, comma 1, e 380bis .1 c.p.c.
-Considerato che :
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a cinque motivi.
1.1. Con il primo motivo di impugnazione la società ricorrente lamenta l’ omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione a ll’art. 360, comma 1, num. 5, c.p.c.
Deduce, in particolare, che la Commissione tributaria non avrebbe tenuto in conto che quella svolta dall’Ufficio era una verifica fiscale a carico della contribuente e che all’esito non era stato emesso alcun processo verbale di constatazione, quale atto conclusivo delle indagini, necessario per riconoscere le necessarie garanzie difensive, ma era stato direttamente notificato l’avviso di accertamento .
1.2. Con il secondo motivo di impugnazione la società ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione di legge e dell’art. 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 e dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c., perché l’Agenzia delle Entrate non avrebbe consegnato il verbale di constatazione e non
avrebbe rispettato il termine dilatorio di sessanta giorni per procedere dopo la chiusura delle operazioni di verifica fiscale.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso la società contribuente deduce la violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c., perché i giudici della Corte regionale avrebbero ritenuto non attendibile il dato offerto dalla perizia giurata di parte depositata dalla società, con riguardo alla percentuale di ripartizione degli utili tra gestori ed esercenti nonostante a tale percentuale facesse riferimento lo stesso accertamento.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso la società RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione dell’art. 36 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. per avere la sentenza omesso di argomentare per quale ragione avrebbe ritenuto più attendibile la ricostruzione dei ricavi offerta dalla Amministrazione rispetto a quella offerta dalla società.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso la società contribuente deduce l’ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. perché la sentenza avrebbe omesso del tutto di considerare la percentuale delle vincite nella ricostruzione induttiva dei ricavi.
Così delineati i motivi di ricorsi, la Corte osserva quanto segue.
2.1. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, e sono infondati.
Ed invero, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, la disposizione di cui all’art. 12, comma7, della l. n. 212/2000 -secondo la quale, salvi i casi di particolare
urgenza, l’avviso di accertamento non può essere emesso prima del termine di sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica da parte degli organi di controllo -riguarda esclusivamente gli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate presso i locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente; pertanto, il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000 non opera nell’ipotesi di accertamenti cc.dd. a tavolino, salvo che riguardino tributi “armonizzati” come l’IVA, ipotesi nella quale, tuttavia, il contribuente che faccia valere il mancato rispetto di detto termine è in ogni caso onerato di indicare, in concreto, le questioni che avrebbe potuto dedurre in sede di contraddittorio preventivo (Cass. 5 novembre 2020, n. 24793; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27420; Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823).
Nel caso di specie, risulta incontestato che l’attività di accertamento si sia svolta ‘a tavolino’, sulla base di richiesta di esibizione di scritture contabili da parte dell’Ufficio, nonché di incontri per chiarimenti e per il deposito di ulteriore documentazione; non si tratta, pertanto, di una verifica fiscale presso la sede della società, con accessi e ispezioni in quella sede, ragion per cui erroneamente la ricorrente invoca l’applicazione della disposizione in esame.
2.2. Anche il terzo motivo è infondato.
La C.T.R. ha ritenuto di confermare l’accertamento dell’Ufficio, «considerato che la parte non ha proposto rilievi validi a contestare la ripresa a tassazione che è derivata dai dati oggettivi indicati dalla concessionaria e quanto trascritto dalla contribuente nel libro dei corrispettivi».
In particolare, la Corte regionale, con accertamento di fatto insindacabile in questa sede, ha rilevato che la ricostruzione dell’Ufficio non è stata inficiata neanche dalla perizia di parte depositata dalla contribuente, non essendo documentato in alcun modo che la ripartizione della raccolta fra esercente e gestore fosse del 50% cadauno. Peraltro, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la circostanza che tale percentuale di ripartizione del residuo della raccolta fosse pacifica ed incontestata tra le parti non corrisponde al vero, posto che l’Ufficio ha sempre confermato la diversa percentuale di riparto indicata (pag. 8) nell’avviso di accertamento (secondo il quale dall’importo complessivo di € 1.139.042,00 , quale quota di compenso da dividere tra gestore ed esercenti, i compensi spettanti a questi ultimi sono pari ad € 362. 584,00, come risultante dal registro corrispettivi), e tale percentuale è stata confermata dalla Corte di merito; conseguentemente, alcuna violazione dell’art. 115 c.p.c. è configurabile nella fattispecie.
2.3 Il quarto motivo è anch’esso infondato.
Evidenziando che «la parte non ha proposto rilievi validi a contestare la ripresa a tassazione che è derivata dai dati oggettivi indicati dalla concessionaria e quanto trascritto dalla contribuente nel libro dei corrispettivi», la sentenza spiega perché la ricostruzione dell’Ufficio sia stata accolta, e cioè perché trova riscontro nelle indicazioni acquisite dalla concessionaria e da quanto trascritto dal contribuente nel registro dei corrispettivi. Quelle del contribuente, successivamente proposte non sono osservazioni che trovano analoghi oggettivi riscontri, dice la C.T.R., con motivazione sintetica ma comunque superiore al minimo costituzionale richiesto.
2.4. Il quinto motivo, infine, è inammissibile.
La ricorrente si duole che la C.T.R. non abbia esaminato un ulteriore fatto a suo dire decisivo per il giudizio, relativamente alle percentuali di vincita, ovvero che la percentuale applicata fosse quella minima teorica, come emergeva dalle fotografie di alcuni apparecchi, ove le percentuali delle vincite ivi indicate variavano da un minimo del 75% ad un massimo del 125%.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, tuttavia, la sentenza non ha trascurato la questione, ma ha trattato l’argomento e ha disatteso la tesi della società affermando che le censure della RAGIONE_SOCIALE all’operato dell’Ufficio, anche in relazione alle vincite maturate e detratte dagli incassi erano generiche e non supportate da adeguata documentazione. La validità intrinseca della argomentazione riguarda il merito istruttorio ed è sottratta all’esame della Corte limitato alla nomofilachia, ma l’esame del fatto si può riscontrare e non sussiste il vizio lamentato.
Il ricorso deve quindi, nel suo complesso, essere rigettato.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza della ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la ricorrente tenuta al pagamento di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la RAGIONE_SOCIALE alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio, che
si liquidano in € 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per dichiarare la ricorrente tenuta al pagamento una somma di importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 maggio