Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19570 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19570 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 26446/2016, proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME per procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del medesimo (info.pec@pacestudiolegale.net)
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1940/24/2016 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 5 aprile 2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 luglio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle entrate notificò a NOME COGNOME un avviso di accertamento a rettifica del reddito, ai fini Irap e Irpef, per l’anno 2008, con irrogazione di sanzioni.
L’ atto impositivo faceva seguito ad un accertamento di tipo induttivo che aveva interessato il reddito derivato al contribuente dalla sua attività di trasporto pubblico a mezzo taxi nel Comune di Milano; in particolare, da un riscontro sui consumi di olio dichiarati era emerso che il mezzo del Fiumi aveva percorso un numero di chilometri ben superiore a quello che veniva inferito dai dati dei turni di lavoro.
Il contribuente impugnò l’avviso innanzi alla C.T.P. di Bergamo, che accolse parzialmente il ricorso, riducendo la ripresa in misura corrispondente a ll’ammontare medio tempore ri liquidato dall’Ufficio in autotutela parziale.
La sentenza di primo grado fu confermata dalla C.T.R. della Lombardia, adìta con appello del Fiumi.
I giudici regionali respinsero, anzitutto, l’ eccezione di nullità della sentenza appellata per carenza di motivazione, nonché il motivo di impugnazione con il quale era stata dedotta la nullità dell’atto impositivo per mancato rispetto del termine dilatorio riferito al processo verbale prodromico, ovvero per carenza di delega in capo al funzionario sottoscrittore.
Rilevarono, inoltre, la legittimità del comportamento dell’Amministrazione finanziaria, che pendente judicio aveva emesso un nuovo atto impositivo in parziale autotutela.
Nel merito, dichiararono di condividere le modalità con le quali era stato condotto l’accertamento con metodo induttivo, riportando i dati relativi ai consumi di olio con il correlato chilometraggio.
Il contribuente ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato ad otto motivi, illustrati da successiva memoria.
L’ Agenzia delle entrate ha depositato controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo il ricorrente denunzia la nullità della sentenza impugnata per carenza di motivazione nella parte in cui ha deciso la sua eccezione di nullità della sentenza di primo grado per la medesima ragione.
Osserva, al riguardo, che i giudici regionali si sono limitati ad affermare che «la sentenza di primo grado è congruamente e correttamente motivata», senza null’altro indicare o specificare quanto alle ragioni di tale asserzione.
Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 24 della l. n. 4 del 1929 e dell’art. 12 della l. n. 212/2000.
La sentenza d’appello è critica nella parte in cui ha escluso la denunziata violazione del contraddittorio sul rilievo del fatto che il contribuente aveva ricevuto il questionario prodromico all’avviso, con il quale aveva potuto far valere le proprie ragioni; secondo il ricorrente era invece necessaria, ai fini della validità dell’atto impositivo, la preventiva notifica del verbale, mai avvenuta nel caso di specie.
In relazione alla medesima circostanza il ricorrente deduce poi, con il terzo mezzo di ricorso, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, assumendo che i giudici d’appello non avrebbero preso in considerazione la mancanza del verbale di chiusura delle operazioni di verifica.
Con il quarto motivo, riferito sempre allo stesso tema, è dedotta nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Il ricorrente lamenta, infatti, l’omessa pronunzia, da parte della C.T.R., sulla questione relativa al mancato rispetto del termine dilatorio.
Con il quinto motivo il ricorrente contesta la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il contraddittorio endoprocedimentale fosse stato garantito dall’invio preventivo, al contribuente, del questionario con il quale egli era stato «messo in grado di far valere le proprie ragioni».
Lamenta, al riguardo, l’omesso esame di un fatto controverso, consistente nel suo rilievo circa l’insufficienza dell’invio del questionario preventivo a far ritenere rispettato il principio del contraddittorio.
Con il sesto motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 112, 115 e 167 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ.
Assume, in proposito, che i giudici d’appello avrebbero omesso di considerare gli effettivi consumi di olio, come comprovati dal libretto di manutenzione dell’autovettura, fondando l’accertamento «su di un’alternativa risultanza presuntiva, priva di gravit à, precisione e concordanza».
Con il settimo motivo, denunziando violazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973, il ricorrente censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto legittimo il ricorso, da parte dell’Amministrazione, alla parziale revoca in autotutela dell’at to impositivo.
Sostiene, infatti, che in tal modo l’Ufficio avrebbe «sanato un vizio di motivazione dell’atto di accertamento originario» , evitando surrettiziamente di incorrere nella decadenza prevista per procedere all’accertamento.
C on l’ottavo motivo, infine, il ricorrente denunzia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e «per travisamento
dei fatti di causa per errata ricognizione dei redditi accertati per gli anni 2006 e 2007».
Al riguardo, assume di aver già denunziato, innanzi ai giudici d’appello, l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui affermava che il reddito rideterminato dall’Ufficio era «in linea con quanto stabilito negli accertamenti per gli anni 2006 e 2007», quando, in realtà, per tali annualità era stato accertato un reddito sensibilmente inferiore a quello oggetto del presente giudizio; lamenta, quindi, che sul punto la C.T.R. avrebbe omesso di pronunziarsi.
Il primo motivo è inammissibile per come formulato.
9.1. Il ricorrente, infatti, denunzia un difetto di motivazione, da parte della C.T.R., nella statuizione sul motivo di gravame con il quale egli aveva eccepito la nullità, per la stessa ragione, della sentenza di primo grado.
Sul punto, la decisione impugnata si è in effetti limitata a rilevare che la sentenza di primo grado sarebbe stata «congruamente e correttamente motivata».
Nondimeno, tale argomentazione, in sé sola considerata, non è necessariamente significativa di un difetto di motivazione; occorre, infatti, leggerla in relazione alla pronunzia cui si riferisce, poiché solo in tal senso si può individuare il necessario livello di specificazione delle ragioni per le quali, a fronte dei rilievi di parte appellante, sia stato ritenuto assolto l’obbligo di motivazione.
9.2. In proposito, tuttavia, il ricorrente non ha offerto alcun elemento significativo.
In particolare, non risulta né riportata, né richiamata la sentenza di primo grado, asseritamente affetta dal vizio nella motivazione, né, tantomeno, è fatto cenno agli argomenti del motivo di appello sul quale la C.T.R. avrebbe trascurato di illustrare adeguatamente il proprio convincimento.
Questa Corte, sul punto, ha ritenuto che, laddove il ricorso per cassazione denunci un vizio che comporta la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, il giudice di legittimità non deve limitarsi a vagliare la sufficienza e logicità della motivazione con cui quello di merito ha statuito sul punto, ma ha il potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda, «purché la censura sia stata ritualmente formulata, rispettando, in particolare, il principio di autosufficienza del ricorso, da intendere come un corollario del requisito di specificità dei motivi di impugnazione, in quanto l’esame diretto degli atti e dei documenti è circoscritto a quelli che la parte abbia specificamente indicato ed allegato» (così Cass. n. 896/2014).
La censura è formulata in difformità da tale prescrizione; essa, pertanto, non supera il vaglio di ammissibilità.
Il secondo, il terzo e il quarto motivo appaiono connessi e possono così essere scrutinati congiuntamente.
10.1. Gli assunti del ricorrente riposano sulla circostanza della mancata notificazione del p.v.c. prodromico all’atto impositivo , donde deriverebbe la nullità d i quest’ultimo .
L’omesso rilievo di tale circostanza determinerebbe un vizio della sentenza impugnata, prospettato dal contribuente in forma di violazione di legge, di omessa considerazione di un fatto controverso e decisivo e di omessa pronunzia.
10.2. Tutte le censure sono infondate.
Ricorrendo, infatti, una fattispecie di accertamento ‘a tavolino’ concernente tributi non armonizzati, la disciplina applicabile ratione temporis non richiedeva, ai fini della validità dell’atto impositivo, la preventiva redazione del verbale di chiusura delle operazioni e di constatazione (fra le numerose altre, Cass. n. 5292/2024; Cass. n. 20436/2021; Cass n. 18103/2018; Cass. n. 8246/2018).
Non vi è spazio, dunque, per la pronunzia di nullità dell’avviso di accertamento richiesta dal contribuente.
Il quinto motivo è inammissibile per come formulato e, in ogni caso, non è fondato.
11.1. È inammissibile in quanto, in base alla vigente formulazione dell’art. 360, comma 1, n um. 5 cod. proc. civ. (come modificato dal d.l. n. 83/2012, conv. dalla legge n. 134/2014, applicabile ratione temporis ), il vizio denunciabile per cassazione sub specie concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Il ricorrente lamenta, invece, la mancata considerazione di una sua propria argomentazione difensiva , in base alla quale l’invio del questionario non varrebbe a far ritenere assolto l’onere erariale di preventiva instaurazione del contraddittorio sulla pretesa tributaria.
11.2. In ogni caso, la censura, anche ove riletta in forma di denunzia di una violazione di legge -giacché il ricorrente si duole, in realtà, del fatto che i giudici d’appello abbiano ritenuto rispettato il contraddittorio preventivo per mezzo dell’invio, da parte dell’Ufficio, del questionario sulla cui base era poi stato emesso un successivo atto in autotutela -non è fondata per le stesse ragioni di cui ai precedenti motivi: vertendosi, infatti, in materia di accertamento a tavolino su tributi non armonizzati, non era necessaria la preventiva instaurazione del contraddittorio ai fini della validità dell’atto impositivo.
È inammissibile anche il sesto motivo, con il quale il ricorrente, dietro l’apparente denunzia di nullità della sentenza, sollecita a questa Corte una nuova (e non consentita) valutazione del materiale probatorio già scrutinato dai giudici d’appello.
Questi ultimi, infatti, hanno espressamente dato atto di aver apprezzato le rispettive «argomentazioni specifiche delle parti circa il consumo di olio in relazione al chilometraggio percorso», ritenendo maggiormente persuasive quelle offerte dall’Amministrazione.
Si tratta, all’evidenza, di una valutazione fattuale che in questa sede non può essere rinnovata; mentre, con pari evidenza, non sussiste alcuna omissione di pronuncia, nei termini denunziati dal ricorso.
13. Anche il settimo motivo è inammissibile per come formulato.
La tesi del ricorrente -secondo cui l’atto impositivo emesso in autotutela avrebbe costituito sanatoria del precedente, non motivato, aggirando la decadenza nel frattempo maturata -avrebbe imposto di giustificare il difetto di motivazione del primo atto e di chiarire i termini in relazione ai quali sarebbe maturata l’eccepita decadenza.
In mancanza, la censura non risulta conforme ai principii di specificità e autosufficienza.
14. Infine, l’ottavo motivo non coglie la ratio decidendi .
In punto alla rideterminazione del reddito, infatti, la C.T.R. ha rappresentato le proprie ragioni ritenendo fondato il computo operato dall’Ufficio «in seconda battuta, e cioè in sede di autotutela», sulla base del raffronto dei dati sui consumi e sul chilometraggio.
Rispetto a tali dati, il rilievo, svolto in precedenza dai giudici di primo grado, della sostanziale corrispondenza del reddito rideterminato con quello degli anni precedenti, si configurava come mero argomento ad colorandum , inidoneo, di per sé, a determinare il convincimento dei giudici.
15. In conclusione, il ricorso è meritevole di rigetto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Sussistono i presupposti per la condanna del ricorrente al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 2.300,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte Suprema