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Accertamento a tavolino: no al termine di 60 giorni

La Corte di Cassazione ha stabilito che il termine dilatorio di 60 giorni, previsto dallo Statuto del Contribuente, non si applica in caso di accertamento a tavolino. Questa garanzia procedimentale è riservata solo ai controlli eseguiti tramite accessi, ispezioni e verifiche presso la sede del contribuente. L’ordinanza chiarisce che l’amministrazione finanziaria può emettere l’avviso di accertamento basato su dati d’ufficio senza attendere tale periodo, poiché manca l’elemento intrusivo che giustifica la tutela rafforzata del contraddittorio.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento a tavolino: la Cassazione esclude il termine dilatorio di 60 giorni

L’ordinanza in commento affronta una questione cruciale per i rapporti tra Fisco e contribuente: l’applicabilità del termine dilatorio di 60 giorni, previsto dallo Statuto del Contribuente, anche ai casi di accertamento a tavolino. Con una decisione netta, la Corte di Cassazione ha chiarito che questa garanzia, pensata per tutelare il contribuente dopo un controllo invasivo, non si estende ai controlli effettuati presso gli uffici dell’Amministrazione Finanziaria. L’introduzione di questa distinzione è fondamentale per comprendere i diversi livelli di tutela del contraddittorio.

I Fatti del Caso

Una società e i suoi soci si vedevano notificare tre avvisi di accertamento per maggiori imposte (IRAP, IVA, IRPEF) relative all’anno 2009. L’Agenzia delle Entrate aveva basato le proprie pretese su un controllo effettuato presso i propri uffici, il cosiddetto accertamento a tavolino, senza quindi effettuare accessi o ispezioni presso la sede dell’azienda. I contribuenti impugnavano gli atti, sostenendo la violazione dell’art. 12, comma 7, della Legge n. 212/2000 (Statuto del Contribuente), che impone un termine dilatorio di 60 giorni tra la conclusione della verifica e l’emissione dell’avviso di accertamento. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado accoglievano le ragioni dei contribuenti, annullando gli avvisi. L’Agenzia delle Entrate, non condividendo tale interpretazione, ricorreva per cassazione.

La questione giuridica nell’accertamento a tavolino

Il nodo centrale della controversia era stabilire se la garanzia del termine dilatorio di 60 giorni, finalizzata a consentire al contribuente di presentare memorie difensive prima della formalizzazione della pretesa fiscale, fosse applicabile universalmente a ogni tipo di controllo o solo a quelli più invasivi. In particolare, la Corte doveva decidere se un accertamento a tavolino, che si basa sull’analisi di dati già in possesso dell’ufficio o acquisiti da fonti esterne (come le banche dati), potesse essere assimilato a un accesso o a un’ispezione presso i locali del contribuente, per i quali la legge prevede esplicitamente tale garanzia.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza impugnata. Il ragionamento dei giudici si fonda su una distinzione netta tra le due tipologie di controllo.

La Corte ha ribadito che, secondo la sua giurisprudenza costante, l’inosservanza del termine dilatorio di 60 giorni non determina la nullità dell’avviso di accertamento quando si tratta di tributi “non armonizzati” e, soprattutto, quando l’avviso non è emesso a seguito di accessi, ispezioni e verifiche presso la sede del contribuente.

La ratio della norma è quella di bilanciare lo squilibrio tra contribuente e Amministrazione derivante dall’esercizio dei poteri ispettivi, che sono per loro natura intrusivi. Quando l’ufficio si reca presso l’azienda, il contribuente si trova in una posizione di soggezione. Il termine di 60 giorni serve, quindi, a ripristinare un dialogo paritario, consentendogli di esporre le proprie ragioni a mente fredda, una volta conclusa l’ispezione.

Questa esigenza non sussiste nel caso dell’accertamento a tavolino. In tale ipotesi, non vi è alcuna attività ispettiva invasiva presso la sede del contribuente. Il controllo avviene negli uffici dell’Agenzia sulla base di dati preesistenti. Pertanto, non si giustifica l’applicazione della medesima tutela procedimentale rafforzata. La Corte ha inoltre specificato che nell’ordinamento nazionale non esiste un principio generale di contraddittorio endoprocedimentale che imponga al Fisco di interpellare il contribuente prima di ogni atto impositivo, come confermato anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Le Conclusioni

La decisione della Corte di Cassazione consolida un importante principio: le garanzie previste dallo Statuto del Contribuente devono essere interpretate in base alla loro finalità. Il termine dilatorio di 60 giorni è una tutela specifica contro l’invasività dei controlli fisici e non una regola generale applicabile a ogni forma di accertamento. Per i contribuenti, ciò significa che in caso di accertamento a tavolino, l’avviso può essere emesso immediatamente dopo la conclusione delle analisi d’ufficio, senza alcuna attesa. Questa pronuncia chiarisce i confini del contraddittorio, distinguendo nettamente le procedure a seconda del grado di interferenza nella sfera del contribuente.

Il termine dilatorio di 60 giorni è sempre obbligatorio prima di un avviso di accertamento?
No. Secondo la Corte di Cassazione, questo termine è obbligatorio solo quando l’avviso di accertamento è il risultato di accessi, ispezioni e verifiche fiscali eseguiti presso la sede del contribuente. Non si applica agli accertamenti “a tavolino”.

Qual è la differenza tra un’ispezione in sede e un accertamento a tavolino?
Un’ispezione in sede comporta l’accesso fisico dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate nei locali del contribuente per esaminare documenti e verificare l’attività. Un accertamento a tavolino è, invece, un controllo svolto interamente presso gli uffici dell’Agenzia, basato su dati e informazioni già disponibili o acquisiti da altre fonti.

La legge europea impone sempre un dialogo preventivo con il contribuente prima di un accertamento?
No. La sentenza richiama la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa Jiri Sabou), la quale ha affermato che l’Amministrazione, quando procede alla raccolta di informazioni, non è tenuta a informarne il contribuente né a conoscere il suo punto di vista in quella fase.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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