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Accertamenti bancari: versamenti e liberi professionisti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5152/2024, ha stabilito che negli accertamenti bancari a carico dei liberi professionisti, i versamenti sui conti correnti si presumono compensi non dichiarati, a differenza dei prelevamenti. La Corte ha chiarito che la declaratoria di incostituzionalità (sentenza n. 228/2014) riguarda solo la presunzione sui prelevamenti per i lavoratori autonomi. Spetta quindi al professionista fornire la prova contraria per i versamenti contestati dall’Agenzia delle Entrate.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamenti bancari: la Cassazione fa chiarezza su prelievi e versamenti per i liberi professionisti

Gli accertamenti bancari rappresentano uno degli strumenti più efficaci a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per contrastare l’evasione fiscale. Tuttavia, la loro applicazione deve rispettare principi di ragionevolezza e proporzionalità, soprattutto quando si tratta di lavoratori autonomi. Con la recente ordinanza n. 5152 del 27 febbraio 2024, la Corte di Cassazione è tornata su un tema cruciale: la diversa valenza probatoria dei prelevamenti e dei versamenti sui conti correnti dei liberi professionisti.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato riguarda un libero professionista che aveva ricevuto un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2004, con cui l’Agenzia delle Entrate contestava un maggior reddito di oltre 747.000 euro. La pretesa fiscale si basava interamente sui movimenti bancari, sia prelevamenti che versamenti, registrati sui conti del contribuente. Quest’ultimo si opponeva, sostenendo l’illegittima applicazione retroattiva della norma (art. 32 del D.P.R. 600/1973, modificato dalla L. 311/2004) che estendeva ai “compensi” dei professionisti la presunzione legale di ricavi, originariamente prevista solo per gli imprenditori.

In primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) accoglieva il ricorso del professionista. Successivamente, la Commissione Tributaria Regionale (CTR), in appello, ribaltava la decisione. La CTR, tenendo conto dell’intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 228/2014), riteneva valido l’accertamento limitatamente ai versamenti, escludendo i prelevamenti, e rideterminava il maggior reddito in circa 178.000 euro. Il contribuente ha quindi proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sugli Accertamenti Bancari

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del professionista, confermando la decisione della CTR. I giudici di legittimità hanno affrontato due motivi di ricorso:

1. Violazione di legge: Il ricorrente sosteneva che l’irretroattività della presunzione, sancita dalla Corte Costituzionale, dovesse applicarsi sia ai prelevamenti sia ai versamenti.
2. Omissione di un fatto decisivo: Il contribuente lamentava un errore di calcolo da parte della CTR, che non avrebbe considerato una duplicazione di voci per circa 77.000 euro.

La Cassazione ha ritenuto il primo motivo infondato e il secondo inammissibile, consolidando un importante principio in materia di accertamenti bancari.

Le Motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su una distinzione netta tra la presunzione applicabile ai prelevamenti e quella relativa ai versamenti per i lavoratori autonomi.

I giudici hanno richiamato la sentenza n. 228/2014 della Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato illegittima la presunzione che i prelevamenti non giustificati di un libero professionista costituiscano investimenti professionali che generano compensi non dichiarati. Questa presunzione è stata ritenuta irragionevole perché l’attività del lavoratore autonomo si basa principalmente sull’apporto intellettuale e non su continui investimenti in beni e servizi come per l’imprenditore. Inoltre, per i professionisti è fisiologica una certa promiscuità tra spese personali e professionali.

Al contrario, la presunzione legale secondo cui i versamenti su un conto corrente costituiscono reddito imponibile, se non diversamente giustificati, è stata ritenuta pienamente valida e operativa per tutti i contribuenti, inclusi i liberi professionisti. La logica è diversa: un’entrata di denaro sul conto, se non giustificata come reddito già tassato, esente o non imponibile, rappresenta un incremento patrimoniale che si presume legittimamente tassabile.

Di conseguenza, la Corte ha concluso che la presunzione di cui all’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 è circoscritta ai soli prelevamenti per gli imprenditori, mentre per i versamenti essa opera nei confronti di tutti i contribuenti. L’onere della prova contraria ricade sempre sul contribuente, che deve dimostrare la natura non imponibile delle somme accreditate.

Per quanto riguarda il secondo motivo, la Corte lo ha dichiarato inammissibile per ragioni processuali, evidenziando che il ricorrente non aveva dimostrato di aver sollevato la questione nel precedente grado di giudizio (principio di autosufficienza del ricorso) e che la doglianza non configurava un “omesso esame di un fatto storico decisivo” ai sensi della normativa vigente.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale per chiunque sia soggetto ad accertamenti bancari, e in particolare per i liberi professionisti. Se da un lato i prelevamenti non possono più essere automaticamente considerati come costi per investimenti produttivi di reddito nero, i versamenti mantengono intatta la loro forza presuntiva. Per un professionista, ogni accredito sul conto corrente che non corrisponda a una fattura emessa può essere considerato dall’Agenzia delle Entrate come un compenso non dichiarato. Sarà suo compito dimostrare, con prove documentali, che tali somme sono già state tassate, sono esenti, o non costituiscono reddito (ad esempio, prestiti, donazioni, risarcimenti). Questa sentenza sottolinea l’importanza di una gestione contabile e finanziaria rigorosa e trasparente, separando per quanto possibile i flussi finanziari personali da quelli professionali.

Per un libero professionista, i versamenti su conto corrente possono essere considerati compensi non dichiarati?
Sì. Secondo la sentenza, i versamenti non giustificati sul conto corrente di un libero professionista si presumono legalmente come compensi imponibili non dichiarati. Spetta al professionista fornire la prova contraria, dimostrando che tali somme sono già state tassate, sono esenti o non rilevano ai fini reddituali.

Perché la presunzione sui prelevamenti bancari è stata dichiarata incostituzionale per i liberi professionisti ma non per le imprese?
La Corte Costituzionale ha ritenuto irragionevole la presunzione per i professionisti perché la loro attività si basa principalmente sull’apporto intellettuale e non su continui investimenti in beni e servizi. È quindi arbitrario presumere che un prelievo sia un costo per un’attività che a sua volta ha generato un ricavo in nero. Per le imprese, invece, questa doppia correlazione tra costo (prelievo) e ricavo è considerata più congruente con il loro modello operativo.

Cosa deve fare un libero professionista per contestare un accertamento bancario basato sui versamenti?
Il professionista deve fornire la prova contraria per ogni singolo versamento contestato. Deve dimostrare che le somme accreditate non costituiscono compensi imponibili, provando ad esempio che si tratta di redditi già tassati, redditi esenti, trasferimenti di denaro personale (giroconti), prestiti ricevuti, donazioni o risarcimenti danni. La prova deve essere documentale e specifica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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