Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22261 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22261 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 01/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1036/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLE MARCHE n. 180/05/15 depositata il 26/05/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza n. 180/05/15 del 26/05/2015, la Commissione tributaria regionale delle Marche (di seguito CTR) respingeva l’appello
proposto da RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza n. 430/03/14 della Commissione tributaria provinciale di Ascoli Piceno (di seguito CTP), che aveva respinto il ricorso della società contribuente relativo ad un avviso di accertamento per IRAP e IVA relative all’anno di imposta 20 07.
1.1. Come emerge dalla sentenza impugnata, l’atto impositivo era stato emesso a seguito di accertamenti bancari sui conti correnti dei soci NOME COGNOME e NOME COGNOME ritenuti riconducibili alla società contribuente.
1.2. La CTR respingeva l’appello di Ellegi evidenziando, per quanto ancora interessa, che: a) le rimesse sui conti correnti bancari oggetto di contestazione non erano state giustificate dalla società contribuente, che aveva semplicemente affermato la loro riferibilità al sig. NOME COGNOME titolare di altra impresa e socio di altre società; b) il contribuente non aveva documentato i costi sostenuti; c) risultavano rispettate le garanzie del contribuente in sede di verifica; d) l’atto impositivo era stato correttamente motivato.
NOME impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione affidato a sei motivi, illustrati con memoria ex art. 380 bis .1 cod. proc. civ.
AE resisteva in giudizio con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va pregiudizialmente evidenziato che il ricorso è stato passato per la notifica all’Ufficiale giudiziario l’ultimo giorno utile, il 28/12/2015, data del versamento dei diritti di notificazione (come risulta dalla produzione del ricorrente) ed è pertanto tempestivo, anche se la notifica è stata materialmente effettuata in data 29/12/2015.
Ancora in via pregiudiziale va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso in quanto proposto da società estinta in
data antecedente alla proposizione del ricorso di cassazione (e anche del ricorso in appello).
2.1. Nella prospettazione dell’Amministrazione finanziaria la società contribuente risulta cancellata dal registro delle imprese in data 03/10/2014 e, quindi, anteriormente all’entrata in vigore, il 13/12/2014, dell’art. 28, comma 4, del d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175, che ha prorogato di cinque anni gli effetti dell’estinzione della società di cui all’art. 2495 cod. civ. Ne conseguirebbe che il legale rappresentante della società estinta non avrebbe la legittimazione sostanziale e processuale a proporre il ricorso per cassazione.
2.2. Peraltro, la circostanza dell’estinzione è stata solo dedotta dalla controricorrente ma non anche documentata. Dalla visura depositata dalla società contribuente, invece, estratta il 05/01/2016, non si evince affatto la cancellazione della società in data 03/10/2024, data indicata come di iscrizione nel registro delle imprese, ma unicamente la sua inattività (quanto meno all’epoca).
2.3. In assenza di altre emergenze istruttorie, deve, dunque, ritenersi che la società sia attualmente esistente, con conseguente sussistenza della legittimazione attiva all’introduzione del presente procedimento.
Con il primo motivo di ricorso NOME deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., essendo inficiata dal vizio di ultrapetizione. La CTR, da un lato, avrebbe imputato le movimentazioni bancarie esistenti sul conto dei soci alla società contribuente in assenza di prova di tale riferibilità e, dall’altro, avrebbe pronunciato ultrapetita , riconoscendo l’esistenza di una società familiare di fatto nonché l’esistenza di una
interposizione fittizia nell’intestazione dei conti correnti bancari, riferibili a detta società.
3.1. Il motivo è infondato.
3.2. Ellegi pone la questione della legittimità delle riprese fiscali operate a carico di una società sulla scorta delle risultanze delle verifiche sulle movimentazioni dei conti correnti intestati non solo alla società verificata ma anche ai soci, amministratori o a soggetti legati a questi da particolari stretti rapporti personali. Questione di cui questa Corte si è più volte occupata (tra le più recenti, cfr. Cass. n. 7583/2025, Cass. n. 31750/2024, Cass. n. 20816/2024 e Cass. n. 35856/2023) enucleando i principi di seguito riportati che il Collegio intende ribadire.
3.3. Innanzitutto, si è affermato che in tema di accertamenti fiscali, tanto in materia di imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600/1973, quanto in materia di IVA, ex art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. n. 633/1972, le presunzioni ivi stabilite, secondo cui le movimentazioni sui conti bancari risultanti dai dati acquisiti dall’Ufficio si presumono conseguenza di operazioni imponibili, operano anche in relazione alle società di capitali con riferimento alle somme di denaro movimentate sui conti intestati ai soci o ai loro congiunti, conti che debbono ritenersi riferibili alla società contribuente stessa, in presenza di alcuni elementi sintomatici, come la ristretta compagine sociale ed il rapporto di stretta contiguità familiare tra l’amministratore, o i soci, ed i congiunti intestatari dei conti bancari soggetti a verifica, risultando, in tal caso, particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei soci e dei loro familiari debbano, in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario, ascriversi allo stesso ente sottoposto a verifica (Cass. n. 22224 del 2018; Cass. sez. 6-5, ord. 14 ottobre 2016, n. 20851; Cass. sez. 5, 11 marzo
2016, n. 4788; Cass. sez. 5, 12 giugno 2015, n. 12276; Cass. sez. 5, 14 gennaio 2015, n. 428; Cass. sez. 5, 18 dicembre 2014, n. 26829; v. anche Cass. n. 33596 del 2019).
3.4. Nel senso della riconducibilità delle movimentazioni dei conti correnti dei soci alla società verificata nel caso di ristretta base azionaria, Cass., Sez. 5, n. 30098 del 21/11/2018, secondo cui, in tema di accertamenti sui redditi di società di persone a ristretta base familiare, l’Ufficio finanziario può legittimamente utilizzare, nell’esercizio dei poteri attribuitigli dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, le risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci, riferendo alla società le operazioni ivi riscontrate, perché la relazione di parentela tra i soci è idonea a far presumere la sostanziale sovrapposizione tra interessi personali e societari, identificandosi gli interessi economici in concreto perseguiti dalla società con quelli propri dei soci, salva la facoltà dell’ente di dimostrare l’estraneità delle singole operazioni alla comune attività d’impresa.
3.5. Tali principi devono, però, confrontarsi con quell’orientamento, pure da tempo presente nella giurisprudenza di questa Corte, che non reputa sufficiente, per acquisire i dati bancari relativi a terzi, estranei alla società, la sola sussistenza del rapporto familiare o della qualità di socio o di amministratore, ma impone che l’Agenzia delle entrate dimostri la sussistenza di indizi che facciano presumere la riconducibilità alla società delle somme transitate nei conti correnti persona, e si è affermato il principio in base al quale «le indagini bancarie nei confronti di una società a responsabilità limitata possono essere estese ai conti correnti dei soci della stessa soltanto se sussistano elementi indiziari che inducano a ritenere che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni fiscalmente rilevanti» (Cass., Sez. 5, n. 33596 del 18/12/2019, Rv. 656410-02, in cui si
richiamano Cass. n. 12817/2018, n. 17423/2003, n. 11145/2011; n. 17243/2003, n. 8826/2001).
3.6. Si tratta di un orientamento rinvenibile anche nelle più recenti pronunce di cui si è sopra dato atto e che è stato affermato anche con riferimento agli accertamenti in materia di imposte dirette.
3.7. In tale materia, questa Corte, pur ribadendo che le verifiche fiscali finalizzate a provare, per presunzioni, la condotta evasiva possono riguardare anche i conti bancari intestati al coniuge o al familiare del contribuente, potendo desumersi la riferibilità a quest’ultimo da elementi sintomatici, quali: il rapporto di stretta familiarità, l’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta considerato, l’infedeltà delle dichiarazioni e l’esercizio di attività da parte del contribuente compatibile con la produzione della maggiore redditività riferita a dette persone (Cass. n. 546 del 15/01/2020), si è comunque precisato che la sola sussistenza dello stretto vincolo familiare fra il contribuente e il terzo non è un dato sufficiente per assurgere a prova presuntiva qualificata delle riferibilità, in tutto o in parte, al contribuente accertato delle movimentazioni del conto corrente intestato al familiare, occorrendo che tale vincolo sia accompagnato dalla indicazioni di altri elementi, il cui onere di allegazione è a carico dell’Ufficio, idonei a dimostrare, in via logico-presuntiva, che la situazione reddituale del soggetto terzo intestatario del conto è incompatibile o comunque non può giustificare le movimentazioni riscontrate sul conto che, per tale ragione, può fondatamente ritenersi nella disponibilità effettiva del contribuente accertato (Cass. n. 32974/2018; n. 34747/2023, n. 20816/2024).
3.8. Orbene, nel caso di specie i giudici di appello si sono attenuti ai suddetti principi avendo rilevato, da un lato, lo stretto vincolo familiare tra l’amministratore della società, NOME Giuseppe, e l’altra
socia, suo coniuge, e dall’altro che i predetti soci erano impossidenti (circostanza affermata a ll’inizio di pag. 9 della sentenza impugnata e non contestata), sicché non si giustificavano gli ingenti importi rinvenuti sui conti correnti loro intestati.
3.9. La censura in esame è quindi infondata al pari di quella con cui è stata dedotta l’ultrapetizione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata che muove dall’erroneo presupposto, clamorosamente smentita dal contenuto dell’avviso di accertamento, che « i denari rinvenuti sui conti correnti dei due soci appartenessero agli intestatari dei conti correnti » e che « l’atto tributario non si era fondato affatto sulla simulazione relativa soggettiva nella intestazione dei conti correnti personali dei soci» . Invero, nell’atto impositivo allegato al ricorso emerge con assoluta evidenza che tali importi erano riconducibili alla società contribuente e relativi alla « mancata contabilizzazione di elementi positivi di reddito » da parte della stessa. Tutto ciò in ragione del fatto che i soci erano titolari di redditi personali assai esigui e che quindi non si giustificava, né era stata giustificata, la titolarità delle ingenti somme rinvenute su tali conti correnti.
3.10. Il motivo di ricorso va, pertanto, complessivamente rigettato.
Con il secondo ed il terzo motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omess a, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a fatti decisivi che sono stato oggetto di discussione tra le parti. In particolare, la CTR avrebbe: a) insufficientemente motivato in ordine alla prova dell’interposizione fittizia e a quella concernente la doppia imposizione nei confronti di NOME e di NOME COGNOME; b) contraddittoriamente motivato con riferimento a due situazioni giuridiche incompatibili, quella dell’interposizione fittizia e quella della
società familiare di fatto, peraltro nemmeno dimostrate; c) omesso di considerare il processo verbale di constatazione, dal quale emergerebbe la provenienza da altre società delle somme contestate a Ellegi; d) omesso di considerare i flussi finanziari tra genitori (NOME COGNOME e NOME COGNOME) e figlio (NOME COGNOME); e) omesso di considerare che la Ellegi avrebbe fatto ricorso a soli due tipi di finanziamento, i mutui e l’apporto dei soci, senza mai effettuare operazioni immobiliari.
4.1. I motivi vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione e sono inammissibili.
4.2. Innanzitutto, va dato atto che la motivazione della sentenza impugnata non è né insufficiente o mancante, né contraddittoria e tanto meno apparente, atteso che essa, per come dato atto nella parte relativa allo svolgimento del processo, esibisce una motivazione congrua, logicamente argomentata ed effettiva sia dal punto di vista grafico che contenutistico (Cass., Sez. U, n. 8053 del 2014), ponendosi ben al di sopra del minimo costituzionale di cui all’art. 111, sesto comma, Cost.
4.3. Quanto, invece, al profilo di insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, deve ricordarsi il principio nomofilattico in base al quale « La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia
si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione » (Cass., Sez. U, n. 8053/2014, cit., cui hanno fatto seguito numerose pronunce conformi delle Sezioni ordinarie, tra cui Cass. n. 7090/2022 nonché Cass. n. 6986/2023, in motivazione).
4.4. Inoltre, i motivi sono inammissibili perché formulati in violazione del disposto di cui all’art. 348 ter cod. proc. civ., ora 360, quarto comma, cod. proc. civ., vertendosi nella specie in ipotesi di doppia pronuncia di merito conforme in relazione alle censure dedotte, peraltro senza che la ricorrente abbia assolto l’onere di indicare i profili di divergenza tra le ragioni di fatto a base della decisione di primo grado e quelle a base del rigetto dell’appello, com’era invece necessario per dar ingresso alla censura proposta (cfr. Cass. n. 26774 del 2016, Cass. n. 5528 del 2014 e, più recentemente, Cass. n. 5947 del 2023).
4.5. Non c’è poi evidenza di precisi fatti storici la cui valutazione sarebbe stata omessa ma di argomentazioni e tesi sviluppate dalla ricorrente, in particolare sulla riconducibilità delle somme riprese a tassazione alla società immobiliare amministrata dal figlio, che, peraltro, diversamente da quanto sostenuto nei motivi in esame, sono state considerate dai giudici di appello ma espressamente ritenute non condivisibili.
4.6. Al riguardo deve aggiungersi che i motivi incorrono del vizio di inammissibilità per difetto di specificità, avendo la ricorrente omesso di trascrivere nel ricorso e di localizzare tra gli atti allegati e quelli prodotti nei giudizi di merito, la documentazione che proverebbe quanto lamentato nei motivi in esame, essendosi limitata
semplicemente a riportare «per sintesi», in uno specchietto formato alle pagine 26 e 27 del ricorso, presunte operazioni di bonifici per lo più effettuati in anni diversi da quello oggetto di accertamento (anno d’imposta 200 7).
Con il quarto motivo si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 14-29 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e degli artt. 102 e 354 cod. proc. civ., con conseguente nullità della sentenza, nonché, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi – TUIR), inapplicabile alle società di capitali, e, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omessa motivazione su di un fatto decisivo della controversia.
5.1. In particolare, si evidenzia che: a) sussisterebbe un litisconsorzio necessario tra società e soci, violato dalla CTR nel momento in cui ha ritenuto l’esistenza di una società familiare di fatto; b) l’art. 5 del TUIR non sarebbe applicabile alle società di capitali e la CTR avrebbe omesso di motivare in ordine all’imputabilità ai soci del reddito della società.
5.2. Il motivo è infondato nella parte in cui si contesta la violazione del litisconsorzio necessario tra società e soci; è, invece, inammissibile nella parte in cui si afferma l’inapplicabilità dell’art. 5 TUIR alle società di capitali e l’omessa motivazione in ordine alla imputabilità del reddito ai soci.
5.3. L’affermazione a pag. 9 della sentenza impugnata è chiaramente stata fatta al fine di dare atto di quella ‘promiscuità’ di rapporti tra i soci, coniugi tra loro, ed il figlio NOMECOGNOME che poi i giudici di appello hanno escluso affermando con fermezza (in neretto nella sentenza impugnata) che la tesi difensiva di riconducibilità di
quelle somme all’attività del figlio NOME « è priva di ogni benché minimo elemento di riscontro ed appare anzi smentita dai fatti ». Affermazione, questa, che è incompatibile con la sussistenza di una società di fatto tra i soci della ricorrente e il figlio degli stessi.
5.4. Sicuramente va escluso il litisconsorzio necessario tra società di capitali a ristretta base sociale e i soci. Secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, « l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi della società di persone e di quelle dei singoli soci comporta, in linea di principio, la configurabilità di un litisconsorzio necessario, con il conseguente obbligo per il giudice, investito dal ricorso proposto da uno soltanto dei soggetti interessati, di procedere all’integrazione del contraddittorio, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 546 del 1992, pena la nullità assoluta del giudizio stesso, rilevabile – anche d’ufficio – in ogni stato e grado del processo » (così Cass. n. 16730 del 25/06/2018; ma la giurisprudenza della S.C. è pacifica a partire da Cass. S.U. n. 14815 del 04/06/2008; cfr., a mero titolo esemplificativo Cass. n. 27603 del 30/10/2018; Cass. n. 15116 del 11/06/2018; Cass. n. 1472 del 22/01/2018; Cass. n. 26648 del 10/11/2017; Cass. n. 15566 del 27/07/2016; Cass. n. 7789 del 20/04/2016; Cass. n. 25300 del 28/11/2014; litisconsorzio escluso dalla Corte unicamente in caso di controllo automatizzato delle dichiarazioni della società, senza rideterminazione del reddito: cfr. Cass. n. 9527 del 11/05/2016).
5.5. Un simile orientamento, assolutamente consolidato in tema di società di persone e volto al riconoscimento del litisconsorzio necessario tra società e soci, non è stato, invece, riproposto da questa Corte nel caso di società di capitali, laddove si esclude normalmente il litisconsorzio necessario tra società e soci (Cass. n. 31214 del 09/11/2023; Cass. n. 20507 del 29/08/2017; Cass. n. 426
del 10/01/2013; Cass. n. 2214 del 31/01/2011), fatta salva l’ipotesi in cui la società di capitali abbia optato per l’imputazione del reddito per trasparenza ai sensi dell’art. 5 del TUIR (Cass. n. 24472 del 01/12/2015; Cass. n. 27278 del 21/10/2024).
5.6. Nel caso di specie, non risulta in alcun modo che RAGIONE_SOCIALE abbia optato per il regime cd. di trasparenza di cui all’art. 5 del TUIR, sicché il litisconsorzio necessario tra società e soci deve essere escluso. Tanto più sotto il profilo della configurabilità di una società familiare, posto il rilievo marginale che deve darsi a tale affermazione della CTR, come in precedenza precisato.
5.7. A ciò aggiungasi che la tesi di parte ricorrente contrasta anche con l’indirizzo più volte espresso in materia da questa Corte, che, in caso di separata pendenza dei giudizi di accertamento nei confronti di società di capitali a ristretta base partecipativa e dei soci della stessa, ha individuato un rapporto di dipendenza dell’accertamento riguardante i soci rispetto alla società, tale da legittimare l’eventuale sospensione, ex art. 337 cod. proc. civ. del giudizio relativo all’accertamento riguardante il socio laddove sia impugnata la sentenza resa in tema di accertamento sulla società (cfr., in generale, Cass., Sez. U., 29 luglio 2021, n. 21763 e, specificamente, nel contenzioso tributario, Cass., 12 settembre 2022, n. 26699; Cass., 6 ottobre 2017, n. 23480; Cass., 5 settembre 2016, n. 17613; Cass., 17 luglio 2014, n. 16329), potendo comunque il socio, nel giudizio relativo all’accertamento del proprio reddito da partecipazione, oltre a far valere questioni personali, contestare nel merito l’accertamento del maggior reddito d’impresa della società. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di impugnazione dell’avviso di accertamento emesso nei confronti di socio di società di capitali, avente ad oggetto il maggior reddito da partecipazione derivante dalla presunzione di distribuzione dei
maggiori utili accertati a carico della società partecipata, non vi è litisconsorzio necessario tra società e soci, sussistendo unicamente il nesso di pregiudizialitàdipendenza tra l’accertamento sociale e quello dei soci (Cass., 7 luglio 2022, n. 21644; Cass., 4 gennaio 2022, n. 94; Cass., 8 ottobre 2020, n. 21649; Cass., 28 agosto 2017, n. 20507; Cass., 10 gennaio 2013, n. 426; Cass., 31 gennaio 2011, n. 22143).
5.8. La censura, pure formulata nel motivo in esame con riferimento all’art. 5 del TUIR, è invece inammissibile per novità della questione dedotta, che non risulta, né dal testo della sentenza impugnata né dal ricorso, essere stata posta dinanzi al giudice di merito, ovvero nel ricorso originario. Ed in effetti in quest’ultimo, prodotto in allegato al ricorso per cassazione, non risulta proposto alcun motivo con riferimento al citato art. 5 del TUIR.
5.9. Al riguardo va ricordato che, « Qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa » (Cass. n. 3473/2025).
Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omessa motivazione circa un fatto decisivo della controversia. In particolare, la CTR avrebbe pronunciato
motivazione apparente in ordine alla corretta motivazione dell’avviso di accertamento, con specifico riferimento al difetto di allegazione degli assegni bancari e degli estratti di conto corrente bancario all’atto impositivo, nonché in ordine alla mancata allegazione dell’autorizzazione a compiere indagini fiscali e bancarie.
6.1. Con il sesto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 12 della l. n. 212 del 2000 e dell’art. 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (decreto IVA), per avere la CTR erroneamente ritenuto che la sottoscrizione del processo verbale di constatazione da parte della società contribuente possa surrogare l’inesistenza dell’atto, mai portato a conoscenza di NOME.
6.2. I motivi, che trattano almeno in parte questioni similari, vanno disattesi.
6.3. La censura proposta ai sensi del n. 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. è inammissibile per la preclusione di cui all’art. 348 ter cod. proc. civ., di cui si è detto esaminando il secondo e terzo motivo.
6.4. Ma anche a voler riqualificare la censura di «omessa motivazione», dedotta nella rubrica, in quella di omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., il motivo, che non fa riferimento alla nullità della decisione in conseguenza di detta omissione, va comunque dichiarato inammissibile alla stregua del principio giurisprudenziale in base al quale « Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, comma 1, c.p.c., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso
in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge » (Cass. n. 10862/2018).
6.5. In ogni caso, le censure sono infondate e vanno rigettate.
6.6. Quanto alla prima censura, i giudici di appello hanno correttamente escluso un obbligo in capo all’amministrazione finanziaria di allegare all’avviso di accertamento o di produrre la documentazione bancaria in originale; hanno dato atto che il contenuto essenziale degli accertamenti bancari era stato «riversato» nell’atto impositivo e, «soprattutto le risultanze degli accertamenti bancari, lungi dal non essere note al contribuente, gli sono state spiegate e contestate, tanto che costui si è difeso specificamente sul punto a fol. 41 del p.v.c.» (sentenza, pag. 4).
6.7. A ciò aggiungasi che nel p.v.c. – che è stato allegato al ricorso e che venne consegnato alla parte contribuente, e a cui l’atto impositivo rimanda -, risultano indicate, una per una, le movimentazioni bancarie riprese a tassazione, sicché risulta pienamente soddisfatto l’onere motivazionale dell’atto impositivo e nessun ulteriore onere, quale quello di allegazione allo stesso «degli assegni bancari e degli originali degli estratti dei conti correnti bancari dei singoli soci» (ricorso, pag. 36), peraltro nella disponibilità delle banche, gravava sull’amministrazione finanziaria.
6.8. Anche la seconda censura è infondata posto che sulla questione dedotta, ovvero «l’omessa allegazione della autorizzazione ad effettuare le indagini fiscali e bancarie» all’avviso di accertamento, nella sentenza impugnata si dà espressamente atto, così come già avevano fatto i giudici di primo grado, che il p.v. di verifica sottoscritto da NOME COGNOME riportava a pag. 2 l’annotazione della G.d.F. di aver reso edotto la parte contribuente dei motivi dell’intervento e di aver esibito l’ordine di esecuzione della verifica fiscale, da ciò derivando l’assoluta superfluità dell’allegazione di quell’autorizzazione all’atto impositivo, neppure richiesto ai fini di completezza motivazionale dello stesso.
6.9. Quanto all’autorizzazione alle indagini bancarie, la questione va esaminata unitamente al sesto motivo di ricorso con cui la ricorrente deducendo, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 3 cod. proc. civ., la « Violazione o falsa applicazione del D.P.R. N. 600/1973 (art. 33) e L. N. 212/2000 (art. 12) e D.P.R. N. 633/1972 (art. 52) », torna a lamentare l’inesistenza e l’omessa esibizione dell’autorizzazione alla G.d.F. all’espletamento delle indagini bancarie, che non era mai stata allegata al p.v.c. o all’avviso di accertamento e nemmeno prodotta in giudizio.
6.10. La ricorrente sostiene che « la sentenza impugnata ha equivocato la portata del motivo di ricorso ritenendo che la sottoscrizione del p.v.c. da parte di NOME NOME legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE e la informativa circa i motivi della verifica fiscale potesse costituire prova, o meglio un surrogato, dell’atto autorizzativo alle indagini finanziarie che, invece, non risulta fosse preesistito e tanto meno che fosse portato a conoscenza del soggetto passivo della verifica » (ricorso, pag. 39).
6.11. Il motivo, anche a voler prescindere dalla sua inammissibilità perché la ricorrente deduce un vizio di violazione di
legge pur sostanzialmente lamentando un’omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., da dedursi ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., su un motivo che è, peraltro, anche nuovo non risultando essere stato proposto nei gradi di merito e nemmeno è trattato nella sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 3473/2025), è manifestamente infondato posto che a pagina 8 del processo verbale di constatazione regolarmente consegnato e sottoscritto dal legale rappresentante della società contribuente, si legge testualmente: «Ulteriore attività ispettiva ha riguardato il riscontro della documentazione bancaria acquisita previa autorizzazione dell’A.G. competente. (vds. all. n. 3) ». Pertanto, non solo l’autorizzazione preesisteva alla verifica, ma era stata anche allegata al p.v.c. consegnato alla parte contribuente, che non risulta aver mai lamentato alcunché al riguardo.
6.12. Deve, inoltre, osservarsi che, diversamente da quanto si sostiene nella memoria, nel caso di specie, avendo la ricorrente lamentato – peraltro infondatamente, per come si è detto sopra, nel quinto motivo di ricorso-, «l’omessa allegazione all’avviso di accertamento della autorizzazione ad effettuare le indagini bancarie» nonché, nel sesto motivo, «la omessa esibizione e l’inesistenza di apposita autorizzazione della comandante della compagnia della RAGIONE_SOCIALE.», nessuna incidenza ha nella fattispecie la recente pronuncia della Corte Europea del Diritti dell’Uomo (CEDU) del 6 febbraio 2025, in causa n. 36617/18 più 12, RAGIONE_SOCIALE ed altri, in materia di garanzie spettanti ai contribuenti in sede di verifiche fiscali effettuate presso la sede dove viene svolta l’attività.
6.13. Con tale sentenza la CEDU ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sul presupposto che
l’ordinamento interno non fornisce garanzie adeguate in relazione agli accessi, ispezioni e verifiche effettuate dalla Guardia di Finanza e di AE presso i locali adibiti ad attività commerciali o professionali dei contribuenti, intesi in senso ampio e quindi comprensive sia delle sedi legali che di eventuali succursali.
6.14. Ciò precisato, va osservato che nella memoria, con riferimento alla citata sentenza della CEDU, la ricorrente sostiene di aver dedotto già con il ricorso originario: «(i) Difetto di motivazione (ii) Omessa indicazione dello scopo della verifica e dell’autorizzazione alla verifica (iii) Violazione del termine massimo di trenta giorni per l’espletamento delle operazioni di verifica (iv) Inosservanza dell’obbligo di produrre in originale la documentazione bancaria (v) Violazione degli artt. 32, 37, 39, 40 e 41 bis del D.P.R. n. 600/73 (cioè di alcune delle norme indicate a sospetto dalla Corte Europea) (vi) Mancato riconoscimento dei costi afferenti ai maggiori ricavi accertati».
6.15. Al riguardo, però, deve osservarsi che sulle questioni indicate dal ricorrente nessuna incidenza può attribuirsi alla sentenza della Corte EDU, sicuramente non con riferimento alle questioni indicate ai punti (i), (iv), (v) e (vi), né lo stesso ha allegato o dedotto alcunché con riferimento all’accesso operato dalla G.d. f. presso la sede della società.
6.16. Quanto alla questione relativa alla «Omessa indicazione dello scopo della verifica e dell’autorizzazione alla verifica» si è ampiamente argomentato, esaminando il quinto e sesto motivo di ricorso, sull’infondatezza di quanto dedotto al riguardo dal ricorrente.
6.17. Quanto alla violazione del termine massimo di trenta giorni per l’espletamento delle operazioni di verifica, la sentenza impugnata si è espressamente pronunciata sostenendo di condividere la sentenza di primo grado che aveva osservato che «un conto è la
verifica presso la sede del contribuente, altra cosa è la verifica eseguita presso gli uffici dell’organo di verifica, fattispecie che ricorre nel caso in esame». Tale statuizione, che esclude la sussistenza di detta violazione, non è stata fatta oggetto di specifico motivo di impugnazione con conseguente formazione, sul punto, del giudicato interno.
6.18. Da ultimo, quanto alla questione posta nella memoria con riferimento all’art. 21 bis del d.lgs. n. 74 del 2000, deve osservarsi che tale disposizione è inapplicabile nella fattispecie, posto che è la stessa ricorrente a sostenere che « nonostante la consistenza delle accuse desumibili dal PVC contestato non risulta alcuna condanna penale né alcuna imputazione a carico della società e del suo amministratore » (memoria, par. 3.9).
In conclusione, il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, avuto conto di un valore dichiarato della lite indeterminabile.
7.1. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente procedimento, che si liquidano in euro 5.900,00, oltre alle spese di prenotazione a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 12/06/2025.