Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2688 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2688 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/01/2024
AVVISO DI ACCERTAMENTO -IRPEF 2005
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27743/2014 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dal AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO in virtù di procura speciale a margine del ricorso,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell ‘RAGIONE_SOCIALE -Romagna n. 1215/05/2014, depositata il 13 giugno 2014;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza in camera di consiglio del 13 ottobre 2023 dal consigliere AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE notificava, in data 19 dicembre 2008, nei confronti di COGNOME NOME avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, con il quale veniva accertato nei confronti della predetta contribuente, per l’anno d’imposta 200 5, un maggior reddito imponibile di € 130.000,00, dal quale scaturivano maggiori imposte e sanzioni per complessivi € 114.576,00, oltre interessi.
Il suddetto avviso si fondava: i ) sulla mancata giustificazione degli accrediti erogati dalla società RAGIONE_SOCIALE, decurtati RAGIONE_SOCIALE somme che la stessa società aveva dichiarato nel proprio mod. 770 di avere corrisposto alla sig.ra COGNOME per l’anno 2005; ii ) sulla mancata giustificazione di altri accrediti erogati dalla RAGIONE_SOCIALE; iii ) sulla mancata giustificazione di altri accrediti vari non documentati; iv ) sulla emissione di alcuni assegni circolari per conto della RAGIONE_SOCIALE
La contribuente impugnava il suddetto avviso di accertamento dinanzi alla Commissione tributaria RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE la quale, con sentenza n. 117/03/2010, accoglieva il ricorso, annullando l’atto impugnato .
Interposto gravame dall’Ufficio , la Commissione tributaria regionale dell ‘RAGIONE_SOCIALE -Romagna, con sentenza 1215/05/2014, pronunciata il 4 aprile 2014 e depositata in segreteria il 13 giugno 2014, accoglieva l’appello e confermava la legittimità dell’accertamento, con compensazione RAGIONE_SOCIALE spese di lite.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME, sulla base di due motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La discussione del ricorso è stata fissata dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio del 13 ottobre 2023, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1 cod. proc. civ.
– Considerato che:
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo la ricorrente eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. statuto del contribuente), in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Rileva, in particolare, la contribuente che erroneamente la C.T.R. avrebbe ritenuto inapplicabile il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, cit., mancando, nella specie, l’obbligo di redazione del processo verbale di constatazione, in quanto la norma suindicata non conteneva alcun riferimento specifico al solo processo verbale di constatazione, ma individuava il momento da cui decorreva il termine dilatorio di sessanta giorni dal rilascio del processo verbale di chiusura RAGIONE_SOCIALE operazioni, termine che, nella specie, non era stato rispettato, avendo l’Ufficio emesso l’avviso di accertamento prima del decorso del termine di sessanta giorni dalla consegna di copia del processo verbale di chiusura RAGIONE_SOCIALE operazioni.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso di eccepisce nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. (motivazione apparente), in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ., in quanto la RAGIONE_SOCIALE.T.RRAGIONE_SOCIALE aveva
omesso di esaminare le numerose eccezioni sollevate in primo grado ed in appello, in ordine alla provenienza non reddituale RAGIONE_SOCIALE somme accreditate sui conti correnti.
Procedendo quindi all’esame del motivo di ricorso, osserva la Corte quanto segue.
2.1. Il primo motivo è infondato.
Correttamente la C.T.R. ha ritenuto non applicabile, nella specie, il termine dilatorio di sessanta giorni per l’emissione dell’avviso di accertamento, previsto dall’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, vertendosi, nella specie, in ipotesi di accertamento ‘a tavolino’, e non all’esito di accessi, ispezioni e verifiche nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali o professionali.
Sul punto, va rilevato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, previsto dall’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, non determina la nullità dell’avviso di accertamento emanato prima di detto termine, ove si tratti di tributi ‘non armonizzati’, e ove si tratti di avvisi emessi non all’esito di accessi, ispezioni e verifiche presso la sede dell’esercizio commerciale o professionale (Cass. 20 luglio 2016, n. 14861).
Più in particolare, le ipotesi del controllo eseguito presso la sede del contribuente e del controllo c.d. a tavolino non possono essere assimilate.
Nella prima ipotesi l’espansione della tutela del contraddittorio procedimentale è massima, in quanto tale tutela tende a bilanciare lo squilibrio tra contribuente e Amministrazione derivante dall’assoggettamento del primo ai
poteri ispettivi della seconda; cosicché, il termine dilatorio in questione si applica in tutti casi di accesso presso i locali del contribuente, pur quando il relativo processo verbale non contenga rilievi o addebiti (dovendo infatti, ai sensi dell’art. 52, comma 6, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, richiamato dal l’art. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, redigersi processo verbale anche degli accessi che si risolvano in una mera acquisizione di dati, elementi e notizie) (Cass. 29 ottobre 2018, n. 27420; Cass. 5 novembre 2020, n. 24793).
Nella seconda ipotesi, per contro, la naturale vis expansiva dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra fisco e contribuente non giunge fino al punto da imporre termini dilatori all’azione di accertamento che derivi da controlli fatti dall’Amministrazione nella propria sede, in base ai dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente.
Al riguardo, questo Collegio intende ribadire che, nell’ordinamento, non sussiste un principio generale che imponga il contraddittorio fin dalla fase di formazione della pretesa fiscale; né l’esistenza di tale principio potrebbe desumersi dal diritto comunitario, avendo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza 22 ottobre 2013, causa C-276/12, NOME COGNOME, affermato che «l’Amministrazione, quando procede alla raccolta d’informazioni, non è tenuta ad informarne il contribuente né a conoscere il suo punto di vista» (punto 45) (Cass. 13 giugno 2014, n. 13588; Cass. 30 agosto 2023, n. 25445).
Ciò posto, è pacifico che, nella fattispecie in esame, con specifico riferimento alla posizione della ricorrente, non vi è
stato alcun accesso o ispezione dell’Ufficio presso i locali destinati, ma solo un contradditorio su invito dell’Ufficio in sede di accertamento induttivo per ottenere chiarimenti sulla congruità dei redditi, sviluppatosi in una serie incontri tra le parti e con il deposito di documentazione da parte dell’interessata, ragion per cui non vi era obbligo per l’A.F. di attendere il termine di 60 gg. per l’emanazione dell’avviso di accertamento.
2.2. Anche il secondo motivo è infondato.
La ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sia priva di una vera e propria motivazione (e quindi sia viziata da motivazione apparente), in quanto la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe esaminato le ragioni giustificative RAGIONE_SOCIALE movimentazioni bancarie in entrata, che sono state considerate come reddito non dichiarato.
Al contrario deve rilevarsi che la C.T.R. ha ampiamente motivato sul punto in questione, evidenziando come l’accertamento fosse del tutto fondato, in quanto la ricorrente solo in parte aveva documentato la provenienza non reddituale dei movimenti in questione, con l’accertamento di maggior reddito soltanto per le ulteriori movimentazioni per le quali il contribuente non aveva fornito analitica documentazione causale, e per quelle movimentazioni extra-conto in contanti, finalizzate all’emissione di assegni circolari ovvero al ritiro di effetti, prive di qualsivoglia documentazione giustificatrice.
A tal proposito, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «in tema di accertamento RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, il d.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, fonda una presunzione relativa circa la
natura di ricavi sia dei prelevamenti sia dei versamenti su conto corrente, superabile attraverso la prova, da parte del contribuente, che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili; pertanto, in virtù della disposta inversione dell’onere della prova, grava sul contribuente l’onere di superare la suddetta presunzione (relativa) dimostrando la sussistenza di specifici costi e oneri deducibili, che dev’essere fondata su concreti elementi di prova e non già su presunzioni o affermazioni di carattere generale o sul mero richiamo all’equità» (Cass. 31 marzo 2022, n. 10351; Cass. 16 luglio 2020, n. 15161; Cass. 24 luglio 2014, n. 16896; Cass. 24 luglio 2012, n. 13035).
E’ stato, altresì, evidenziato che «il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, prevedono una presunzione legale in favore dell’Erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c., per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa RAGIONE_SOCIALE prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza RAGIONE_SOCIALE relative risultanze» (Cass. 30 giugno 2020, n. 13112; Cass. 3 maggio 2018, n. 10480; Cass. 5 maggio 2017, n. 11102).
Al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dall’art. 32 del d.P.R. n. 600/1973, pertanto, non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità RAGIONE_SOCIALE stesse alla sua attività (Cass. n. 10351/2022 cit.; v. anche Cass. 7 aprile 2023, n. 9593; Cass. 11 marzo 2015, n. 4829; Cass. 18 settembre 2013, n. 21303)
Nel caso di specie, la RAGIONE_SOCIALE.T.R. ha correttamente applicato la presunzione di maggiori ricavi prevista dall’art. 32 d.P.R. n. 600/1973, per come risultante dagli accertamenti bancari espletati, nel mentre ha ritenuto, con accertamento di fatto insindacabile in questa sede, che la contribuente avesse fornito RAGIONE_SOCIALE indicazioni meramente generiche e comunque non provate, con riferimento ai restanti versamenti sul conto corrente.
La sentenza impugnata ha fatto, quindi, corretta applicazione dei principi in materia di accertamenti bancari.
3. Consegue il rigetto del ricorso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza della ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la ricorrente tenuta al pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quate r, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna COGNOME NOME alla rifusione, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in € 5.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente, di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2023 .