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Accertamenti bancari professionisti: la Cassazione

La Corte di Cassazione interviene sul tema degli accertamenti bancari ai professionisti, chiarendo un punto fondamentale. A seguito di un ricorso dell’Agenzia delle Entrate contro uno studio legale, la Corte ha stabilito che la presunzione legale secondo cui i versamenti su conto corrente costituiscono reddito non dichiarato resta pienamente valida per i professionisti. La sentenza della Corte Costituzionale del 2014 aveva invalidato tale presunzione solo per i prelevamenti, non per i versamenti. La Cassazione ha quindi annullato la decisione della Commissione Tributaria Regionale che aveva erroneamente esteso l’inutilizzabilità delle indagini bancarie anche ai versamenti, rinviando il caso a un nuovo giudizio.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamenti Bancari Professionisti: i Versamenti sono sempre Reddito

Gli accertamenti bancari ai professionisti rappresentano uno degli strumenti più efficaci a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per contrastare l’evasione fiscale. Tuttavia, la loro applicazione è stata oggetto di importanti interventi giurisprudenziali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio cruciale: la presunzione legale che associa i versamenti non giustificati a ricavi non dichiarati è pienamente applicabile ai lavoratori autonomi, a differenza di quanto stabilito per i prelevamenti.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di uno studio legale associato e dei suoi singoli componenti. L’Agenzia contestava un maggior reddito non dichiarato, basando le proprie pretese su due elementi principali: i risultati di indagini bancarie che avevano evidenziato versamenti sui conti correnti ritenuti ingiustificati e la presunta mancata fatturazione di alcune prestazioni professionali.

Inizialmente, la Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto solo parzialmente il ricorso dei contribuenti. Successivamente, la Commissione Tributaria Regionale (CTR), in grado di appello, aveva completamente annullato gli atti impositivi. La CTR aveva fondato la sua decisione su un’interpretazione estensiva di una nota sentenza della Corte Costituzionale (n. 228/2014), ritenendo che, a seguito di tale pronuncia, gli accertamenti bancari fossero diventati del tutto inutilizzabili nei confronti dei liberi professionisti, sia per i prelevamenti che per i versamenti. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione avverso tale decisione.

La Decisione della Cassazione sugli Accertamenti Bancari ai Professionisti

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza della CTR e rinviando la causa a un nuovo giudizio. La decisione si fonda su due motivi principali, entrambi accolti.

La Distinzione Cruciale tra Versamenti e Prelevamenti

Il primo e più importante punto chiarito dalla Corte riguarda la presunzione legale di cui all’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973. La Cassazione ha ribadito che la sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014 ha dichiarato l’illegittimità della presunzione secondo cui i prelevamenti non giustificati da parte di un professionista costituiscono materia imponibile. Questo perché per un lavoratore autonomo, a differenza di un imprenditore, non è sempre logico presumere che un prelievo di contante sia destinato a un investimento in nero nell’attività.

Tuttavia, la stessa pronuncia della Consulta non ha minimamente intaccato la validità della presunzione relativa ai versamenti. Per i versamenti su un conto corrente, la presunzione che si tratti di ricavi non dichiarati rimane pienamente valida anche per i professionisti. Spetta quindi al contribuente fornire la prova analitica che ciascun versamento non costituisce un compenso imponibile, ma deriva da altre fonti (es. prestiti, donazioni, redditi già tassati). La CTR ha quindi commesso un grave errore di diritto nell’estendere l’inutilizzabilità delle indagini anche ai versamenti.

L’Omessa Pronuncia e le Prestazioni non Fatturate

Il secondo motivo di ricorso, anch’esso accolto, riguardava l’omessa pronuncia da parte della CTR su un’altra parte dell’accertamento. L’Agenzia delle Entrate, infatti, contestava anche maggiori ricavi derivanti da prestazioni professionali che, a suo avviso, erano state effettuate ma non fatturate. Tale contestazione si basava su riscontri documentali e questionari inviati alla clientela dello studio.

Annullando integralmente gli atti impositivi sulla base dell’errata interpretazione in tema di accertamenti bancari, la CTR aveva completamente omesso di valutare questa autonoma linea di contestazione. La Cassazione ha riconosciuto questo vizio procedurale, stabilendo che il giudice del rinvio dovrà esaminare anche questo specifico punto della pretesa fiscale.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte è netta e si basa su una corretta lettura della giurisprudenza costituzionale e di legittimità. I giudici hanno sottolineato che l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale è venuta meno, per effetto della sentenza n. 228/2014, limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti. Per i versamenti, invece, la presunzione legale di maggior reddito rimane intatta e pienamente operante. Il professionista che riceve un accredito sul proprio conto ha l’onere di dimostrarne la natura non imponibile. Inoltre, la Corte ha censurato la decisione del giudice d’appello per non aver esaminato tutte le ragioni della pretesa tributaria, incorrendo nel vizio di omessa pronuncia, che impone l’annullamento della sentenza e un nuovo esame nel merito.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale per tutti i liberi professionisti. L’onere della prova riguardo ai versamenti sui conti correnti ricade interamente su di loro. È essenziale mantenere una documentazione precisa e puntuale in grado di giustificare ogni singolo accredito e di distinguerlo chiaramente dai compensi professionali. La decisione ribadisce che gli accertamenti bancari ai professionisti sono uno strumento legittimo e potente nelle mani del Fisco per quanto riguarda l’analisi dei flussi in entrata. Ignorare questo aspetto può portare a conseguenze fiscali significative.

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 2014, i versamenti sul conto corrente di un professionista sono ancora considerati reddito non dichiarato?
Sì. La Corte di Cassazione chiarisce che la sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014 ha invalidato la presunzione legale solo per i prelevamenti, non per i versamenti. Pertanto, un versamento non giustificato sul conto di un professionista è ancora legalmente presunto essere un compenso imponibile, salvo prova contraria fornita dal contribuente.

Qual è la differenza tra la presunzione legale applicata ai versamenti e quella applicata ai prelevamenti per i professionisti?
Per i versamenti, vige una presunzione legale secondo cui le somme accreditate sul conto corrente, se non giustificate, costituiscono ricavi non dichiarati. Per i prelevamenti, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale, questa presunzione non è più applicabile ai professionisti, poiché non è logico presumere che un prelievo sia necessariamente un costo non dichiarato legato all’attività.

Cosa succede se un giudice di merito annulla un avviso di accertamento per un motivo, ma non si pronuncia su altre contestazioni sollevate dall’Agenzia delle Entrate?
La sentenza è viziata da ‘omessa pronuncia’. Come stabilito in questo caso dalla Corte di Cassazione, se il giudice annulla l’atto per un motivo ma ignora altre autonome contestazioni (come quelle basate su riscontri documentali diversi dalle indagini bancarie), la sua decisione può essere cassata. Il caso viene quindi rinviato a un nuovo giudice che dovrà esaminare anche i punti precedentemente ignorati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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