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Accertamenti bancari: onere della prova e limiti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15615/2025, interviene su un caso di accertamenti bancari per IRPEF. La Corte ha ribaltato la decisione di merito, chiarendo due principi fondamentali: primo, l’obbligo di contraddittorio preventivo non si applica agli ‘accertamenti a tavolino’ per tributi non armonizzati come l’IRPEF; secondo, in caso di accertamenti bancari, spetta al contribuente fornire una prova analitica e rigorosa che le movimentazioni non costituiscono reddito imponibile. La presunzione legale opera a favore del Fisco e una difesa generica non è sufficiente a superarla.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamenti bancari: la Cassazione definisce onere della prova e limiti al contraddittorio

L’ordinanza n. 15615/2025 della Corte di Cassazione fornisce chiarimenti cruciali in materia di accertamenti bancari, un tema di grande interesse per contribuenti e professionisti. La pronuncia interviene su due aspetti nevralgici: l’estensione del diritto al contraddittorio preventivo e la ripartizione dell’onere della prova quando il Fisco contesta movimentazioni sui conti correnti. Questa decisione ribadisce la rigidità della presunzione legale a favore dell’Erario e la necessità per il contribuente di fornire prove specifiche e dettagliate.

Il caso: un accertamento basato su movimentazioni bancarie

L’Agenzia delle Entrate notificava a una contribuente un avviso di accertamento per maggiori redditi IRPEF relativi all’anno d’imposta 2007. La pretesa fiscale si basava su indagini bancarie che avevano evidenziato movimentazioni su un conto corrente cointestato, ritenute dall’Ufficio non giustificate e quindi produttive di reddito imponibile.

La contribuente impugnava l’atto, sostenendo di essere meramente un’intestataria formale del conto, la cui gestione e disponibilità erano interamente riconducibili al coniuge. Inoltre, le operazioni contestate sarebbero state semplici giroconti, inidonei a generare reddito.

Nei primi due gradi di giudizio, le commissioni tributarie davano ragione alla contribuente, sebbene per motivi diversi. La Commissione Tributaria Regionale, in particolare, annullava l’accertamento per due ragioni principali:
1. La violazione del diritto al contraddittorio preventivo, ritenuto obbligatorio per ogni tipo di accertamento.
2. L’accoglimento della tesi difensiva della contribuente, che avrebbe ‘dimostrato’ la sua totale estraneità alle movimentazioni del conto.

L’Agenzia delle Entrate proponeva quindi ricorso per Cassazione, contestando entrambe le motivazioni della sentenza d’appello.

La decisione della Corte sugli accertamenti bancari

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Commissione Tributaria Regionale per un nuovo esame. I giudici di legittimità hanno ritenuto fondate entrambe le censure mosse dall’Ufficio, riaffermando principi consolidati in materia.

Il contraddittorio preventivo negli accertamenti ‘a tavolino’

Il primo punto affrontato dalla Corte riguarda l’obbligo del contraddittorio preventivo. La Cassazione, richiamando la sua stessa autorevole pronuncia a Sezioni Unite (n. 24823/2015), ha chiarito che, per i tributi ‘non armonizzati’ come l’IRPEF, non esiste un obbligo generalizzato di contraddittorio prima dell’emissione dell’atto, specialmente nel caso di accertamenti bancari condotti ‘a tavolino’ (cioè presso gli uffici dell’Agenzia).

L’obbligo sussiste solo nei casi specificamente previsti dalla legge (che non includeva la fattispecie in esame) o per i tributi ‘armonizzati’ a livello europeo. Pertanto, la Commissione Tributaria Regionale aveva errato nel ritenere l’accertamento nullo per la sola mancata instaurazione di un contraddittorio preventivo.

L’onere della prova negli accertamenti bancari

Il secondo e più rilevante motivo di accoglimento riguarda l’onere della prova. La Corte ha severamente criticato la sentenza di merito per aver disatteso le regole sul riparto probatorio. Secondo l’art. 32 del d.P.R. 600/73, le movimentazioni bancarie non giustificate si presumono legalmente come ricavi o redditi imponibili.

Questa presunzione legale inverte l’onere della prova: non è il Fisco a dover dimostrare la natura reddituale delle somme, ma è il contribuente a dover provare il contrario. Tale prova, sottolinea la Corte, non può essere generica o basata su affermazioni apodittiche. Il contribuente deve fornire una prova ‘analitica’, dimostrando specificamente, per ogni singola operazione contestata, la sua natura non reddituale e la riferibilità a terzi.

La sentenza di merito si era limitata a ritenere ‘dimostrata’ l’estraneità della contribuente sulla base di una non meglio specificata ‘documentazione allegata’, senza un’analisi rigorosa e puntuale. Questo approccio è stato giudicato insufficiente a superare la presunzione legale a favore dell’Erario.

le motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione su principi giuridici consolidati. La distinzione tra tributi armonizzati e non armonizzati è centrale per determinare l’applicabilità diretta dei principi del diritto europeo, incluso il diritto generalizzato al contraddittorio. Per l’IRPEF, tributo non armonizzato, valgono le norme nazionali, che, all’epoca dei fatti, non prevedevano tale obbligo per gli accertamenti basati su dati già in possesso dell’Amministrazione Finanziaria.

Sul piano probatorio, la motivazione si ancora alla natura di presunzione legale (e non semplice) prevista dalla normativa sugli accertamenti bancari. Ciò significa che il giudice non ha la discrezionalità di valutarne la gravità, precisione e concordanza. La presunzione opera ‘de plano’, e può essere vinta solo da una prova contraria robusta, analitica e specifica per ogni movimentazione. La decisione della CTR, omettendo questa verifica rigorosa e accontentandosi di una valutazione d’insieme, ha violato la legge sul riparto dell’onere della prova (art. 2697 c.c.) e le norme speciali in materia tributaria.

le conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per i contribuenti sottoposti ad accertamenti bancari. La decisione conferma che la difesa non può limitarsi a negare la natura reddituale delle operazioni o a sostenere genericamente l’estraneità alla gestione del conto. È indispensabile fornire una documentazione probatoria puntuale e analitica, in grado di giustificare ogni singola movimentazione contestata. In assenza di una prova così rigorosa, la presunzione legale a favore del Fisco prevale, con la conseguente legittimità della pretesa tributaria. La sentenza riafferma inoltre i confini del contraddittorio preventivo, circoscrivendone l’obbligatorietà ai soli casi previsti dalla legge, escludendo, per il passato, gli accertamenti ‘a tavolino’ su tributi non armonizzati.

In caso di accertamenti bancari, chi deve provare la natura delle movimentazioni sul conto corrente?
Spetta al contribuente l’onere di provare che gli accrediti sul proprio conto non costituiscono reddito imponibile. La legge stabilisce una presunzione legale a favore del Fisco, che può essere superata solo con una prova analitica e specifica per ogni singola operazione contestata.

È sempre obbligatorio il contraddittorio con il Fisco prima di un accertamento ‘a tavolino’?
No. Secondo la Cassazione, per i tributi non armonizzati come l’IRPEF e con riferimento alla normativa applicabile al caso, non sussiste un obbligo generalizzato di contraddittorio preventivo per gli accertamenti basati su dati già in possesso dell’Ufficio (cd. ‘a tavolino’). L’obbligo è limitato solo alle ipotesi specificamente previste dalla legge.

Cosa serve al Fisco per poter raddoppiare i termini di accertamento in caso di sospetto reato tributario?
Secondo la normativa applicabile all’epoca dei fatti, era sufficiente la mera sussistenza di seri indizi di un reato che facessero sorgere l’obbligo di denuncia penale. Non era necessario l’effettivo inoltro della denuncia né la sua produzione in giudizio per legittimare il raddoppio dei termini.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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