Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15615 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15615 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4466/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata;
– ricorrente –
CONTRO
COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, in qualità di erede universale di NOME, deceduta in data 31.8.2018, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME del foro di Catania e dall’avv. NOME COGNOME del foro di Velletri, giusta procura speciale in atti
-controricorrente e ricorrente in via incidentale condizionata -avverso la sentenza n. 1382/12/2020 della Commissione tributaria regionale dell’Emilia – Romagna, depositata in data 30.11.2020, notificata in data 14.12.2020;
udita la relazione svolta all’udienza camerale del 15.4.2025 dal consigliere dal Cons. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.NOME ricorreva avverso l’avviso di accertamento n.CODICE_FISCALE/2014, con il quale l’Agenzia delle Entrate di
OGGETTO: Accertamento IRPEF -indagini bancarie -contraddittorio preventivo raddoppio del termine ex art. 43 d.p.r. 600/73 -presupposti.
Bologna, a seguito di indagini bancarie autorizzate, accertava per l’anno di imposta 200 7 maggiori redditi derivanti da movimentazioni bancarie non giustificate sul conto corrente n. 4077893 presso Fineco Bank, cointestato alla figlia COGNOME NOME con conseguente recupero della maggior imposta IRPEF, oltre sanzioni ed interessi.
2.La C.T.P. di Bologna, nella resistenza dell’Agenzia delle Entrate, accoglieva il ricorso, ritenendo che, affinchè operi il raddoppio dei termini di cui all’art. 43 del d.p.r. 600/73, occorre che la denuncia alla Procura della Repubblica sia inoltrata entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione dei redditi. Inoltre, la mancata produzione in giudizio della denuncia penale da parte dell’Ufficio non consentiva di ritenere operante il raddoppio dei termini.
3. L’Agenzia delle Entrate proponeva appello e, nelle more del giudizio di gravame, per effetto del decesso dell’appellata in data 31.8.2018, a seguito del quale si costituiva in prosecuzione l’erede COGNOME NOME procedeva all’annullamento delle sanzioni. La C.T.R., accolto il motivo di censura relativo all’applicabilità dell’istituto del raddoppio del termine, rigettava nel resto il gravame, rilevando la violazione dell’art. 38 del d.p.r. n. 600/73 e dell’art. 10 del decreto legislativo 212/2000,in quanto era stato di fatto leso il diritto di difesa, essendo obbligatorio il contraddittorio preventivo per ogni tipo di accertamento, trattandosi di principio immanente nell’ordinamento, dovendosi disapplicare la legge interna, sia in quanto contrastante con il diritto comunitario, sia in quanto contrastante con gli articoli 24 e 97 della Costituzione e ciò senza obbligo di richiedere l’intervento della Corte Costituzionale e senza potersi distinguere tra tributi armonizzati e tributi non armonizzati. In aggiunta, sempre secondo la C.T.R., la contribuente aveva ‘ dimostrato, per il tramite della documentazione allegata, che era totalmente estranea alla movimentazione del conto
contestato, perche’ nei fatti era nella totale disponibilità’ del proprio coniuge COGNOME NOME che disponeva a piacimento, dimostrando altresì con la documentazione allegata che le movimentazioni fatte non producevano redditi a lei disponibili, ma si trattava di giroconti, anche se non contemporanei, che non potevano generare redditi a lei riconducibili.’
4.Avverso la precitata sentenza ha proposto tempestivo ricorso l’Agenzia delle Entrate, sulla base di due motivi.
5.COGNOME NOME, in qualità di erede di COGNOME NOME, resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi.
E’ stata fissata l’udienza camerale del 15.4.2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con primo motivo di ricorso -rubricato « violazione e falsa applicazione degli articoli 10 e 12 legge n. 212/2000 e 38 d.p.r. 600/73, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c .» l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per avere la C.T.R. erroneamente ritenuto operante l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, pur trattandosi di un accertamento ‘a tavolino’, basato su accertamenti bancari autorizzati, con ciò ponendosi in contrasto coi principi fissati dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 24823/2015 ed alla successiva giurisprudenza di legittimità, che richiama. La C.T.R. avrebbe peraltro impropriamente richiamato l’art. 38 del d.p.r. 600/73, atteso che non si era trattato di un accertamento sintetico, né era pertinente la pronuncia della Corte Costituzionale n. 132/2015 sull’art. 37 bis del d.p.r. 600/73.
2.Con il secondo motivo -rubricato « violazione e falsa applicazione degli artt. 32 d.p.r. 600/73 e 2697, 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. .» -l’Ufficio lamenta che la C.T.R. non abbia preso in considerazione alcuno dei numerosi e specifici elementi contenuti nell’avviso di accertamento, di cui trascrive il
contenuto, al fine di motivare circa il superamento della presunzione legale di cui all’art. 32 del d.p.r. 600/73, a norma del quale incombe sul contribuente dimostrare che le movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, come costantemente affermato dalla Suprema Corte in numerosi arresti. La C.T.R. aveva disatteso le regole di riparto dell’onere della prova in materia di accertamenti bancari, limitandosi ad affermazioni apodittiche e generiche, in assenza di giustificazioni analitiche e rigorose di ogni movimentazione bancaria da parte della contribuente.
3. Con il primo motivo di ricorso incidentale condizionato, rubricato « violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del DPR 600/73 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c .», la controricorrente lamenta che la C.T.R. non si sia avveduta che il denunciato uso strumentale e pretestuoso delle disposizioni sul raddoppio dei termini sussisteva proprio per effetto della ritenuta ‘ violazione degli articoli 38 d.p.r. 600/73 e 10 L. 212/2000 in relazione alla violazione del principio del contraddittorio, in quanto le date di svolgimento 16.12.2013 e 19.12.2013 hanno leso il diritto di difesa’, riferendosi alla doglianza secondo cui il 16.12.2013 veniva comunicato alla contribuente per la prima volta che l’accertamento sarebbe stato esteso agli anni 2006 e 2007 ed alla concessione di soli due giorni per reperire la documentazione, con avviso che in ogni caso il 19.12.2013 l’attività ispettiva sarebbe stata comunque conclusa per tutti i periodi di imposta. Da ciò sarebbe dovuto derivare, secondo il condivisibile ragionamento della C.T.R. circa il presupposto necessario per l’insorgenza dell’obbligo della denuncia penale (riscontro tra movimentazioni bancarie e giustificazioni del contribuente e successiva verifica dei presupposti della denuncia penale per le operazioni eventualmente rimaste ingiustificate), che non poteva operare il raddoppio dei termini, dato che la denuncia
era stata inoltrata prima che la contribuente potesse fornire giustificazioni.
4. Con il secondo motivo, rubricato « violazione degli articoli 156, comma 2, c.p.c., 132, comma 2, n. 4, del c.p.c., 118 disp. att. c.p.c, e 36 c. 2, n. 4, del d.lgs. n. 546/92», denuncia inesistenza o nullità della sentenza per inidoneità al raggiungimento dello scopo, dovuta al difetto del requisito essenziale di forma-contenuto della motivazione, per manifesta ed irriducibile contraddittorietà della motivazione e illogicità manifesta, evidenziando due insanabili contraddizioni: a) dopo aver affermato che la produzione in giudizio della denuncia penale era essenziale e che le movimentazioni sui conti correnti non fanno sorgere di per sé l’obbligo della denuncia penale, ma solo il riscontro fattuale con le eventuali giustificazioni fornite dalla contribuente ed il riscontro che detti importi non sono poi confluiti nella dichiarazione dei redditi, ha poi ritenuto che l’amministrazione avesse operato legittimamente, perché la Guardia di Finanza nel verbale del 19.12.2013, aveva riscontrato per l’anno 2006 versamenti non giustificati ed aveva ritenuto che sussistessero le condizioni per formalizzare una notizia di reato; b) dopo aver affermato che le movimentazioni sul conto corrente non fanno insorgere di per sé l’obbligo della denuncia penale, subito dopo, a pagina 7 della sentenza, accertava che non vi era stato alcun contraddittorio con la contribuente, in quanto le date del 16.12.2016 e 19.12.2013 avevano di fatto leso il diritto di difesa; c) riteneva a pagina 6 della pronuncia che ‘ sussistessero i presupposti per considerare l egittimo l’avvio di una notizia di reato alla Procura della Repubblica di Bologna con nota del 8.3.2013 anche se le date degli avvenimenti sono in contrasto tra loro in quanto il verbale che evidenzia la possibilità del reato è in effetti redatto nove mesi dopo l’informativa inviata alla Procura della Repubblica’ .
5. Il ricorso principale, da esaminare prioritariamente ( ex multis , Cass. SS.U.U. n. 5456/2009, Cass. 7381/2013, Cass. n. 25694/2024), è fondato.
Preliminarmente, va osservato che la C.T.R. ha respinto il gravame dell’Ufficio sulla base di due rationes decidendi , ciascuna delle quali sufficiente a fondare la decisione e che l’Agenzia delle Entrate ha censurato entrambe, soddisfacendo i requisiti di cui all’art. 366 c.p.c. e correttamente inquadrando le doglianze proposte quali errores in iudicando .
5.1. Ciò posto Questa Corte, nella nota sentenza a Sezioni Unite n. 24823/2015, ha fissato il seguente principio di diritto: « Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi ‘non armonizzati’, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi ‘armonizzati’, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona
fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto».
5.2. La giurisprudenza di legittimità successiva si è conformata a tali principi, ribadendo, per quanto di interesse, che, in ipotesi di accertamenti ‘a tavolino’, relativi a tributi non armonizzati, come nel caso di specie (IRPEF), non (era) previsto un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale generalizzato.
Infatti, almeno sino al d.lgs. n. 219 del 30 dicembre 2023, che ha introdotto nello Statuto del contribuente (legge n. 212/2000) l’art. 6 bis, rubricato ‘principio del contraddittorio’, è mancato, al di fuori delle fattispecie normative in cui fosse espressamente previsto, un obbligo generale, in capo all’amministrazione finanziaria, di attivare il contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente, non potendo tale obbligo ricavarsi dalla previsione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, la cui applicazione è limitata, secondo il suo tenore testuale, ai soli accertamenti conseguenziali ad accessi, ispezioni e verifiche presso i luoghi di riferimento del contribuente, con esclusione pertanto delle verifiche ‘a tavolino’ ( ex multis , Cass. n. 36502/2022 e Cass. n. 23729/2022), tranne che nelle specifiche ipotesi previste dalla legge, con modalità ed effetti diversamente declinati (es. art. 38, comma 7, d.p.r. n. 600/73, art. 10, comma 3 bis, l. 146/1998 in tema di studi di settore), tra le quali non rientra quella in esame.
5.3. Nell’ambito del diritto eurounionale, invece, l’obbligo generale di attivazione del contraddittorio in capo all’Amministrazione rappresenta un principio pienamente acquisito; l’orientamento espresso al riguardo dalla Corte di Giustizia Europea in plurime pronunce ( ex multis 24/02/2022 in causa C-582/20, RAGIONE_SOCIALE ma già 03/07/2014 in cause riunite C-129/13 e C-130/13, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, è stato recepito dal giudice nazionale, il quale
riconosce che i principi fondamentali del diritto europeo impongono, nell’ambito dei cosiddetti ‘tributi armonizzati’, ove ha ‘luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione’, un generale obbligo dell’amministrazione di instaurare un’interlocuzione preventiva con il contribuente, la cui inosservanza può portare all’invalidità dell’atto impositivo, ma solo quando quest’ultimo assolve alla ‘prova di resistenza’ (Cass. Sez. U. 09/12/2015, n. 24823 e, nella giurisprudenza successiva, ex multis , Cass. n. 9076/2021 e Cass. n. 7690/2020).
In definitiva, al di fuori delle ipotesi specifiche e dei tributi cd. armonizzati, non sussiste l’obbligo, in capo all’amministrazione finanziaria, del contraddittorio preventivo con il contribuente (da ultimo, Cass. 22/03/2024, n. 7829).
5.4. La C.T.R., laddove ha ritenuto, in fattispecie assoggettata alla normativa previgente rispetto alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 219 del 30 dicembre 2023, che l’obbligo del contraddittorio preventivo sussistesse per tutti i tipi di accertamento, compresi quelli cosiddetti ‘a tavolino’, peraltro facendo riferimento a norme inconferenti (art. 38 del d.p.r. 600/73) e ad una pronuncia di illegittimità costituzionale relativa a fattispecie estranea all’oggetto del giudizio (art. 37 bis del d.p.r. 600/73), non ha fatto corretta applicazione dei principi appena enunciati.
6. Anche il secondo motivo, riguardante la concorrente ratio decidendi , è fondato, dovendosi escludere che con esso l’Agenzia delle Entrate abbia inteso richiedere a questa Corte una non consentita rivalutazione del materiale probatorio, come infondatamente sostenuto dalla controricorrente.
Si legge nella sentenza impugnata: ‘ In aggiunta ciò vi è anche il fatto che la contribuente ha dimostrato per il tramite della documentazione allegata che era totalmente estranea alla movimentazione del conto contestato perché nei fatti tale conto era nella totale disponibilità del proprio coniuge COGNOME NOME
che ne disponeva a piacimento la documentazione allegata dimostra altresì che le movimentazioni fatte non producevano redditi a lei disponibili, ma si trattava di giroconti anche se non contemporanei che non potevano generare redditi riconducibili alla contribuente’.
6.1. La C.T.R., come fondatamente sostiene la ricorrente in via principale, ha del tutto pretermesso qualsiasi riferimento agli elementi forniti dall’Ufficio nell’avviso di accertamento impugnato (trascritto in ricorso) ed ha apoditticamente ritenuto che la ricorrente avesse dimostrato di essere una mera intestataria ‘formale’ del proprio conto corrente, nonché di aver effettuato operazioni di giroconto che, sebbene non contemporanee, non generavano ‘redditi a lei riconducibili’, fondando tale valutazione sulla ‘documentazione allegata’ dalla contribuente, in alcun modo identificata e partitamente valutata.
6.2. Ciò rende evidente che la C.T.R. non ha fatto corretta applicazione dei consolidati principi più volte affermati da questa Corte sul riparto dell’onere della prova in materia di accertamenti bancari (da ultimo, Cass. n. 12994/2025), secondo cui gli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze (cfr., ad es., Cass. Sez. 5, n. 13112 del 30/06/2020).
In ragione di quanto precede, la presunzione consente all’Amministrazione finanziaria di riferire ‘ de plano’ ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente (Cass. Sez. 5, n. 10249 del 26/04/2017). Ciò significa che, qualora l’accertamento effettuato dall’Ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova, non generica, ma analitica, per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili (in termini, da ultimo, Cass. Sez. 5, n. 15857 del 29/07/2016). Ne deriva che, avendo il contribuente l’onere di superare la presunzione posta dagli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, il Giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione’ (così Cass. Sez. 6 -5, n. 10480 del 03/05/2018).
Passando all’esame del ricorso incidentale condizionato, va respinto il secondo motivo, da esaminarsi prioritariamente per ragioni logico -giuridiche.
Vero è che la motivazione resa dalla C.T.R. appare in più punti contraddittoria, senonché, poiché la statuizione è comunque conforme a diritto e non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, il Collegio può limitarsi alla correzione della motivazione, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, c.p.c..
7.1. Questa Corte ha infatti più volte statuito che, in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dagli artt.
43, comma 3, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 per l’IRPEF e 57, comma 3, d.P.R. n. 633/1972 cit. per l’IVA consegue, nell’assetto anteriore alle modifiche di cui al D.L.vo 5 agosto 2015, n. 128 e alla L. 31 dicembre 2015, n. 208, alla ricorrenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p. (tra le tante, Cass. n. 20137/2021).
Pertanto, in base alla normativa applicabile ratione temporis , affinché l’A.F. possa avvalersi del raddoppio dei termini, è sufficiente il semplice riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, a prescindere dall’effettivo esercizio della azione penale e dall’accertamento del reato (Cass. n. 11171/2010).
7.2. La dizione legislativa rende palese che il raddoppio dei termini è legato all’astratta sussistenza di un reato perseguibile d’ufficio, che fa sorgere l’obbligo di denuncia in capo al pubblico ufficiale, ai sensi dell’art. 331 cit. e non dipende dall’effettivo inoltro della denuncia penale, né dal suo accertamento in concreto.
Tale interpretazione appare conforme al più volte affermato principio, elaborato, anche sulla scorta di quelli enunciati da Corte cost. 25 luglio 2011, n. 247, secondo cui il raddoppio opera in presenza di tale presupposto astratto, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denunzia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo (Cass. civ., sez. VI, 28 giugno 2019, n. 17586; Cass. civ., sez. V, 13 settembre 2018, n. 22337; Cass. civ., sez. VI, 30 maggio 2016, n. 11171).
7.3. Non era pertanto necessario l’effettivo inoltro della denuncia penale, né, a maggior ragione, la sua produzione in giudizio da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Inoltre, vero è che, come chiarito dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 247 del 2011, deve essere evitato un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni in esame, al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento. In caso di denuncia presentata oltre gli ordinari
termini di decadenza o addirittura di accertamento compiuto senza denuncia, e sempre al fine di verificare l’uso pretestuoso del raddoppio dei termini, il giudice tributario dovrà dunque controllare, ove richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma») circa la loro ricorrenza e accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità, con la precisazione però che ” il correlativo tema di prova -e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario -è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato ‘ (Corte Cost. 247/2011 cit.).
Va pertanto escluso che la valutazione circa l’astratta configurabilità di una fattispecie penale debba essere effettuata solo dopo la ricezione delle giustificazioni da parte del contribuente, in modo da verificare l’eventuale superamento della soglia penale sulla base delle sole operazioni rimaste ingiustificate, non sussistendo, come sopra detto, né in capo alla Guardia di Finanza, né in capo all’amministrazione finanziaria, né in capo al giudice tributario, alcun potere di valutazione circa la concreta punibilità della condotta penale astrattamente configurabile.
Per le stesse ragioni appena illustrate va pertanto rigettato anche il primo motivo di ricorso incidentale condizionato.
In conclusione, il ricorso principale va accolto ed il ricorso incidentale condizionato respinto.
La sentenza va dunque cassata con rinvio alla C.G.T.2 dell’Emilia – Romagna, in diversa composizione, la quale si atterrà ai principi di diritto sopra illustrati e procederà ad un nuovo esame del materiale probatorio, motivando compiutamente su tutti gli elementi forniti dalle rispettive parti, in applicazione dei sopra
richiamati principi di diritto in tema di riparto dell’onere della prova, oltre a liquidare anche le spese del giudizio di legittimità.
12.Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.G.T.2 dell’Emilia -Romagna, in diversa composizione, anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 15.4.2025.