Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11933 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11933 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/05/2025
Oggetto: II.DD. IVA – professionista – accerta- menti bancari
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2235/2022 R.G. proposto da AGENZIA DELLE ENTRATE E DEL TERRITORIO, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (pec: ) domiciliato presso la Cancelleria della Corte di cassazione;
-controricorrente e ricorrente incidentale – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 7110/1/2021, depositata il 3.8.2021 e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 31 gennaio 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 7110/1/2021, depositata il 3.8.2021 veniva parzialmente accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Agrigento n. 1363/7/2016.
Veniva così in parte riformata la sentenza del giudice di prime cure la quale aveva accolto il ricorso di NOME COGNOME, professionista, avente ad oggetto l’avviso di accertamento n. TY501FC03218/2014 emesso dall’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Agrigento, a titolo di IRPEF, Addizionali, IRAP, IVA e accessori per l’anno d’imposta 2011. L’Amministrazione finanziaria contestava, nel quadro di accertamenti bancari ex artt. 32 del d.P.R. n. 600/73 e 51 del d.P.R. n. 633/72, che i versamenti non giustificati fossero da considerare compensi non dichiarati derivanti dall’attività di lavoro autonomo.
In particolare, il giudice d’appello riteneva non giustificate le operazioni bancarie di cui alle schede 4, 14, 15, 16, 17, 30 e 36 e, ai fini IRPEF ed IRAP, ma non ai fini IVA, le operazioni di cui alle schede 2, 5, 12 e 36.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per Cassazione l’ Agenzia delle Entrate per un unico motivo, cui replica il contribuente con controricorso e ricorso incidentale deducendo due motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo a base del ricorso principale viene dedotta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600/73, 51, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 633/72, 1713, 2697 e 2727
cod. civ. da parte della sentenza d’appello in quanto il giudice di appello, discostandosi dalla valutazione dell’Ufficio, avrebbe errato a ritenere che la documentazione prodotta dal contribuente fosse idonea a vincere la presunzione legale relativa, valevole in ambito di indagini finanziarie, avendo ritenuto assolto l’onere non con approccio analitico in relazione alle singole contestazioni, ma per masse ricorrendo anche a ragionamenti di ordine probabilistico.
In via preliminare, va dato atto delle eccezioni sollevate in controricorso di inammissibilità del motivo perché la censura si risolverebbe, da un lato, in una valutazione alternativa del materiale probatorio e, dall’altro, perché la violazione ex art. 360 , primo comma, n. 3, cod. proc. civ. dev’essere formulata mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità.
Nel merito il motivo non può trovare ingresso.
3.1. In tema di accertamenti bancari, poiché il contribuente ha l’onere di superare la presunzione posta dagli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione (Cass. Sez. 6 – 5, ordinanza n. 10480 del 03/05/2018). Infatti, gli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili
dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze (Cass. Sez. 5, sentenza n. 13112 del 30/06/2020).
Inoltre, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, tutti i movimenti sui conti bancari del contribuente si presumono, ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, e dell’art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, riferiti alla sua attività economica, i primi quali ricavi e i secondi quali corrispettivi versati per l’acquisto di beni e servizi reimpiegati nella produzione, spettando all’interessato fornire la prova contraria che gli stessi non si riferiscono ad operazioni imponibili (Cass. Sez. 5, ordinanza n. 25043 del 18/09/2024).
3.2. Il giudice d’appello, ferma restando la presunzione discendente dagli artt.32 e 51 cit., per i capi di sentenza in cui l’Agenzia è risultata soccombente, ha ritenuto fornita la prova liberatoria da parte del contribuente e il ragionamento è stato condotto per contestazioni omogenee e non per masse indistinte come ritiene la ricorrente. Inoltre, l’argomentazione non riposa su ragionamenti probabilistici, bensì su accertamenti fattuali con riferimenti adeguati al quadro probatorio raccolto nel processo.
Ad es., in sentenza si legge «la documentazione prodotta dal RAGIONE_SOCIALE appare idonea a giustificare parte delle operazioni», «nella rettifica operata dall’ufficio non si motiva circa la riconducibilità dei maggiori ricavi all’attività professionale e non a quella agricola » e «la mancata prova di una rendicontazione da parte del mandatario costituisce un eventuale inadempimento che di per sé non esclude l’esistenza del mandato e la sua esecuzione, soprattutto quando risulta l’assegno incassato per la vendita e la procura speciale di conferimento del mandato» (cfr. p.2 sentenza).
Ancora, la CTR nella sentenza impugnata ha affermato che: «il versamento dell’assegno circolare di euro 58.800 va ritenuto giustificato dopo l’esibizione del contratto preliminare. La mancata registrazione di quest’ultimo non rende l’operazione non giustificata » ( ibidem ).
La censura in disamina, come eccepito in controricorso, è dunque effettivamente diretta ad ottenere una inammissibile rivalutazione della prova in sede di legittimità al fine di sovvertire l’apprezzamento del giudice del merito, condotto con precisi addentellati nel quadro istruttorio.
Passando all’incidentale, con un primo macro-motivo il contribuente censura la sentenza della CTR, laddove ha ritenuto non giustificate le operazioni nella stessa indicate adducendo, da un lato, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c od. proc. civ., la violazione del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 32 e 38, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51 e degli artt. 2697 e 2729 cod. civ.. D all’altro, si duole del l’o messo esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, per essersi il giudice limitato ad una motivazione solo in diritto che ha omesso l’esame di tutte le movimentazioni bancarie oltre che di tutta la documentazione prodotta dal contribuente ed elencata in modo specifico e riprodotta in ricorso.
Il secondo motivo censura la sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., anche per violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., per non aver deciso sulla base delle prove proposte dalle parti.
Le due censure, connesse, possono essere esaminate congiuntamente e sono inammissibili.
6.1. Va richiamato al proposito il corretto canone di riparto della prova in tema di accertamenti bancari. Il contribuente ha l’onere di superare la presunzione posta dagli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, e il giudice
di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione (Cass. Sez. 6 – 5, ordinanza n. 10480 del 03/05/2018). Infatti, gli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici. Può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze (Cass. Sez. 5, sentenza n. 13112 del 30/06/2020).
Inoltre, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, tutti i movimenti sui conti bancari del contribuente si presumono, ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, e dell’art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, riferiti alla sua attività economica, i primi quali ricavi e i secondi quali corrispettivi versati per l’acquisto di beni e servizi reimpiegati nella produzione, spettando all’interessato fornire la prova contraria che gli stessi non si riferiscono ad operazioni imponibili (Cass. Sez. 5, ordinanza n. 25043 del 18/09/2024).
6.2. Orbene, il canone probatorio pertinente è stato identificato dalla sentenza impugnata, e calato nel caso concreto con precisi accertamenti fattuali. A pag. 2 della sentenza, ad esempio, si legge: «devono ritenersi non giustificate le operazioni bancarie di cui alle schede 4, 14, 15, 16, 17, 30 e 36 (…) » e, ancora, quanto ad un secondo nucleo di contestazioni «andavano pure considerate ai fini Irpef e Irap (ma non ai fini Iva) le operazioni di cui alle schede 2, 5, 12 e 36 in quanto si tratta di compensi ricevuti nel 2011 (anno con
riferimento al quale andavano quindi dichiarati), pur essendo relative a fatture emesse prima del 2010».
Si tratta di un apprezzamento del quadro probatorio riservato al giudice del merito che ha investito le giustificazioni addotte dal contribuente e, con riferimento alle riprese sopra identificate, le ha ritenute non idonee.
6.3. Il Collegio rammenta inoltre che le Sezioni Unite della Corte con la sentenza n. 34476 del 2019 hanno statuito che è inammissibile il ricorso in Cassazione mediante il quale, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame su di un fatto decisivo per la controversia, miri ad una rivalutazione dei fatti storici di causa ( ex pluribus, si veda anche Cass. n. 27992/2024).
Le due doglianze, sotto lo schermo della prospettata violazione di legge e nullità della sentenza, in realtà mirano a conseguire un riesame delle emergenze di merito, inammissibile in sede di legittimità a fonte di una motivazione del giudice che ha argomentato in merito alla valutazione del quadro probatorio.
6.4. Concorre un ulteriore profilo di inammissibilità, con riferimento al primo motivo dell’incidentale nella parte in cui introduce una censura motivazionale nonostante il doppio rigetto della prospettazione di parte contribuente sottesa alla censura sia in primo sia secondo grado. Infatti, l’abrogazione dell’art. 348-ter cod. proc. civ., già prevista dalla legge delega n.206/2021 attuata per quanto qui interessa dal d.lgs. n.149/2022, ha comportato il collocamento all’interno dell’art. 360 cod. proc. civ. di un terzo comma, con il connesso adeguamento dei richiami, il quale ripropone la disposizione dei commi quarto e quinto dell’articolo abrogato e prevede l’inammissibilità del ricorso per cassazione per il motivo previsto dal n. 5 dell’art. 360 citato, ossia per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente inciden-
tale non ha dimostrato che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e di conferma, per quanto qui interessa, in appello sono state tra loro diverse.
In conclusione, sia il ricorso principale sia il ricorso incidentale devono essere rigettati e le spese di lite sono interamente compensate, in presenza di soccombenza reciproca.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta i ricorsi e compensa le spese di lite.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1bis, se dovuto.
Così deciso il 31.1.2025