Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13631 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13631 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/05/2025
Avv. Acc IRPEF 2009
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18339/2020 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 5790/2019, depositata in data 17 ottobre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 marzo 2025 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate -direzione provinciale di Roma II notificava a NOME COGNOME in data 10 dicembre 2013, l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE con il quale si rettificava
il reddito del suddetto da € 48.518,00 a € 575.311,00 con riferimento all’anno d’imposta 2009. L’accertamento scaturiva dall’effettuazione di indagini presso istituti di credito ed operatori finanziari ai sensi dell’art. 32, primo comma, n. 7 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 51, secondo comma, n. 7 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Avverso l’avviso di accertamento il contribuente proponeva ricorso dinanzi la C.t.p. di Roma; si costituiva anche l’Ufficio, che chiedeva la conferma del proprio operato.
La RAGIONE_SOCIALE Roma, con sentenza n. 5274/48/2017, rigettava il ricorso del contribuente.
Contro tale sentenza proponeva appello il contribuente dinanzi la C.t.r. del Lazio; si costituiva anche l’Agenzia delle Entrate, chiedendo la conferma della sentenza emessa in primo grado.
Con sentenza n. 5790/09/2019, depositata in data 17 ottobre 2019, la C.t.r. adita rigettava il gravame del contribuente.
Avverso la sentenza della C.t.r. del Lazio, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 5 marzo 2025.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 32 d.P.R. n. 600/73, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto conforme a legge l’operato dell’Ufficio, laddove fonda l’accertamento sulle presunzioni di cui all’art. 41 d.P.R. n. 600/1973, il quale può però trovare applicazione solo nel caso di omessa o nulla dichiarazione, presupposti mancanti nel caso di specie.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 38 e 39 d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto legittimo l’operato dell’Ufficio basato su presunzioni semplici, anziché richiedere elementi caratterizzati da gravità, precisione e concordanza.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Omessa motivazione in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.» il contribuente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha mancato di valutare la copiosa documentazione bancaria prodotta in giudizio.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile ed infondato.
2.1. In base all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata; ciò comporta l’esatta individuazione del capo di pronuncia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza non riguardante il decisum della sentenza gravata. (Cass. 21/07/2020, n. 15517). Infatti, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo
per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un «non motivo», è espressamente sanzionata con l’inammissibilità (Cass. 20/10/2016, n. 21296).
2.2. Nel caso di specie il ricorrente non indica i punti degli atti ai quale intende riferirsi per corroborare la censura in parola sicché questo collegio non è posto nelle condizioni di conoscere esattamente il contenuto di avere ragione delle argomentazioni sulle basi delle quali il contribuente solleva le censure in questioni e per e per l’effetto ricollegarle ai capi ai punti della sentenza impugnata.
2.3. Il motivo è anche infondato perché l’articolo 42 del .d.P.R. n. 600/73 non richiede le indicazioni delle norme violate e/o del procedimento di rettifica utilizzato ma richiede l’indicazione delle ragioni giuridiche; la scelta del metodo di accertamento subordinata all’esistenza di presupposti normativamente predeterminati è riservata all’amministrazione finanziaria ed il giudice tributario innanzi al quale è stato impugnato il relativo avviso di accertamento in rettifica non dispone del potere ufficioso di imputare o di integrare il metodo in concreto utilizzato dall’amministrazione erariale.
2.4. Sul punto occorre rilevare che, in tema di accertamento tributario, sulla base di una giurisprudenza consolidata di questa Corte (Cass. 03/02/2017, n. 2872), cui si ritiene di dovere dare continuità, rientra nel potere dell’Amministrazione finanziaria, nell’ambito della previsione di legge, la scelta del corrispondente metodo da utilizzare per procedere all’accertamento, di cui il contribuente può dolersi solo se gliene derivi un pregiudizio sostanziale. L’Amministrazione finanziaria non è infatti vincolata nella metodica da utilizzare, spettandole il potere di scegliere, nell’ambito dei criteri stabiliti dalla legge, quello ritenuto, nel caso, utile per il buon fine dell’azione accertativa, per cui una doglianza,
che si limiti a contestare la correttezza formale di un atto impositivo, in connessione con una scelta discrezionale dell’amministrazione ed in assenza di pregiudizio sostanziale, risulta inammissibile, per difetto di interesse e non è idonea a giustificarne l’annullamento.
2.5. Nella specie, come emerge chiaramente dalla sentenza impugnata e come non è contestato sostanzialmente neppure dalla ricorrente, sussistevano astrattamente i presupposti per l’accertamento ai sensi dell’art 41 del DPR n. 600 del 1973, ma anche ai sensi dell’art. 39 comma 2 poiché la contribuente aveva omesso di presentare le dichiarazioni fiscali ma aveva pure omesso, in base alle dichiarazioni rese dal legale rappresentanze della società in sede di verifica fiscale ed alle emergenze delle verifica, di aggiornare dal 1998 i libri e le scritture contabili e quindi di tenere da quella data le scritture obbligatorie, il che rendeva, all’evidenza, inattendibile nel complesso la contabilità.
Il secondo motivo è, parimenti, inammissibile oltre che infondato.
Innanzitutto, valgono le considerazioni declinate sub 2.1. e ss. Laddove il ricorrente rappresenta di aver rilevato nei precedenti gradi di merito la censura in parola, ma non provvede ad indicarne il contenuto, il punto ovvero la pagina di riferimento.
Il motivo è inammissibile anche perché tende a perseguire una mera ridefinizione del merito della vicenda in esame. La complessiva censura si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più
consone ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità.
3.1. Il motivo è anche infondato.
Costituisce principio giurisprudenziale pacifico e reiterato quello secondo cui in tema di accertamenti bancari, gli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze (Cass. 30/06/2020, n. 13112). Ancora, ‘In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 32, del d.P.R. n. 600 del 1973 prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi ed a fronte della quale il contribuente, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative'(Cass. 05/05/2017, n. 11102).
2.1. In dettaglio – secondo questa giurisprudenza di legittimità – in materia di accertamenti bancari, all’onere probatorio gravante sul contribuente che vuole superare la presunzione legale posta dalle predette disposizioni a favore dell’erario -che, avendo fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729, cod. civ., per le presunzioni semplici -, di fornire non una prova generica, ma una prova analitica (sul punto, vedi Cass. 26111 del 2015 e la copiosa giurisprudenza ivi richiamata) idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (in termini, Cass. n. 18081 del 2010, n. 22179 del 2008 e n. 26018 del 2014), corrisponde l’obbligo del giudice di merito, da un lato, di operare una verifica rigorosa dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, e, dall’altro, di dare espressamente conto in sentenza delle risultanze di quella verifica.
3.2. Nella fattispecie in esame, la C.t.r. ha fatto buon governo dei principi normativi e giurisprudenziali declinati.
Il terzo motivo è inammissibile.
Le SS.UU. (Cass. 01/10/2007, n. 20603) hanno affermato che ‘In tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poiché secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità’. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il motivo non fosse stato correttamente formulato, in quanto la contraddittorietà imputata alla motivazione riguardava punti diversi della decisione, non sempre collegabili tra di loro e comunque non collegati dal ricorrente).
Nella fattispecie in esame, la formulazione del motivo evidenzia una serie di contrapposizioni e confusioni siccome, da un lato, viene invocato, in rubrica, l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. ossia l’omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio, dall’altro, si prospetta un vizio di motivazione apparente declinabile sotto il n. 4 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ.
4.1. Viep più che rileva l’applicazione, nella fattispecie, della previsione di cui all’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., così come riformulato dal d.l. 22/6/2012, n. 83 conv. nella legge 11/8/2012, n. 143 che, per l’ipotesi di cd. doppia conforme, avendo il giudice di appello confermato la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso del contribuente, sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto a sostegno della sentenza di primo grado, preclude la deducibilità in sede di legittimità del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma cod. proc. civ.
Tale nuova norma è sicuramente applicabile alla fattispecie in oggetto atteso che l’atto di appello è stato depositato in data 26 ottobre 2017 e, quindi, ben oltre il trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 5 marzo 2025.