Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15264 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15264 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31091/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO n. 2428/2021 depositata il 10/05/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025
dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione Tributaria Regionale del Lazio ( hinc: CTR), con la sentenza n. 2428/16/21 depositata in data 10/05/2021, ha accolto l’appello proposto dal sig. NOME COGNOME Michele ( hinc: il contribuente) contro la sentenza n. 6587/2018 con la quale la Commissione tributaria provinciale di Roma aveva respinto il ricorso del contribuente contro l’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2010.
La CTR, a seguito della documentazione allegata dal contribuente nel giudizio d’appello, ha ritenuto che si evincesse, in primo luogo, la regolarità della contabilità. Ha poi riscontrato che i conti bancari coincidevano con la ricostruzione presentata dal contribuente e con le fatture emesse nell’anno, non discostandosi dai valori indicati nella dichiarazione dei redditi. L’Agenzia non aveva, inoltre, contestato la validità della contabilità, ma non aveva riconosciuto le spese detratte. Tuttavia, nel giu dizio d’appello, erano stati prodotti tutti i documenti delle spese inerenti l’attività relativa: assegni dei fitti, dei giroconti marito/moglie e bonifici di clienti non riconosciuti dall’Agenzia delle Entrate.
Contro la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in cassazione con tre motivi.
Il contribuente ha resistito con controricorso e ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata censurata la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. degli artt. 18, 20, 22 d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.
1.1. Con tale motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per aver omesso ogni menzione dell’appello incidentale proposto ritualmente dall’amministrazione finanziaria contro la decisione di primo grado nella parte in cui rigettava l’ eccezione di inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio, riportando a pag. 14-15 del ricorso in cassazione, parte delle controdeduzioni svolte davanti al giudice di prime cure. La ricorrente evidenzia, quindi, di aver chiesto al giudice di secondo grado di dichiarare inammissibile l’impugnazione proposta, in considerazione del fatto che non era stato proposto alcun ricorso giurisdizionale e che l’istanza di accertamento con adesione del 29/12/2015 (unico atto depositato dal contribuente presso la segreteria della CTP) era del tutto inidonea a instaurare un corretto rapporto processuale. Era, quindi, errata la decisione del giudice di prime cure che , con riferimento all’eccezione di inammissibilità, aveva ritenuto che la costituzione in giudizio avesse sanato il difetto di notifica e che, in ogni caso, il ricorso fosse stato notificato all’ufficio che lo aveva erroneamente protocollato come istanza di adesione.
La ricorrente evidenzia di non aver censurato, davanti al giudice di seconde cure, il difetto di notifica, ma di aver, in realtà, eccepito che il contribuente non avesse presentato alcun ricorso giurisdizionale. Censura altresì il grave vizio motivazionale della sentenza impugnata. Riporta, quindi, a pag. 16-17 del ricorso in cassazione, una parte dell’appello incidentale svolto dall’amministrazione finanziaria davanti alla CTR. Quest’ultima ha omesso del tutto l’esame del la censura svolta, in via incidenta le, dall’odierna parte
ricorrente: se l’avesse presa in considerazione non avrebbe che potuto considerare errata la statuizione dei giudici di prime cure, mancando nell’istanza depositata dal contribuente i requisiti previsti nell’art. 18 d.lgs. n. 546 del 1992. L’istanza non er a, infatti, diretta alla commissione tributaria provinciale e non conteneva alcuna richiesta al giudice tributario, ma era indirizzata direttamente all’Ufficio Controlli della Direzione Provinciale I di Roma, al fine esclusivo di avviare la procedura di accertamento con adesione prevista dal d.lgs. n. 218 del 1997. Inoltre, il ricorso, ai sensi dell’art. 20 d.lgs. n. 546 del 1992, deve essere proposto alla CTP mediante notifica all’organo che ha emanato l’atto, con la successiva costituzione del contribuente dinanzi alla commissione tributaria provinciale e il deposito di tutti i documenti previsti dall’art. 22 d.lgs. n. 546 del 1992, tra i quali il ricorso notificato.
1.2. Il motivo di ricorso è inammissibile per difetto di specificità: la parte ricorrente riproduce solo parzialmente il ricorso introduttivo, riportando una parte dell’intestazione (sul punto v. anche pag. 15 del controricorso, dove emerge che l’atto pu r recando l’erronea indicazione «istanza di accertamento con adesione» era diretto alla Commissione Provinciale di Roma e contro l’Agenzia delle Entrate ). In assenza di una compiuta riproduzione dell’atto con il quale il giudizio è stato introdotto davanti alla commissione tributaria provinciale non è, quindi, possibile stabilire se la CTR, nel disattendere le eccezioni di parte ricorrente, sia incorsa o meno in nell’asserito error (anche con riferimento ai contenuti del ricorso tipizzati nell’art. 18 d.lgs. n. 546 del 1992) , esclusa, in ogni caso, l’ammissibilità della censura come violazione dell’art. 112 c.p.c., trattandosi di questione processuale e non sostanziale.
Con il secondo motivo di ricorso è stata denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, 2697 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
2.1. La ricorrente espone che, con l’avviso di accertamento, sono state contestate le operazioni di accreditamento che il contribuente non era stato in grado di giustificare in sede di contraddittorio, per un totale imponibile accertato e non dichiarato. Nelle controdeduzioni depositate in secondo grado l’amministrazione finanziaria ha dato atto di aver riscontrato le singole giustificazioni fornite dal contribuente, alcune delle quali erano state condivise (con lo scomputo del relativo ammontare dal maggior importo accertato), mentre altre (riportate a pag. 20-21 del ricorso in cassazione) erano state rigettate , con un recupero a tassazione dell’importo di Euro 173.133,72.
Dalla lettura della sentenza impugnata emerge, tuttavia, come la CTR non abbia preso affatto in considerazione le risultanze probatorie, al fine di motivare in ordine al superamento della presunzione legale ex art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973. Difatti, in base a tale norma spetta al contribuente l’onere della prova in ordine agli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie, con la conseguenza che la mancata giustificazione di queste ultime ne giustifica la ripresa a tassazione.
2.2. Il motivo di ricorso è fondato. Secondo questa Corte, in tema di accertamenti bancari, poiché il contribuente ha l’onere di superare la presunzione posta dagli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione
(Cass., 03/05/2018, n. 10480; nello stesso senso Cass., 30/06/2020, n. 13112).
Con il terzo motivo di ricorso è stato denunciato il vizio di motivazione apparente, la violazione e falsa applicazione dell’art. 36, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.
3.1. In via preliminare occorre dare atto che, sebbene tale motivo sia illustrato a pag. 24 ss. del ricorso in cassazione, contraddistinto dal n. 2 costituisce, in realtà, un motivo autonomamente individuabile, che segue il secondo motivo e deve essere, quindi, ritenuto come terzo motivo.
3.2. Ciò premesso, con il terzo motivo, il ricorrente denuncia il vizio motivazionale della sentenza impugnata, che liquida, con una serie di affermazioni apodittiche e illogiche, le risultanze documentali, fondate sulla verifica della Guardia di Finanza, sfociata nel PVC del 03/06/2013 (parzialmente riprodotte nell’esposizione del fatto) e sull’avviso di accertamento. In tema di presunzioni il giudice deve seguire un procedimento che si articola, necessariamente, in due momenti valutativi: la valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli privi di rilevanza e conservare quelli che presentino una potenzialità probatoria e, successivamente, la valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati, per accertare se gli stessi siano concordanti e la loro valutazione possa offrire una prova presuntiva. Sebbene la valutazione dei requisiti ex art. 2727 e 2729 c.c. sia rimessa al giudice di merito, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità, qualora risulti che il giudicante non abbia fatto buon uso del materiale indiziario a sua disposizione. 4. Il terzo motivo va disatteso in quanto, seppure sinteticamente è ricostruibile percorso motivazionale seguito dal giudice di seconde cure per giungere alla decisione. Secondo questa Corte, infatti,
ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., 23/05/2019, n. 13977; Cass., 01/03/2022, n. 6758).
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il secondo motivo è fondato nei termini di cui in motivazione, mentre devono essere rigettati il primo e il terzo motivo.
5.1. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, rigetta il primo motivo e il terzo motivo;
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 27/03/2025.