Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18346 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18346 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26813-2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL ed elettivamente domiciliato presso lo studio del predetto difensore, in Genova alla INDIRIZZO
– intimato –
Oggetto:
TRIBUTI –
accertamenti bancari
avverso la sentenza n. 542/02/2018 della Commissione tributaria regionale della Liguria, depositata in data 9 maggio 2018; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16 maggio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La controversia ha ad oggetto l’impugnazione di due avvisi di accertamento con i quali, sulla scorta delle risultanze delle verifiche bancarie operate sui conti correnti di NOME COGNOME, innescate dalla omessa presentazione delle dichiarazioni reddituali, l’Agenzia delle entrate accertava nei confronti di NOME COGNOME svolgente attività principale di ‘lavorazioni preliminari alla stampa e ai media’, un maggior reddito di impresa ai fini IVA, IRAP ed IRPEF per gli anni di imposta 2009 e 2010. La CTP (ora Corte di giustizia tributaria di primo grado) di Genova respingeva il ricorso del contribuente, mentre con la sentenza in epigrafe indicata la CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) della Liguria accoglieva l’appello del contribuente . In via preliminare, in fatto, la CTR evidenziava che il COGNOME, quale esercente l’ attività di ‘ lavorazioni preliminari alla stampa e ai media ‘ , aveva aperto nel 1996 una partita IVA cancellata al 31/12/2008. N ell’anno successivo (2009) il COGNOME aveva aperto un’altra partita IVA relativa ad attività professionali e lavoro autonomo, in particolare quale amministratore della società ‘ Rocca RAGIONE_SOCIALE ‘ e consulente alberghiero, poi cessata nel corso dell’anno. Ciò posto, la CTR non condivideva la presunzione dell ‘Ufficio secondo cui il contribuente aveva continuato a svolgere la sua precedente attività anche nel biennio successivo al 2008 e che pertanto, in qualità di imprenditore, avrebbe dovuto giustificare tutti i versamenti ed i prelevamenti riscontrati sui conti correnti bancari di cui lo stesso era titolare. La CTR riteneva che il contribuente aveva compiutamente indicato le circostanze che escludevano la natura imprenditoriale dell’attività (cessata nel 2008) e la non riferibilità dei versamenti effettuati all’attività di lavoro professionale svolta nell’anno
2009, essendo coerenti e credibili le reiterate dichiarazioni del contribuente di aver cessato la precedente attività, che versava in stato pre-fallimentare, e di aver successivamente operato come lavoratore autonomo, quale amministratore della società Rocca del Castellaro e consulente alberghiero, e di operare, quale ‘consulente’ sui c onti della predetta società con totale estraneità alle movimentazioni contabili eseguite per conto della stessa; circostanza che l’amministrazione finanziaria avrebbe potuto agevolmente accertare, verificando le scritture della predetta società, che era attività preclusa ad esso contribuente. Di contro, secondo i giudici di seconde cure , l’Agenzia delle Entrate non aveva svolto l’attività di indagine necessaria per confermare la verosimiglianza dell’accertamento effettuato su basi meramente indiziarie e, al contempo, per smentire la contro prova indiziaria fornita dal contribuente.
Avverso tale statuizione l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui non replica il contribuente che rimane intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo di cassazione l’Ufficio deduce , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 2697 cod. civ., per avere la CTR effettuato un’inammissibile inversione dell’ onus probandi ponendolo illegittimamente a carico dell’Agenzia a fronte di mere dichiarazioni e allegazioni della parte contribuente.
Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta, «alternativamente» rispetto al primo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., la «Violazione e falsa applicazione degli artt. 32 DPR 600/1973, 51 DPR 633/1972, 2697, 2727 e 2729 c.c.: omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio: mancata dimostrazione ad opera del contribuente di prova contraria idonea a confutare
l’accertamento posto in essere dall’Amministrazione ex artt. 32 DPR 600/73 e 51 DPR 633/1972; accertamento considerato tamquam non esset, tuttavia, non altrimenti confutato, decisivo, emergente dalla documentazione versata in atti e sufficiente a dimostrare il maggior reddito contestato a controparte».
Con il terzo motivo di ricorso, dedotto in via subordinata, la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 comma 1 DPR 600/1973, dell’art. 7 quater del D.L. 196/2016 (conv. in L. 225/16) e degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c.», per avere la CTR «ritenuto, in toto, non applicabile al caso di specie la norma di cui all’art. 32 D.P.R. n. 600/1973 con conseguente automatica irrilevanza degli accertamenti effettuati per il tramite delle movimentazioni bancarie».
Il primo motivo è fondato e va accolto, con assorbimento degli altri, dedotti in via alternativa (il secondo) e subordinata (il terzo) rispetto al primo.
Va premesso che nella specie si verte in materia di accertamenti bancari espletati nei confronti di un soggetto che, secondo la tesi sostenuta dal l’amministrazione finanziaria, nei due periodi di imposta in considerazione (2009 e 2010) aveva continuato a svolgere attività d’impresa in particolare, di ‘lavorazioni preliminari alla stampa e ai media’ – in continuità con quella precedentemente svolta e cessata al 31/12/2008, con la cancellazione della partita IVA, mentre, dal canto suo, il contribuente ha sostenuto la tesi, fatta propria dai giudici di appello, di aver svolto attività di lavoro autonomo, quale amministratore della società Rocca del Castellaro e consulente alberghiero.
Ciò posto, va innanzitutto rilevato il carattere non dirimente della cessazione della partita IVA effettuata dal contribuente al 31/12/2008, posto che l’orientamento giurisprudenziale in materia è nel senso che, in tema di IVA, la cessazione dell’attività si verifica soltanto quando essa sia effettiva, emergendo da dati sostanziali e fattuali che diano certezza
del mancato compimento di un fatto generatore del tributo, che va identificato, alla luce del diritto comunitario e del principio di neutralità fiscale, con l’espletamento dell’operazione, essendo del tutto irrilevante, a detto fine, il mero elemento formale rappresentato dalla cancellazione della partita IVA a seguito di presentazione della relativa dichiarazione al competente ufficio tributario, ex art. 35 del citato DPR n. 633 del 1972 (arg. da Cass., Sez. U, n. 8059/2016, Cass. n. 18081/2021; n. 585172012, n. 4234/04).
Va, quindi, ricordato che per consolidato orientamento giurisprudenziale, l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e la presunzione in essa contenuta seppure letteralmente riferibile ai soli “ricavi”, sia da intendersi applicabile anche al reddito da lavoro autonomo e non solo al reddito di impresa» (Cass. n. 802/2011; Cass. n. 4601/2002; Cass. n. 430 e n. 11750 del 2008; Cass. n. 22931/2018). Anzi, si è affermato che la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari a norma dell’art. 32 comma 1 n. 2 del d.P.R. 29 settembre 1973 n.600, non è riferibile soltanto ai titolari di reddito di impresa o di lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come è reso palese dal richiamo, operato dal citato art. 32, anche all’art. 38 del medesimo d.P.R., riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche (attinente ad ogni tipologia di reddito di cui esse siano titolari). (cfr. Cass. n. 1519/2017; Cass. n. 2432/2017; in termini già Cass. n. 19692/2011, in motivazione; conf. anche Cass. n. 29572/2018).
7.1. Chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della presunzione posta dall’ultima parte dell’art. 32, comma 1, n. 2 e dell’inversione dell’onere probatorio che ne discende, la Corte costituzionale con sentenza 24 settembre 2014, n. 228 ha rilevato la contrarietà della medesima al principio di ragionevolezza e di capacità contributiva, ritenendo «arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento
nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito», dichiarando, quindi, l’illegittimità costituzionale della sopra riportata disposizione «limitatamente alle parole “o compensi”».
7.2. Questa Corte, nell’adeguandosi a tale dichiarazione di parziale incostituzionalità della norma, ha affermato il principio, condiviso da questo Collegio, secondo cui « In tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti » (cfr., ex multis , Cass. n. 16697/2016, n. 16440/2016, n. 22931/2018, n. 29572/2018).
Pertanto, già sulla base di tali principi emerge un primo errore in cui sono incorsi i giudici di appello là dove, pur riconoscendo che il COGNOME aveva svolto nei due periodi di imposta considerati attività libero professionale, hanno annullato in toto l’avviso di accertamento mentre avrebbero dovuto applicare la presunzione di ricavi con riferimento ai versamenti e verificare se il contribuente aveva superato detta presunzione fornendo adeguata prova contraria.
8.1. Al riguardo si rende necessario ricordare che in tema di accertamenti bancari è consolidato l’orientamento giurisprudenziale di legittimità, confortato anche dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 10 del 2023, secondo cui una volta che l’amministrazione finanziaria abbia fornito la prova dei movimenti in entrata e in uscita operati dal contribuente su conto corrente bancario, integrando così il meccanismo presuntivo posto a favore della stessa (cfr. Cass. n. 34638 del 2022) che, avendo fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità,
precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici -, spetta al contribuente, per evitare che le risultanze delle verifiche bancarie siano poste a base di successivi eventuali atti impositivi, fornire la prova della loro inclusione nella base imponibile oppure dell’estraneità alla produzione del reddito (Cass. n. 40221 del 2021; Cass. n. 26014 del 2024); prova che dev’essere analitica (Cass. n. 13112 del 2020), per ogni movimento bancario contestato, e non generica (Cass. n. 15857 del 2016) ma che, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici (Cass. n. 3777/2015, in motivazione)
8.2. Ad un tale specifico onere probatorio gravante sul contribuente, corrisponde un altrettanto specifico obbligo del giudice di merito, da un lato, di operare una verifica rigorosa dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza ed inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie – in quanto il giudizio di ragionevolezza dell’inferenza dal fatto certo a quello incerto è già stato stabilito dallo stesso legislatore con la previsione, in tale specifica materia, della presunzione legale (Cass. n. 21800 del 2017) -, e, dall’altro, di dare espressamente conto in sentenza delle risultanze di quella verifica (cfr. Cass. n. 10480 del 03/05/2018, Rv. 648064 -01; conf. Cass. n. 13112 del 30/06/2020, Rv. 658392 – 01).
8.3. Una verifica che il giudice deve, quindi, compiere con particolare accuratezza, essendo tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative” (Cass. n. 3577/2015 e Cass. n. 22502/2011).
8.4. A tali principi non si è attenuta la sentenza impugnata che, oltre ad aver escluso ogni rilevanza anche ai versamenti oggetto di verifica e di successiva ripresa a tassazione, ha svalutato tali accertamenti ritenendoli fondati su «basi indiziarie», ha posto a carico dell’amministrazione finanziaria l’onere probatorio gravante sul contribuente, di fornire la prova giustificativa dei movimenti bancari verificati, ovvero la riconducibilità degli stessi alla società che il contribuente aveva dichiarato di amministrare, ed infine ha attribuito rilevanza a mere dichiarazioni di parte (in ordine all’attività espletata nel biennio oggetto di verifica) non supportate da alcun elemento probatorio, peraltro senza aver tenuto conto dei compensi percepiti dal contribuente dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Alessandria, del periodo in cui il contribuente ha tenuto aperta la nuova partita IVA, dell’entità dei compensi fatturati da tali società rispetto all’entità dei movimenti bancari ripresi a tassazione.
Conclusivamente, quindi, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria per nuovo esame alla stregua dei principi sopra indicati e per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 16 maggio 2025.