Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19159 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19159 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 29503/2019 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME dal Prof. Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME giusta mandato a margine del ricorso per cassazione, con domicilio eletto presso lo studio del Prof. Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO.
Pec: EMAIL
Pec: COGNOMEEMAIL
Pec: EMAIL
– ricorrente- contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
Pec: EMAIL
– controricorrente e ricorrente in via incidentale-
e nei confronti di
Ministero delle Finanze, ora Ministero dell’Economia e delle Finanze, nella persona del Ministro pro tempore .
– intimato- avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del PIEMONTE, n. 978/2018, pubblicata in data 5 giugno 2018, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale, pronunciando in sede di rinvio disposto da questa Corte con sentenza n. 20981 del 16 ottobre 2015 (che aveva fatto seguito a precedente rinvio di questa Corte, giusta sentenza n. 26368 dell’11 dicembre 2006) , in accoglimento del ricorso di COGNOME ha rideterminato il reddito dichiarato per l’anno 1992 in lire 30.169.000.
I giudici di secondo grado hanno rilevato che dal processo verbale di constatazione risultava che i conti bancari non erano mai stati prodotti, né analiticamente riprodotti nel PVC e che l’Agenzia delle Entrate non aveva mai indicato, dettagliato ed individuato i dati e gli elementi risultanti dai conti e che, dunque, non operava alcuna inversione dell’onere probatorio a carico del contribuente non avendo
assolto l’Ufficio l’onere probatorio principale; nel merito della controversia, la CTR ha evidenziato che il contribuente svolgeva attività di impagliatore di damigiane, senza dipendenti ed aveva dichiarato per l’anno 1992 un reddito di lire 30.169.000, in linea con quanto dichiarato nell’anno 1993 (lire 28.628.000) che era stato definito per automatismo, e che l’accertamento di un reddito di lire 810.214.000 (a fronte del reddito dichiarato di lire 30.169.000) non appariva compatibile con una attività artigiana, basata essenzialmente su lavoro manuale e svolta senza personale dipendente, peraltro fondato su movimenti bancari per il quali non era stato possibile effettuare, neppure dai verificatori, approfondimenti adeguati in seguito all’alluvione del 1994 che aveva parzialmente distrutto i documenti.
COGNOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo, cui resiste con controricorso e ricorso incidentale con due motivi l’Agenzia delle Entrate -Riscossione.
NOME COGNOME ha depositato controricorso al ricorso incidentale e memoria.
CONSIDERATO CHE
Preliminarmente, va dichiarato l’ inammissibilità del ricorso notificato al Ministero delle Finanze perché « In tema di contenzioso tributario, a seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle entrate, divenuta operativa dal 1° gennaio 2001, si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione “ad causam” e “ad processum” nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data spetti esclusivamente all’Agenzia; tale legittimazione costituisce infatti il riflesso, sul piano processuale, della separazione tra la titolarità dell’obbligazione tributaria, tuttora riservata allo Stato, e l’esercizio dei poteri statali in materia d’imposizione fiscale, il cui trasferimento
all’Agenzia, previsto dall’art. 57 del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, esula dallo schema del rapporto organico, non essendo l’Agenzia un organo dello Stato, sia pure dotato di personalità giuridica, ma un distinto soggetto di diritto» (Cass., Sez. U., 14 febbraio 2006, n. 3116).
Passando all’esame dei motivi, il primo ed unico motivo del ricorso principale deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. , in quanto i giudici di secondo grado nulla avevano disposto riguardo all’avviso di rettifica n. 812703/96 relativo ad Iva ed altro, atto pure impugnato unitamente all’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO relativo ad Irpef ed altro. L’avviso di rettifica, per le stesse ragioni anche di merito che la sentenza impugnata aveva esposto in materia di imposte sul reddito, avrebbe dovuto essere annullato. Quanto alle sanzioni, il ricorrente aveva chiesto in sede di conclusioni nel giudizio di riassunzione la rideterminazione ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 472 del 1997, in seguito al d.lgs. n. 158 del 2015 che aveva ridotto la misura del trattamento sanzionatorio.
Il primo motivo del ricorso incidentale deduce la violazione dell’art. 384, comma 2, c.p.c., per mancata attuazione del principio di diritto sancito nella sentenza di cassazione con rinvio e, comunque, di quanto statuito.
Il secondo motivo del ricorso incidentale deduce, in relazione al l’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 124 del 1993, dell’art. 1 del decreto legge n. 669 del 1996, degli artt. 16, 17 e 42 (ora 45) del d.P.R. n. 917 del 1986, dell’art. 6 della legge n. 482 del 1985 e dell’art. 2697 c.c. La CTR aveva violato le norme indicate sostenendo l’inesistenza dei movimenti bancari contestati dall’Ufficio, attraverso motivazioni derivate da una non corretta interpretazione delle norme di riferimento, nonché dalla affermata sussistenza di situazioni e circostanze del tutto inesistenti, così interpretando la frase contenuta nel pvc della Guardia di Finanza
(« non è da escludersi che quanto meno parte dei predetti prelevamenti e/o versamenti rientrino tra quelli fatturati ») in modo del tutto contestualizzato, mentre se letta nel suo contesto originale la frase assumeva un significato diverso, atteso che i verificatori, di fronte ai risultati emersi in fase istruttoria, tendevano ad evidenziare come la situazione di incertezza che si era venuta a creare, in parte per fatti impugnabili al ricorrente, in parte per situazioni sopraggiunte, non potesse condurre a ritenere la totalità degli importi risultanti dalle movimentazioni bancarie, per cui i verificatori avevano rielaborato i suddetti importi confrontandoli con la contabilità del Bonosa, ottenendo in tal modo situazioni discordanti per le quali la parte non era stata in grado di fornire giustificazione alcuna. Era dunque errata e contraria alle evidenze di cui alle pagine 19, 20 e 21 del PVC la conseguenza secondo cui dal PVC non risultavano fatti dimostrativi di maggiori incassi, che dal PVC risultava che i conti bancari non erano stati mai prodotti ed analiticamente riprodotti nel PVC e che l’Ufficio non aveva mai indicato, dettagliato ed individuato i dati e gli elementi risultanti dai conti.
Deve premettersi che questa Corte, con sentenza n. 26368 dell’11 dicembre 2006, in parziale accoglimento dell’appello principale (secondo motivo) e rigettando il ricorso incidentale, aveva dichiarato l’intervenuta definizione quanto all’anno 1993 e, per quanto concerne l’anno 1992, aveva osservato che l’art. 6 del decreto legge n. 646 del 1994, oltre che riguardare esclusivamente la sospensione dei termini senza paralisi delle attività di accertamento, prevedeva che l’accertamento induttivo di cui agli artt. 39, comma 2, lett. c), del d.P.R. n. 600 del 1973 e 55, comma 2, nn. 1) e 2), del d.P.R. n. 633 del 1972, non era applicabile in presenza degli eventi alluvionali avvenuti nel mese di novembre 1994 e della denuncia della distruzione delle scritture contabili da parte del contribuente; che la nozione di scritture contabili doveva essere circoscritta alle sole scritture
specificatamente indicate dalle norme di cui agli artt. 39, comma 2, lett. c), del d.P.R. n. 600 del 1973 e 55, comma 2, nn. 1) e 2), del d.P.R. n. 633 del 1972; che NOME COGNOME non poteva beneficiare della disposizione in quanto, come era pacifico, tutte le scritture contabili menzionate negli artt. 39 e 55 citati, relative agli anni oggetto di accertamento, al tempo degli eventi avvenuti nella prima decade del mese di novembre 1994, erano in possesso della Guardia di Finanza, che le aveva acquisite ben prima e, quindi, le stesse non potevano considerarsi distrutte a causa di detti eventi.
La Corte, adita nuovamente con ricorso avente ad oggetto la sentenza della CTR n. 18/14/08, depositata in data 7 maggio 2008, che aveva respinto l’appello dell’Ufficio, con sentenza n. 20981 del 16 ottobre 2015, ha accolto il primo e il sesto motivo del ricorso principale, con assorbimento dei motivi dal secondo al quarto, ha dichiarato inammissibile il quinto motivo e il ricorso incidentale, rinviando la causa al giudice di merito.
6.1 La Corte ha ritenuto fondato il primo motivo (« Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione degli artt. 2909 c.c. e 384, comma 2, c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. Osserva la ricorrente che nella sentenza della Corte di Cassazione risulta affermato che “tutte le scritture contabili menzionate negli artt. 39 e 55 detti, relative agli anni oggetto di accertamento, al tempo degli eventi ‘avvenuti nella prima decade del mese di novembre 1994’ erano in possesso della Guardia di Finanza, che le aveva acquisite ben prima e, quindi, le stesse non possono considerarsi distrutte a causa di detti eventi” e che fra le scritture contabili indicate dall’art. 39, comma 2, lett. c), d.p.r. n. 600/1973 vi sono tutte quelle prescritte dall’art. 14 d.p.r. n. 600/1973, ed in particolare: il libro giornale e il libro degli inventari; i registri prescritti ai fini dell’IVA; le scritture ausiliarie nelle quali devono essere registrati gli elementi patrimoniali e reddituali; le scritture ausiliarie di magazzino. Aggiunge che la CTR, affermando che le scritture contabili ausiliarie di magazzino, le fatture, le bolle di accompagnamento sono andate perse nell’alluvione, ha violato il giudicato interno formatosi sulla circostanza ») evidenziando che « La CTR, affermando che le scritture contabili ausiliarie di magazzino, le fatture, le bolle di accompagnamento sono andate perse nell’alluvione,
ha violato il giudicato interno formatosi sul presupposto di fatto del principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione, rappresentato dalla circostanza che le scritture contabili indicate dall’art. 39, comma 2, lett. c), d.p.r. n. 600/1973, riconducibili a quelle indicate dall’art. 14, erano in possesso della Guardia di Finanza, che le aveva acquisite prima dell’alluvione e, quindi, non potevano considerarsi distrutte a causa degli eventi alluvionali » (cfr. pag. 5 della sentenza n. 20981 del 16 ottobre 2015).
6.2 Inoltre ha ritenuto fondato il sesto motivo (« Con il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, n. 2, d.p.r. n. 600/73 e 51, comma 2, n. 2, d.p.r. 633/72, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva la ricorrente che la CTR ha ravvisato gli elementi idonei a ribaltare la presunzione legale non mediante la prova analitica delle somme accreditate o della destinazione delle somme prelevate e della loro estraneità ad operazioni imponibili, ma mediante il riferimento alla situazione generale del contribuente (assenza di irregolarità o evasioni, il tipo di attività svolta, l’assenza di dipendenti, la contitolarità del conto con il coniuge e la commistione tra consumi familiari e attività della ditta). Aggiunge, con riferimento alla giustificazione della contitolarità del conto con il coniuge e della commistione tra consumi familiari e attività della ditta, che è onere del contribuente dimostrare, nel caso di conti cointestati o utilizzati promiscuamente per l’impresa e la famiglia, la riferibilità delle movimentazioni contestate ad operazioni riferibili al cointestatario non assoggettato a controllo fiscale »), in quanto: « In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili
(Cass. 4 agosto 2010, n. 18081; 13 giugno 2007, n. 13818; 18 settembre 2013, n. 21303; 26 gennaio 2007, n. 1739). Quanto al riferimento al conto cointestato con il coniuge, va rammentato che l’art. 51 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 consente all’amministrazione finanziaria di rettificare su basi presuntive la dichiarazione del contribuente utilizzando i dati relativi ai movimenti su conti bancari anche se si tratta di conti cointestati al contribuente e ad altro soggetto ed anche se acquisiti tramite la Guardia di Finanza, atteso che i movimenti bancari, per i quali il comma secondo nn. 2 e 7 di detta norma contempla il potere dell’Ufficio di acquisire notizie dagli istituti di credito e di presumere il riferimento ad operazioni tassabili in assenza di prova contraria, sono quelli dei conti “intrattenuti” dal contribuente, vale a dire dei conti le cui poste attive o passive siano al medesimo imputabili, e tali caratteri sussistono anche per i conti congiuntamente intestati al contribuente e ad un terzo, non toccando la cointestazione, nei rapporti esterni, la posizione di ciascuno dei cointestatari di creditore o debitore, rispetto a tutte le operazioni annotate (Cass. 21 giugno 2001, n. 8457; si vedano anche Cass. 18 aprile 2003, n. 6232; 6 dicembre 2011, n. 26173; 30 novembre 2012, n. 21420). Il mero riferimento dunque alla contitolarità di un conto con il coniuge non impiegato nell’azienda ed alla commistione tra consumi familiari e attività della ditta non vale ad escludere l’operatività della presunzione legale. A tali principi dovrà attenersi il giudice di merito ».
6.3 Infine, la Corte ha dichiarato inammissibile il quinto motivo (« Con il quinto motivo si denuncia insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. Espone la ricorrente che la CTR ha affermato che l’impossibilità materiale di fornire la prova contraria si desumerebbe anche dal fatto che la stessa GdF nel verbale di constatazione (pag. 22) si era espressa nel senso che “non è da escludersi che quantomeno parte dei predetti prelevamenti e versamenti rientrino tra quelli fatturati”, dando così atto della “impossibilità di specifici accertamenti per la distruzione/perdita della documentazione”. Osserva che il significato della frase, sulla base del contesto dell’intero documento, è che risultava nella specie la situazione di
incertezza presente ogni volta che il contribuente non fornisca la prova della movimentazione bancaria, sicché la presunzione può abbracciare anche importi che non costituiscono ricavi non fatturati»), perché « la censura tocca un profilo di valutazione riservato al giudice di merito, e cioè la portata di un passaggio del p.v.c. cui la CTR aveva attribuito il significato evidenziato in motivazione. In tal modo la censura non tocca il procedimento logico, ma l’esito di merito del procedimento medesimo».
Tutto ciò premesso, la trattazione dei motivi porta all’accoglimento dei due motivi del ricorso incidentale, la cui trattazione è prioritaria, e che sono fondati, con assorbimento dell’unico motivo del ricorso principale.
7.1 E’ principio consolidato di questa Corte che la riassunzione della causa innanzi al giudice di rinvio instauri un processo chiuso, nel quale è preclusa alle parti, tra l’altro, ogni possibilità di proporre nuove domande, eccezioni, nonché conclusioni diverse, salvo che queste, intese nell’ampio senso di qualsiasi attività assertiva o probatoria, siano rese necessarie da statuizioni della sentenza della Cassazione (Cass., 27 ottobre 2023, n. 29879; Cass., 14 gennaio 2020, n. 448) e che la riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio si configura, dunque, non già come atto di impugnazione, ma come attività d’impulso processuale volta alla prosecuzione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata (Cass., 20 dicembre 2022, n. 37200; Cass., 8 novembre 2013, n. 25244).
7.2 Inoltre, nel giudizio di rinvio, il quale, come già detto, è un procedimento chiuso, preordinato a una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata non solo è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum , mediante la formulazione di domande ed eccezioni nuove, ma operano anche le preclusioni derivanti dal giudicato implicito formatosi con la sentenza rescindente, onde neppure le questioni rilevabili d’ufficio che non siano state considerate dalla Corte Suprema possono essere dedotte o comunque esaminate,
giacché, diversamente, si finirebbe per porre nel nulla o limitare gli effetti della stessa sentenza di cassazione, in contrasto con il principio della sua intangibilità (Cass., 10 agosto 2023, n. 24357).
7.3 Parimenti consolidato è il principio secondo cui i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384, primo comma, cod. proc. civ., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza, infine, la sua potestas iudicandi , oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (Cass., 15 giugno 2023, n. 17240; Cass., sez. U., 21 marzo 2023, n. 8147; Cass., 14 gennaio 2020, n. 448, citata; Cass., 7 agosto 2014, n. 17790).
7.4 Inoltre, nel giudizio di rinvio è precluso qualsiasi esame dei presupposti di applicabilità del principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione, non solo in ordine ai pretesi errores in iudicando commessi dal giudice a quo , relativi al diritto sostanziale, ma anche con riferimento alle violazioni di norme processuali che si assumono poste in essere dal giudice di merito, tutte le volte in cui il principio di diritto sia stato enunciato rispetto a un fatto con valenza processuale
(Cass., 18 ottobre 2018, n. 26305; Cass., 29 settembre 2014, n. 20474; Cass., Sez. U., 3 luglio 2009, n. 15602).
7.5 La modifica, poi, in tema di giudizio di rinvio, in senso riduttivo dell’originaria impostazione difensiva, tale da renderla incompatibile con la contestazione di fatti o requisiti posti a fondamento della pretesa della controparte, ovvero la mancata riproposizione della contestazione sulla sussistenza di tali requisiti, sollevata nei precedenti gradi del giudizio ed in essi disattesa o dichiarata inammissibile, rende inammissibile l’esame d’ufficio di tali questioni, in quanto ormai espunte dal dibattito processuale (Cass., 9 giugno 2023, n. 16450).
7.6 Ciò posto, è evidente che la Commissione tributaria regionale, in sede di rinvio, facendo corretta applicazione dei principi richiamati dalla Corte di Cassazione nella sentenza di rinvio, doveva effettuare una verifica rigorosa dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata e ciò sia con riferimento alle imposte dirette oggetto dell’avviso di accertamento, sia con riferimento all’Iva oggetto dell’avviso di rettifica, entrambi relativi all’anno d’imposta 1992 , e doveva, dall’altro, dare espressamente conto in sentenza delle risultanze di quella verifica; ma tale verifica, come correttamente rilevato dall ‘Agenzie delle Entrate, non è stata affatto operata. Si trattava, certamente, in ragione dell’interpretazione del dictum di legittimità, che è stato disatteso dal giudice del rinvio, di un accertamento, quello circa l’effettiva sussistenza dei presupposti della situazione giuridica dedotta in giudizio relativa alla decadenza dalla pretesa impositiva, che restava pienamente devoluto al giudice del rinvio, che, tuttavia, non ha ottemperato al compito devolutogli. I giudici di secondo grado, dunque, ancora una volta, hanno violato gli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, non rispettando i criteri di ripartizione dell’onere della prova in tema di accertamenti bancari. Ed infatti, già nel precedente giudizio di rinvio, l’Ufficio aveva dedotto che la CTR non
aveva ravvisato gli elementi idonei a ribaltare la presunzione legale mediante la prova analitica delle somme accreditate o della destinazione delle somme prelevate e della toro estraneità ad operazioni imponibili, ma mediante il riferimento alla situazione generale del contribuente (assenza di irregolarità o evasioni, il tipo di attività svolta, l’assenza di dipendenti, la contitolarità del conto con il coniuge e la commistione tra consumi familiari e attività della ditta), né aveva accertato se, con riferimento alla giustificazione della contitolarità del conto con il coniuge e della commistione tra consumi familiari e attività della ditta, il contribuente aveva fornito la prova della riferibilità delle movimentazioni contestate ad operazioni riferibili al cointestatario non assoggettato a controllo fiscale, ovvero del coniuge non impiegato nell’azienda, non essendo sufficiente ad escludere l’operatività della presunzione legale il mero riferimento alla contitolarità di un conto con il coniuge non impiegato nell’azienda ed alla commistione tra consumi familiari e attività della ditta. Si trattava, certamente, in ragione dell’interpretazione del dictum di legittimità, che è stato disatteso dal giudice del rinvio. Nella sostanza i giudici di secondo grado hanno, nuovamente, operato un accertamento di merito sul quale si era formato il giudicato interno a seguito della ritenuta inammissibilità del quinto motivo da parte di questa Corte, nella sentenza di rinvio n. 20981 del 16 ottobre 2015, affermando, per l’appunto, che la censura secondo cui la CTR aveva affermato che l’impossibilità materiale di fornire la prova contraria si desumeva anche dal fatto che la stessa GdF nel verbale di constatazione (pag. 22) si era espressa nel senso che «non è da escludersi che quantomeno parte dei predetti prelevamenti e versamenti rientrino tra quelli fatturati”, dando così atto della “impossibilità di specifici accertamenti per la distruzione/perdita della documentazione» era una censura di merito, non sindacabile in sede di legittimità, in quanto riguardava «la portata di un passaggio del p.v.c. cui la CTR aveva attribuito il significato
evidenziato in motivazione» e «In tal modo la censura non tocca il procedimento logico, ma l’esito di merito del procedimento medesimo » (cfr. pagine 6 e 7 della sentenza di questa Corte n. 20981 del 16 ottobre 2015).
8. Mette conto rilevare, in ultimo, che anche di recente è stato ribadito che « In tema di accertamenti bancari, gli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze » (Cass., 26 aprile 2024, n. 11169; Cass., 24 luglio 2023, n. 22047; Cass., 30 giugno 2020, m. 13112; Cass., 3 maggio 2018, n. 10480) e che, nel dettaglio, la prova deve essere « idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (Cass., 30 giugno 2020, n. 13112, citata, in motivazione), con il conseguente corollario che, a tale dimensionamento dell’onere della prova gravante sul contribuente, corrisponde l’obbligo del giudice di merito, da un lato, di operare una verifica rigorosa dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, e, dall’altro, di dare espressamente conto in sentenza delle risultanze di quella verifica (Cass., 18 novembre 2021, n. 35258).
Per le ragioni di cui sopra, va accolto il ricorso incidentale ed assorbito il ricorso principale; la sentenza impugnata va cassata, in relazione al ricorso incidentale, e la causa va rinviata alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso incidentale e dichiara assorbito il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata, in relazione al ricorso incidentale, e rinvia la causa alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 28 maggio 2025.