Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 756 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 756 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
ORDINANZA
ha pronunciato la seguente sul ricorso n. 24482/2017 proposto da:
COGNOME Giuseppe, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, alla INDIRIZZO giusta procura in calce al ricorso per cassazione.
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della CALABRIA, n. 1625/17, depositata in data 8 giugno 2017, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
COGNOME Giuseppe, funzionario dell’Agenzia delle Entrate di Crotone, aveva proposto quattro ricorsi avente ad oggetto quattro avvisi di accertamento relativi agli anni dal 2008 al 2011, con i quali, sulla base delle operazioni su conto corrente ed extraconto, erano stati accertati redditi da lavoro autonomo di euro 90.475,00 per l’anno 2008, di euro 169.328,00 per l’anno 2009, euro 185.119,00 per l’anno 2010 ed euro176.749,00 per l’anno 2011, in relazione all’attività di amministratore di quattro condomini svolta in un arco di tempo compreso tra 1’1 gennaio 2006 e il 20 febbraio 2012.
La Commissione tributaria provinciale di Crotone, con sentenza n. 208/01/15 del 12 giugno 2015, ritenuta l’incompetenza della Direzione Regionale ad effettuare le indagini, riuniti i ricorsi, li aveva accolti, compensando le spese di giudizio.
La Commissione tributaria regionale, adita da entrambe le parti, riuniti gli appelli, ha accolto parzialmente i ricorsi riuniti del contribuente, limitatamente al reddito desunto dai prelevamenti di conto corrente bancario e alla parte della pretesa tributaria concernente l’Irap.
I giudici di secondo grado, in particolare, per quel che rileva in questa sede, hanno affermato che:
-) non appariva controversa la circostanza che COGNOME NOME avesse esercitato professionalmente l’attività di amministratore di condominio, poiché era in discussione solo se tale attività fosse stata svolta in favore di uno o più complessi condominiali;
-) l’attività svolta dal contribuente doveva ritenersi soggetta ad Iva, giacché, come rilevato dall’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’art. 1 del d.P.R. n. 633/1972 « L’imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate » e l’art. 3 dello stesso decreto sanciva che « Costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte » e l’art. 5 specificava che « Per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche ovvero da parte di società semplici o di associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata delle attività stesse »;
-) in tema di accertamenti bancari era condivisibile l’orientamento di legittimità secondo cui la sentenza 6 ottobre 2014, n. 228, aveva inciso sull’applicabilità della presunzione ai compensi dei professionisti solo con riferimento ai prelevamenti e, dunque, la presunzione continuava ad essere applicabile riguardo ai versamenti e ciò sulla base di considerazioni connesse sia al dato testuale, sia alla ratio della decisione del giudice delle leggi;
-) analogo ragionamento non poteva essere fatto per i versamenti sui conti bancari, rispetto ai quali neanche si poneva il problema di un reimpiego ai fini della produzione di ricavi, rappresentando essi, in maniera diretta, un incremento patrimoniale;
-) nella fattispecie, il contribuente non aveva dimostrato che i versamenti in conto non costituivano operazioni imponibili, essendosi limitato ad affermare il carattere iperbolico delle somme che erano state ritenute ricavi.
COGNOME Giuseppe ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussi o ne della causa ai sensi dell’art. 370, comma primo, cod. proc. civ..
CONSIDERATO CHE
1. Il primo mezzo deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 quale risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 228/2014. I giudici di secondo grado avevano ritenuto l’onere probatorio gravante sul contribuente non soddisfatto, non avvedendosi che tale rigorismo, legittimava di fatto le conseguenze assolutamente abnormi degli impugnati accertamenti, già inficiati per violazione di normativa avente portata costituzionale e sub costituzionale. L’assolvimento da parte del contribuente dell’onere probatorio sui versamenti (tramite loro annotazione sulle scritture contabili) ritenuto necessario dal Giudice di seconda istanza concretizzava una vera e propria prova diabolica ove si considerava l’assenza di qualsiasi forma di obbligo contabile in testa al contribuente il quale all’epoca era funzionario della stessa Amministrazione procedente, con consequenziale preclusione di qualsivoglia attività professionale tant’è che per tale motivo era stato sottoposto a proced imento disciplinare. L’Ufficio procedente avrebbe dovuto di sua iniziativa espungere dal reddito presuntivamente quantificato gli accreditamenti stipendiali effettuati dall’Ente datoriale (Agenzia delle Entrate) sul conto corrente bancario n. 11997 della Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. Agenzia di Crotone intestato a COGNOME Giuseppe come da richiesta di accreditamento del 14 luglio 1999 regolarmente vistato dal Direttore reggente dell’Ufficio delle Entrate di Crotone portante l’indicazione che il prefato Sig. COGNOME è «dipendente di questo Ufficio». Né, in senso contrario, valeva replicare che nessuna richiesta in tal
senso risultava essere stata formulata e documentata dal funzionario soggetto a verifica stante l’obbligo giuridico derivante dalla normativa sopra invocata gravante sull’Ufficio procedente nella sua duplice veste di Ufficio accertatore ed Ente datoriale il quale, essendo già in possesso di tutta la necessaria documentazione, avrebbe dovuto acquisirla direttamente in ossequio al disposto di cui all’art. 6, comma 4, della legge n. 212/2000 che rinviava all’art. 18, n. 2, della legge n. 241 del 1990.
1.1 Il motivo è infondato.
1.2 Ed invero, questa Corte ha già precisato che « in tema d’imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta l’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; tuttavia, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti » (Cass., 20 gennaio 2017, n. 1519; Cass., 16 novembre 2018, n. 29572; Cass., 2 febbraio 2021, n., 2240; Cass., 19 agosto 2022, n. 24998).
1.3 Anche di recente questa Corte, ha ritenuto che « La presunzione legale in oggetto si articola secondo due diverse modalità, distintamente previste nella prima e nella seconda parte, secondo periodo, comma primo del citato art. 32: a) i “dati ed elementi” attinenti ai rapporti bancari possono essere utilizzati nei confronti di tutti i contribuenti destinatari di accertamenti previsti dagli artt. 38,
39, 40 e 41 d.P.R. 29 settembre 1973 n.600 ( persone fisiche, titolari di reddito determinato in base alle scritture contabili, redditi di soggetti diversi dalle persone fisiche, redditi accertati d’ufficio); b) la presunzione legale secondo cui i versamenti ed i prelevamenti sono considerati ricavi o compensi può essere utilizzata nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa o di reddito di lavoro autonomo, soggetti all’obbligo di tenuta delle scritture contabili (con la correzione apportata dalla Corte Cost. con la sentenza n. 228 del 2014 che ha dichiarato l’illegittimità della presunzione di maggiori compensi desumibile dai prelevamenti effettuati dai titolari di reddito di lavoro autonomo). Mentre l’operazione bancaria di prelevamento conserva validità presuntiva nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, le operazioni bancarie di versamento hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibilità reddituale nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia adempiendo l’onere di dimostrare che ne hanno tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine. (Cass., 16 novembre 2018, n. 29572; Cass., 9 agosto 2018, n. 16697; Cass., 20 gennaio 2017, n. 1519)» (Cass., 3 marzo 2023, n,. 6427, in motivazione).
1.4 Ed infatti, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 228/2014 depositata il 6 ottobre 2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, numero 2, secondo periodo del d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero 1) della legge 30 dicembre 2014 n. 311 (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-legge finanziaria 2005) limitatamente alle parole «o compensi» e come si ricava dalla motivazione della sentenza emerge chiaramente che la Corte ha ritenuto la norma irragionevole e contraria al principio di capacità contributiva essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore
autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito.
1.5 Ciò precisato, sul piano dei princìpi di diritto in punto di ripartizione dell’onere probatorio tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente, nel caso di specie, la Commissione tributaria regionale ha ritenuto (correttamente) che incombeva sul contribuente l’onere di dimostrare che i versamenti in conto non costituivano operazioni imponibili e che tale onere probatorio era rimasto totalmente insoddisfatto, poiché il contribuente si era limitato ad affermare il carattere iperbolico delle somme che erano stato ritenute costituire ricavi, senza fornire prova specifica ulteriore rispetto a quella già fornita in sede di indagine da parte dell’Agenzia delle Entrate (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata) .
1.6 Ed invero la sentenza impugnata ha seguito l’indirizzo ormai consolidato di questa Corte, secondo il quale, qualora l’accertamento effettuato dall’Amministrazione finanziaria si fondi, come nella specie, su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili e sono prive di rilevanza fiscale; ciò vale anche in tema di IVA, al fine di superare la presunzione di imponibilità delle operazioni confluite nelle movimentazioni bancarie posta a carico del contribuente dall’art. 51, secondo comma, numero 2, del DPR n.633/1972 (Cass., 5 agosto 2022, n. 24402; Cass., 11 marzo 2015, n. 4829; Cass., 18 settembre 2013, n. 21303).
1.7 Ciò posto, il ricorrente, nemmeno in questa sede ha specificato nel corpo del motivo di ricorso in modo puntuale quali siano state le prove contrarie analitiche che egli ha contrapposto alle singole movimentazioni bancarie, omettendo anche di individuare in modo preciso queste ultime, né ha riprodotto documenti, neppure nel loro contenuto essenziale, indicando la sede della loro eventuale produzione nei gradi di merito.
1.8 In ultimo, va rilevata l’inammissibilità del profilo di censura riguardante gli accreditamenti stipendiali effettuati dall’Ente datoriale (Agenzia delle Entrate) sul conto corrente bancario n. 11997 della Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. Agenzia di Crotone intestato a COGNOME Giuseppe, in quanto si tratta di questione nuova, che non risulta dal provvedimento impugnato .
1.9 Ed invero, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (Cass., 9 luglio 2013, n. 17041; Cass., 9 agosto 2018, n. 20694; Cass., 13 agosto 2018, n. 20712) e qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel ≪ thema decidendum ≫ del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass., 13 giugno 2018, n. 15430).
1.10 Il motivo è pure inammissibile, trovando applicazione, nel caso in esame, la previsione di cui all’art. 348 ter , quinto comma, cod. proc. civ., che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. la sentenza di appello fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, (appello spedito in data 13 gennaio 2016, cfr. pag. 1 della sentenza impugnata) (Cass., 18 dicembre 2014, n. 26860; Cass., 11 maggio 2018, n. 11439).
Il secondo mezzo deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 4 e 5 del d.P.R. n. 633 del 1972. La Commissione tributaria regionale aveva errato nel ritenere che l’attività svolta da COGNOME Giuseppe fosse soggetta ad Iva alla luce di quanto in soggetta materia precisato dalla stessa Amministrazione finanziaria nell’atto introduttivo del giudizio e nell’atto di appello e alla luce della sentenze di legittimità e di merito anch’esse inutilmente riproposte in sede di appello e di cui agli allegati 14, 15, 16, 17, 18 e 19 dell’atto introduttivo del giudizio, alla luce delle quali la soggettività IVA, per esplicita ed inequivoca volontà legislativa, presupponeva sempre un’attività professionale «abituale» e non già meramente occasionale per come effettivamente svolta in favore di un solo condominio, quello del INDIRIZZO, posto che con riferimento agli altri tre condomini l’attività in questione era stata esercitata solo per pochi giorni.
2.1 Il motivo è infondato, in quanto i giudici di secondo grado, richiamando specificamente l’art. 5 del d.P.R. n. 633 del 1972, hanno sostanzialmente affermato che l’attività di amministratore di condominio svolta dal ricorrente fosse soggetta ad Iva, perché era esercitata per professione abituale, anche se non era svolta in forma esclusiva (si legge a pag. 2 della sentenza impugnata che il ricorrente aveva svolto l’attività di amministratore di quattro condomini in un arco di tempo compreso tra l’1 gennai o 2006 e il 20 febbraio 2012).
2.2 Ciò peraltro, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte che ha affermato che « In tema di IVA, il compenso dell’amministratore di condominio non è assoggettabile ad imposta, ai sensi dell’art. 5, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1977, n. 633, soltanto se l’attività venga espletata senza l’impiego di mezzi organizzati, rientrando tale attività, altrimenti, tra le prestazioni di servizi espletate nell’esercizio di arti e professioni » (Cass., 1 giugno 2007, n. 12916; Cass., 24 luglio 1996, n. 6671).
2.3 Più in particolare, questa Corte ha affermato che:
-) tenuto conto del l’art. 49 del d.P.R. n. 597 del 1973, richiamato dall’art. 5 del d.P.R. 633 del 1972, un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa è configurabile se: a) l’attività prestata ha contenuto intrinsecamente artistico o professionale; b) è svolta nell’ambito di un rapporto unitario con il soggetto che la richiede; c) viene prestata senza vincolo di subordinazione; d) viene prestata senza impiego di mezzi organizzati da parte del collaboratore; e) è compensata con una retribuzione periodica prestabilita e che si tratta di requisiti che sono tutti riscontrabili nell’attività di amministratore di condominio, consistente, come si ricava dagli artt. 1130 e 1131 del codice civile concernenti le sue attribuzioni, nell’eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condomini e curare l’osservanza del regolamento di condominio, nel disciplinare l’uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell’interesse comune, in modo che sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini, nel riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni, nel compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio. Inoltre, nei limiti di tali attribuzioni o dei maggiori poteri eventualmente conferiti dal regolamento di condominio o dall’assemblea, egli ha la rappresentanza dei condomini e più stare in
giudizio sia per essi contro i terzi sia contro alcuno di essi per tutti gli altri;
-) si tratta di attività intellettuale e tecnica e non meramente materiale, alla quale può pertanto, essere riconosciuto contenuto intrinsecamente professionale (cioè il contenuto proprio di una professione intellettuale), che viene prestata nell’ambito di un rapporto unitario e continuativo con il soggetto che la richiede, il condominio o – se non si voglia ammettere la soggettività del condominio – il gruppo dei condomini, traducendosi in una serie di prestazioni protratte nel tempo, finalizzate alla gestione delle cose comuni, effettuate da un soggetto che è organo del condominio, agendo questo tramite il suo amministratore; di attività svolta senza vincolo di subordinazione, non essendo l’amministratore subordinato al potere disciplinare e a quello direttivo del gruppo dei condomini, avendo, con riferimento a quest’ultimo, accanto all’obbligo di eseguire le deliberazioni dell’assemblea, anche poteri decisionali autonomi seppure nell’ambito dell’amministrazione ordinario (come può argomentarsi a contrario dall’art. 1135, ultimo comma cod. civ.); di attività che non richiede di per sé l’impiego di mezzi organizzati da parte del prestatore, non imponendo il suo espletamento l ‘ utilizzazione di particolari strumenti e di attività che, qualora l’assemblea non abbia stabilito che l’ufficio di amministratore sia gratuito, dà diritto a compenso, che viene riscosso periodicamente con la riscossione dei contributi corrisposti dai singoli condomini, essendo in questi incluso;
-) il requisito di cui alla lettera d), dunque, costituito dalla assenza dell’impiego di mezzi organizzati, non costituendo un carattere necessario dell’attività in questione, potrebbe anche mancare e così, quanto un soggetto si occupi dell’amministrazione di una pluralità di condomini, costituiti da un elevato numero di partecipanti, non è pensabile che l’attività possa essere espletata senza l’utilizzazione combinata di una pluralità di mezzi (calcolatrici, fotocopiatrici,
computers, schedari etc.) e, quindi, senza carattere di professionalità o, per lo meno, senza un congruente apparato organizzativo (Cass., 24 luglio 1996, n. 6671, in motivazione).
2.4 In conclusione, due sono i casi che si possono verificare: in uno l’attività in questione viene prestata senza impiego di mezzi organizzati (il che normalmente accade quando l’amministrazione riguardi un solo condominio o un numero limitato di condomini costituiti da un numero ristretto di partecipanti) ed in tal caso, inerendo ad un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, in virtù del disposto del secondo comma dell’art. 5 del d.P.R. n. 633 del 1972, non si considera svolta nell’esercizio di arti e professioni, con la conseguenza che il relativo compenso non è assoggettabile ad IVA; nell’altro (che è stata ritenuto sussistente nella vicenda in esame) l’attività in parola viene espletata con impiego di mezzi organizzati da parte dell’amministratore, ed, in tal caso, non potendo essere inclusa tra le prestazioni di servizi inerenti ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 49 del d.P.R. n. 597 del 1973, rientra tra le prestazioni di servizi effettuate nell’esercizio di arti e professioni, con la conseguenza, in particolare, della assoggettabilità del relativo compenso ad IVA
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato.
3.1 Nessuna statuizione va assunta sulle spese processuali, non avendo l’Amministrazione intimata svolto difese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 21 novembre 2023.